John Garfield. Il comunista suona sempre due volte

Il primo "bello e dannato" della storia del cinema, due volte candidato all'Oscar, venne distrutto dalla "caccia alle streghe"

Il “bello e dannato”, l’antieroe che ha guai con la giustizia, ma ha un cuore d’oro, il ribelle, rappresenta un classico del cinema statunitense: da James Dean a Marlon Brando, da Montgomery Clift a Paul Newman, da Steve McQueen a Sean Penn, da River Phoenix a Keanu Reeves. Una figura amata ad ogni latitudine basti pensare al francese Alain Delon, al curdo Yilmaz Güney, all’indiano Amitabh Bachchan, solo per citarne alcuni. Ma tutti questi grandi attori hanno avuto un modello cui ispirarsi, un uomo che aprì loro la strada, il suo nome era John Garfield all’anagrafe Jacob Julius Garfinkle.

John Garfield

Il padre David Garfinkle (1881 – 1942), ebreo della Crimea, giunse negli Stati Uniti nel 1912. Profondamente religioso, credeva nei valori tradizionali e stentava ad adattarsi allo stile di vita americano, andò a vivere nell’East Side di New York, precisamente nell’affollato quartiere di Rivington Street, abitato prevalentemente da immigrati in cerca di fortuna. Nel 1908 aveva sposato Hannah Margolis (1881 – 1920), originaria dell’Ucraina, una donna affettuosa e paziente. Il 4 marzo del 1913 nacque Jacob Julius per tutti Julie.

David da contadino aveva trovato lavoro come operaio ed una sua dimensione come cantore di sinagoga. Nuove prospettive sembravano aprirsi. Nel 1918 nacque un secondo figlio Michael (Max), ma mamma Hannah si ammalò per le conseguenze del difficile parto del secondogenito e morì due anni dopo. Julie aveva appena sei anni, il fratellino nemmeno due. Un lutto che segnò il futuro attore per tutta la vita.

Jacob Julius Garfinkle nel 1920

Padre e figli si trasferirono prima a Brooklyn, poi nel Bronx, ma David, privo della dolcezza della moglie, crebbe i figli solo con disciplina ferrea a dogmi religiosi (al punto che anni dopo l’attore lo definì “un uomo ignorante, un fanatico religioso”), facendo crescere in Julie il desiderio di evadere.

Nel 1921 David Garfinkle si sposò con Dina Cohen (1893 – 1980), una donna di origini lituane, lasciando di fatto i due figli in custodia ai suoi familiari. Se il fratello Max riusciva ad adattarsi in ogni situazione, per Julius fu un periodo molto difficile. Non riusciva ad accettare la “nuova madre”, ebbe numerosi guai con la legge, era a capo di quella che oggi chiameremmo “baby gang”, e fu espulso da numerose scuole.

Nel settembre del 1926 il padre lo iscrisse alla Public School 45, nel Bronx a New York. L’istituto, situato a Lorriland Place, era diretto da Angelo Patri, un emigrato salernitano che si ispirava a Maria Montessori. L’uomo provò subito simpatia per il nuovo arrivato e nei due anni trascorsi in quella “scuola speciale”, il giovane Garfinkle riuscì a sfogare la propria aggressività con la boxe, a vincere un’insistente balbuzia recitando ad alta voce in classe, a partecipare ad alcune commedie, una delle attività extra scolastiche curate da Patri che lo iscrisse alla Roosevelt High School e in seguito, grazie ad una borsa di studio, alla Heckscher Foundation, dove studiò recitazione e arte drammatica, ed infine all’American Laboratory Theatre diretto da Maria Ouspenskaya e Richard Boleslawsky.

Angelo Patri

Nel 1930 Julius Garfinkle era un attore formato. Fece la comparsa in alcune tragedie shakespeariane, cui seguirono numerose apparizioni per il Civic Repertory Theatre fondato e diretto da Eva Le Gallienne (Londra, 11 gennaio 1899 – Weston, 3 giugno 1991). Nel 1932, ottenne una piccola parte in una commedia a Broadway, “Lost Boy”, al fianco di Elisha Cook Jr. (San Francisco, 26 dicembre 1903 – Big Pine, 18 maggio 1995) poi caratterista del genere noir, ma conosciuto soprattutto per aver interpretato Francis “Rampino” Hofstetler nella fortunata serie televisiva Magnum, P.I.

