La mano che ha dimenticato le carezze

La mano che ha dimenticato le carezze è quella di chi non può provare amore: quando una mano sfiora il viso o il corpo di una donna, di una...

La mano che ha dimenticato le carezze è quella di chi non può provare amore: quando una mano sfiora il viso o il corpo di una donna, di una persona qualsiasi, non è semplicemente la mano ad accarezzarti ma è il sentimento che proviene dall’animo umano a farlo.
Quando una mano ti accarezza sei prima di tutto tu a fare del tuo braccio e della tua mano la protesi amorosa che trasmette quella dolcezza.
Ma, come tutti gli strumenti, se usata male, la mano diventa portatrice di tensioni interne dettate da molteplici fattori anti-sentimentali, se per “sentimento” intendiamo qui un’espressione di concetti positivi.
Amore, passione, desiderio sono ponti che legano due persone che condividono la vita o parte di essa. Sono le espressioni più umane possibili che includono la comprensione e l’accoccolamento dell’uno nei confronti dell’altro.
Questa mano, a far riferimento alle cronache nere di questi mesi, sembra essere cambiata e, senza troppe distinzioni tra punti cardinali, latitudini e longitudini, in tutta Italia assistiamo a donne che vengono picchiate, seviziate, stuprate e uccise a pietrate.
La potenza maschile si mette in mostra, si fa portatrice di un messaggio di possessione, di predominanza, di superiorità insomma: come se volesse riprendersi degli spazi che ha perso dopo decenni di lotte femminili in cui era stato stabilito un quasi equipollente stato di cose tra maschio e femmina, tra uomo e donna.
C’è differenza, infatti, tra genere e sesso. Ciò che viene colpito è il genere quando si tratta di stabilire chi nella coppia ha diritto all’ultima parola, quindi al comando. Ed, invece, è il sesso quando il genere viene trattato sempre con subordinazione, con induzione di accondiscendenza tramite sguardi severi o dolcemente ingannevoli, occhi da cerbiatto che nascondono feroci predatori nemmeno accostabili alla molto più generosa umanità degli animali impropriamente e propriamente detti a seconda dei casi.
E quando tutto ciò accade, il sesso cambia, diventa altro dal piacere, diviene stupro morale prima e materiale poi e traccia una ferita profonda nell’animo di chi lo subisce.
Per lo meno oggi lo stigma della colpa della donna sembra meno evidente e ricercato d’un tempo: la vergogna maschile è tutta del maschio, del dominatore che si nasconde dietro giustificazioni che non hanno cittadinanza in nessun luogo dove si possa esercitare la richiesta della clemenza.
Non sono giustificazioni ma palesi ammissioni di colpa esse stesse, perché sottolineano un comportamento che si tenta di inquadrare dentro la morale pubblica e comune, dietro al confine dell’accettazione di comportamenti giudicati “interpretabili”. Magari giuridicamente per qualche azzeccagarbugli, ma non c’è appello alcuno per chi dopo aver forzato una donna ad avere un rapporto sessuale tenta di mostrarci che, tutto sommato, lei “ci stava” e “le piaceva”. E magari ti ha anche dato il numero di telefono dopo lo stupro!
E poi, la mano che ti accarezzava prima ora ti picchia, magari con una pietra e ti getta in un pozzo, ti ricopre di altre pietre e ti lascia lì priva di una vita che dovevi poter vivere cercando, pure tu, la necessità della felicità.
Invece la mano che ti ha accarezzato anche mille volte, se una volta sola ti picchia, vuol dire che non tornerà mai più ad essere quella delle dolcezze espresse col corpo, ma resterà quella della violenza, quella dell’ira e dell’odio.
Perché gli uomini si spingono oltre l’amore fino a diventare degli aguzzini dello stesso? Per semplice voglia di godimento? Di sesso?
Quando non si può più descrivere un rapporto tra due persone come “amore” e la loro intimità come il “fare l’amore”, allora è evidente che c’è una difficoltà a rapportarsi, a capirsi, a determinare i reciproci ambiti di libertà.
Si può mai sacrificare la libertà, e quindi la propria integrità morale e fisica, ad una percezione indotta dell’amore proveniente da un senso di colpa, quasi da una necessità di sacrificio per evitare di sentirsi colpevoli?
La colpa sta dentro le coscienze di chi stupra non di chi è stuprato. La colpa è di un mondo “proprietario” che esige che vi sia sempre e comunque chi possiede e chi è posseduto.
L’estensione del merceologismo arriva oltre la richiesta della forza-lavoro: si spinge fino al ritorno di un patriarcalismo maschilista che uccide l’uguaglianza civile, che la getta in un angolo e ne fa una variabile dipendente dalla volontà e non dal diritto, dalla morale, dalla coscienza.
Le leggi mutano, le coscienze dovrebbero conservare la parte più bella dell’umanità: il riconoscersi tutte e tutti uguali e, quindi, il non pensarsi nemmeno per un istante possibilmente superiori a qualcuno.
Ma anche questa “semplicità”, avrebbe scritto e detto Brecht, “è cosa semplice che è difficile fare”…

MARCO SFERINI

14 settembre 2017

foto tratta da Pixabay

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