Ma a Julius Garfinkle i progressi ottenuti a New York non bastavano. Nel 1931, ad appena diciotto anni, iniziò ad attraversare gli Stati Uniti tra autostop e treni merci. Ottenne prima una parte nell’opera “Counsellor-at-law” di Elmer Rice, poi debuttò, un po’ casualmente, sul grande schermo nel film Footlight Parade (Viva le donne!, 1933) diretto da Lloyd Bacon (già attore al fianco di Charlie Chaplin), un musical nel quale Julius interpretò un marinaio entusiasta del numero musicale ballato dagli attori protagonisti James Cagney e Ruby Keeler. L’esperienza non entusiasmò l’attore che decise di dedicarsi esclusivamente al teatro. Cambiò il cognome da Garfinkle a Garfield.

Clifford Odets

Nel 1934 Julius entrò a far parte del Group Theatre, all’epoca il gruppo più innovativo degli Stati Uniti sia dal punto di vista artistico sia da quello sociale. Le pièces rispecchiavano l’orientamento politico della compagnia che portava in scena le iniquità inflitte al proletariato. Uno degli autori più prolifici era Clifford Odets (Filadelfia, 18 luglio 1906 – Los Angeles, 18 agosto 1963) con quale Julius strinse una profonda amicizia. Garfield, che aveva un’istruzione incompleta, si trovò per la prima volta a contatto con persone che discutevano animatamente di arte, letteratura e politica. Fu in quegli anni che l’attore si avvicinò, come molti della compagnia avevano già fatto, al Communist Party of the United States of America (Partito Comunista degli Stati Uniti d’America, CPUSA).

Per Garfield la prima apparizione col Group Theatre fu nella commedia “Gold Eagle Guy” di Mel Levy. Durante le poche repliche, l’attore sposò l’attrice Roberta “Robbie” Seidman (New York, 24 aprile 1914 – New York, 20 gennaio 2004). Il matrimonio, tra liti e sbandate, durò tutta la vita. I due ebbero tre figli: Katherine Hannah Garfield (Los Angeles, 28 ottobre 1938 – Los Angeles, 18 marzo 1945), David Patton (Brentwood, 25 luglio 1943 – Los Angeles, 24 novembre 1994, conosciuto anche come John Garfield Jr.) e Julie Garfield (Los Angeles, 10 gennaio 1946), questi ultimi seguirono le orme del padre e divennero attori.

Julius Garfinkle (al centro) a teatro nello spettacolo “Golden Boy”, ma non nel ruolo del protagonista

Nei cinque anni al Group Theatre, Julius Garfield ottenne sempre maggiore successo recitando, tra gli altri, in “Waiting for Lefty”, che nel 1935 lo fece imporre all’attenzione della critica, in “Weep for the Virgins”, probabilmente il suo maggiore successo a teatro, e in “Having Wonderful Time” che lo preparò ad un ruolo da protagonista. Ma ottenne, al contrario, una delle peggiori delusioni della sua vita. Odets aveva scritto pensando a lui “Golden Boy”, un dramma che raccontava la tormentata vita di un ragazzo di strada, Joe Bonaparte. Tutto era pronto, ma, a seguito di alcuni scontri interni al Group, la parte venne asegnata a Luther Adler.

In ogni caso i successi sul palcoscenico gli aprirono le porte di Hollywood e nel 1938 Garfield firmò un contratto con la Warner Bros. Se nel 1933 l’attore aveva rifiutato le offerte cinematografiche, i crescenti attriti nel Group Theatre lo spinsero alla scelta che si rivelò la sua fortuna, nonostante lo scetticismo di moglie ed ex colleghi.

In quegli anni la Warner era alla ricerca di nuovi divi. Humphrey Bogart, Bette Davis e James Cagney preferivano restare inattivi piuttosto che recitare il pellicole scadenti, Paul Muni funzionavo solo se pesantemente truccato, Errol Flynn veniva, a torto, relegato in ruoli secondari, la “major” ingaggiò così, oltre a Garfield, anche Ann Sheridan, Olivia de Havilland, Jeffrey Lynn, Jane Bryan, William Lundigan, Jane Wyman e il futuro Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan.

A Hollywood Julius Garfinkle divenne definitivamente John Garfield

Desideroso di mettersi al lavoro, l’attore incontrò una prima difficoltà: per i capi della Warner il suo nome Julius era troppo ebreo! Dopo una lunga trattativa raggiunsero un compromesso, da quel 1938 divenne Julius divenne John.

Il contratto garantiva a Garfield il diritto di scegliere le pellicole da interpretare, così come gli garantiva la possibilità di continuare a lavorare in teatro. La prima pellicola proposta all’attore fu Girls on Probation, un B movie poi interpretato da Ronald Reagan e Jane Bryan. Recitò quindi in Secrets of an Actress, ma le sue scene vennero tagliate in fase di montaggio dal regista William Keighley. Ancor più deludente fu la sua esclusione, a favore di Dick Foran, nel film The Sisters (Io ti aspetterò, 1938) diretto da Anatole Litvak con Errol Flynn e Bette Davis come protagonisti.

Durante questa paura John inizò sempre più ad occuparsi di politica, a lottare per i diritti dei lavoratori e per ogni causa ritenesse giusta. Ma Garfield non rimase a lungo inattivo, la Warner notò che i suoi capelli ricci, il suo leggero strabismo e la sua bocca sensuale, esercitavano un forte fascino sul pubblico femminile. Non solo. Bette Davis fu particolarmente colpita dal suo stile interpretativo e, insieme a Paul Muni che aveva lavorato con lui a teatro in “Counsellor-at-law”, convinsero la “major” ad affidargli un ruolo importante al loro fianco per il film Juarez. Ma prima la Warner lo coinvolse in tre pellicole che lo consolidarono come attore comprimario.

Quattro figlie (1938) di Michael Curtiz

La prima fu Four Daughters (Quattro figlie, 1938) diretto da Michael Curtiz. Tratto da un lavoro della scrittrice Fannie Hurst intitolato “Sister Act”, venne adattato per il grande schermo da Julius Epstein e Lenore Coffee che plasmarono il film su Errol Flynn e le Lane Sisters ovvero Lola Lane (21 maggio 1906 – 22 giugno 1981), Rosemary Lane (4 aprile 1913 – 25 novembre 1974) e la più nota Priscilla Lane (Indianola, 12 giugno 1915 – Andover, 4 aprile 1995). Errol Flynn alla fine rifiutò e venne sostituito da Jeffrey Lynn, mentre John Garfield ottenne il ruolo inizialmente pensato per Van Heflin o Eddie Albert. La quarta sorella richiamata nel titolo venne, invece, interpretata da Gale Page (Spokane, 29 luglio 1913 – Santa Monica, 8 gennaio 1983).

La vita del professor di conservatorio Adam Lemp (Claude Rains) e delle quattro figlie Ann (Priscilla Lane), Kay (Rosemary Lane), Thea (Lola Lane) e Emma (Gale Page), cui ha trasmesso la passione per la musica, viene vivacizzata dall’arrivo del compositore Felix Deitz (Jeffrey Lynn) e dal giovane irrequieto, ma pieno di talento Mickey Borden (John Garfield). Ann lascerà Felix per mettersi con Mickey, ma sarà proprio quest’ultimo a farle capire che ha sbagliato e, per permetterle di ritornare sui suoi passi, si suicida.

Uno dei film più sottovalutati di Curtiz, una commedia familiare che si trasforma in un melodramma. La Warner avrebbe voluto lanciare Jeffrey Lynn, ma fu Garfield a fare la differenze facendo del suo Mickey Borden un personaggio testardo e auto distruttivo. Una grande interpretazione che gli valse la nomination all’Oscar come Miglior attore non protagonista, poi assegnato a Walter Brennan per il film Kentucky.

John Garfield e Roberta “Robbie” Seidman

Dopo quel successo la Warner allungò il contratto di John a otto anni, cosicché la moglie Robbie poté finalmente raggiungerlo a Hollywood, dove nacque la figlia Katharine. Ormai Garfield aveva sfondato anche a Hollywood. Il successivo lavoro fu They Made Me a Criminal (Hanno fatto di me un criminale, 1939) diretto da Busby Berkeley. Il pugile Johnny Burns (John Garfield) è accusato dell’omicidio commesso dal suo viscido manager (Ward Bond). Fugge in Arizona dove ricomincia una nuova vita finché il detective Monty Phelan (Claude Rains) non scopre la sua vera identità. Remake del film The Life of Jimmy Dolan (La seconda aurora, 1933) diretto da Archie Mayo (poi regista di Una notte a Casablanca con i Fratelli Marx), Hanno fatto di me un criminale non è forse un capolavoro, ma servì all’attore per perfezionare il personaggio del ribelle, che paga per colpe non sue e che cerca a fatica di rifarsi una vita.

Terminato prima, ma distribuito dalla Warner solo dopo il successo di Quattro figlie e Hanno fatto di me un criminale, fu il successivo Blackwell’s Island (1939) diretto da William C. McGann. Nella pellicola Tim Haydon (John Garfield), un intrepido giornalista, dichiara guerra ad un criminale newyorchese “Bull” Bransom (Stanley Fields).

Forte del successo ottenuto, la Warner decise di affidare a Garfield la parte di Porfirio Díaz nel già citato Juarez (Il conquistatore del Messico, 1939) scritto da John Huston, ma diretto da Wilhelm Dieterle (Ludwigshafen am Rhein, 15 luglio 1893 – Ottobrunn, 8 dicembre 1972) attore e regista tedesco che aveva lasciato la Germania negli anni del Nazismo, ma che, ironia della sorte, aveva recitato al fianco dell’attore nazista per eccellenza, Emil Jannings.

Il conquistatore del Messico (1939) di Wilhelm Dieterle

Il film racconta lo scontro la Massimiliano I del Messico (Brian Aherne, sorprendentemente identico all’originale), imposto da Napoleone III (Claude Rains), e Benito Juárez (Paul Muni) capo dei guerriglieri repubblicani. Un kolossal storico con Garfield un po’ fuori luogo. Le migliori scene del film sono quelle in cui compare la moglie di Massimiliano, Carlotta del Belgio, intepretata con grande maestria da Bette Davis.

Jack Warner, il capo della “major”, voleva, tuttavia, continuare a sfruttare il successo di Quattro figlie producendo un sequel. Il produttore voleva far soldi con l’immagine dell’attore, ma c’era un problema: il personaggio interpretato da Garfield era morto suicida nel film precedente. Il risultato, affidato enlla scrittura da Julius e Philip Epstein, fu un ibrido ne sequel ne remake. Nacque così Daughters Courageous (Profughi dell’amore o Profumi d’amore, 1939) ancora diretto da Michael Curtiz.

Dopo venti anni di assenza Jim Masters (Claude Rains) torna e sconvolge la vita delle quattro figlie Buff, Tinka, Linda e Cora (Priscilla, Rosemary, Lola Lane e Gale Page) e della moglie Nancy (Fay Bainter) che è in procinto di risposarsi. Ma Gabriel Lopez (John Garfield), il fidanzato di Buff, in un finale malinconico, gli propone di ripartire insieme per nuove avventure.

Profughi dell’amore (1939). di Michael Curtiz

Altro film ingiustamente ignorato e trascurato, che, eliminando i quartetti musicali, risulta superiore al precedente. Le quattro “sorelle” comparvero anche in Four Wives (1939) sempre diretto da Curtiz e Four Mothers (1941) per la regia di William Keighley autentici sequel di Four Daughters e quindi senza Garfield. Entrambi inediti in Italia.

L’insuccesso commerciale di Daughters Courageous, convinse definitivamente la Warner: John Garfield “funzionava” solo nel ruolo di ribelle. In queste vesti recitò nel successivo Dust Be My Destiny (1939) diretto Lewis Seiler, ma scritto da Robert Rosse. Joe Bell (John Garfield) a torto imprigionato per “16 mesi, 13 giorni, 4 ore e 23 minuti”, una volta uscito dal carcere fa amicizia con la bella Mabel Alden (Priscilla Lane), ma quando il padre adottivo (Stanley Ridges) della ragazza scopre che la figlia è innamorata, scoppia una rissa e l’uomo muore per un attacco di cuore. Col timore di essere una volta di più accusato ingiustamente, Joe fugge, ma poi viene convinto dalla ragazza a costituirsi. Troverà quindi l’amore e la salvezza. Non un gran film, ma ormai Garfield era diventato il ribelle per eccellenza. Il primo “bello e dannato” della storia del cinema.

La Warner decise di sfruttare la figura di Garfield, in ruoli sostanzialmente simili tra loro, che avrebbero potuto rinchiuderlo in un cliché. Iniziò così un braccio di ferro tra John e la casa di produzione che, nel frattempo gli aveva impedito di interpretare per la Columbia la riduzione cinematografica dello spettacolo “Golden Boy”. Il protagonista del film, noto in Italia con titolo Passione (1939) e diretto da Rouben Mamoulian, venne affidato a William Holden al debutto sul grande schermo. Irritato per aver perduto la sua seconda possibilità di interpretare Joe Bonaparte, Garfield iniziò a rifiutare ogni parte assegnatagli al punto la la Warner lo sospese.

Il castello sull’Hudson (1940) di Anatole Litvak

Rientrò, tuttavia, per recitare una volta di più il ruolo del ribelle nel film Castle on the Hudson (Il castello sull’Hudson, 1940) diretto da Anatole Litvak, tratto dal libro “Twenty Thousand Years in Sing Sing” di Lewis E. Lawe da cui, nel 1932, era già stato tratto il film 20.000 Years in Sing Sing (20.000 anni a Sing Sing) diretto da Michael Curtiz con Spencer Tracy nel ruolo del protagonista. Proprio la possibilità di confrontarsi a distanza col grande attore, spinse Garfield ad accettare la parte.

Nel carcere di Sing Sing tra il detenuto Tommy Gordon (John Garfield) e il Direttore dell’istituto penitenziario Warden Long (Pat O’Brien) si instaura un rapporto di stima reciproca. Durante un permesso il prigioniero si caccia nei guai e si addossa la colpa di un omicidio per salvare Kay (Ann Sheridan) la sua ragazza. Finirà sulla sedia elettrica. Film onesto con una prova straordinaria di Burgess Meredith, altro comunista, nei panni di un carcerato psicopatico.

Il personaggio di Tommy Gordon era perseguitato dal sabato, che considerava il suo giorno sfortunato: era nato di sabato, era stato arrestato di sabato, era stato incarcerato di sabato, era stato trasferito a Sing Sing di sabato. Giorno che ritornò anche nel successivo Saturday’s Children (1940) di Vincent Sherman in cui l’attore interpretò la parte di Rims Rosson un giovane occhialuto, impacciato con le donne che sogna di diventare un grande inventore. Una parte cui Garfield teneva molto, anche perché il dramma era pensato dall’amico e mentore Clifford Odets. Ma il film fu un insuccesso al botteghino e la Warner rafforzò la propria idea sui ruoli che l’attore avrebbe dovuto interpretare.

Saturday’s Children (1940) di Vincent Sherman

Il ribelle tornò così nel successivo Flowing Gold (1940) diretto da Alfred E. Green. Johnny Blake (John Garfield) è incarcerato per un omicidio che non ha commesso. Riesce ad evadere e si ricostruisce un vita lavorando in un pozzo petrolifero. Ma la legge tornerà a farsi sentire. Un film che aggiunse poco o niente alla carriera dell’attore anche perché il suo personaggio era passato dall’archetipo alle stereotipo. Non migliore fu East of the River (Non mi ucciderete, 1940) ancora girato da Alfred E. Green. Un B movie in cui due fratellastri Joe e Nick Lorenzo (John Garfield e William Lundigan), che si trovano su fronti opposti della legge, si contendono la stessa donna (Brenda Marshall). Probabilmente il punto più basso nella carriera dell’attore.

Deluso Garfield rifiutò il ruolo del protagonista in High Sierra (Una pallottola per Roy), poi interpretato da Humphrey Bogart, e fu un peccato visto che, diretto da Raoul Walsh, l’attore avrebbe potuto raggiungere un ruolo ancor più importante all’interno della Warner. Nel 1941 tornò a lavorare con Michael Curtiz, il suo regista preferito, nel film The Sea Wolf (Il lupo dei mari).

La pellicola narra l’ultimo viaggio del “Ghost” una misteriosa baleniera in cui il capitano Wolf Larsen (uno straordinario Edward G. Robinson) regna con sadismo sull’equipaggio. L’arrivo sulla nave dell’emarginato ribelle George Leach (John Garfield), della donna fuggita dal riformatorio Ruth Webster (Ida Lupino) e dello scrittore idealista Humphrey van Weyden (Alexander Knox), va ad indebolire il potere del “lupo dei mari” e finisce per distruggerlo.

Il lupo dei mari (1941) di Michael Curtiz

Tratto dal romanzo “The Sea-Wolf” di Jack London, adattato da Robert Rossen, il film arrichì il classico tema della nave dei dannati con allusioni esplicite alla follie delle dittature che imperversavano in Europa. Notevole il gioco delle luci e delle ombre ispirate all’Espressionismo tedesco. Il ruolo di Garfield fu secondario, ma per tutta la carriera l’attore badò più all’importanza del soggetto che a quella del suo ruolo.

In The Sea Wolf per la prima volta Garfield si trovò a lavorare con un’attrice al suo livello Ida Lupino (Londra, 4 febbraio 1918 – Burbank, 3 agosto 1995), l’alchimia tra i due fu subito evidente. La Warner, che come ogni “major”, cercò di cavalcare l’onda e mise assieme i due attori anche nel successivo Out of the Fog (Fuori dalla nebbia, 1941) diretto da Anatole Litvak. I marinai Jonah Goodwin (Thomas Mitchell) e Florence Goodwin (Aline MacMahon) decidono di eliminare Harold Goff (John Grfield) il taglieggiatore che li perseguita e il caso da loro un aiuto. Modesta pellicola con Garfield non a proprio agio nei panni di un gangster e la Lupino assai poco convinta nella parte della figlia di Goodwin. Fu un fiasco colossale.

Garfield decise di rinegoziare il suo contratto non per i soldi, ma per i soggetti. Rinunciò, infatti, all’aumento cui tutte le “stelle” ambivano con l’impegno di girare meno film e di poter lavorare anche con altre case di produzione, ma si dimenticò di inserire nel contratto il diritto di scegliere i ruoli da interpretare. Fu così coinvolto nel modesto Dangerously They Live (1941) diretto da Robert Florey (già autore del Dottor Miracolo con Bela Lugosi e primo regista dei Fratelli Marx in The Cocoanuts). Il dottor Michael “Mike” Lewis (John Garfield) aspira ad un avanzamento di carriera, ma si lascia abbindolare dalla bellissima agente inglese Jane Graystone (Nancy Coleman) e da un gruppo di spie naziste capeggiate dal dottor Ingersoll (Raymond Massey).

Gente allegra (1942) di Victor Fleming

Un film modesto, tuttavia Garfield stava davvero pensando alla guerra, era pronto a partire per l’Europa o il Giappone, ma un difetto cardiaco lo tenne lontano dal servizio attivo. Quando Pearl Harbor venne bombardata, il 7 dicembre 1941, stava girando un film per la prima volta per un altro studio, per la Metro-Goldwyn-Mayer.

Si trattava di Tortilla Flat (Gente allegra, 1942) diretto da Victor Fleming, già regista del celeberrimo Via col vento, ma fu la possibilità di recitare al fianco di Spencer Tracy che lo convinse. La pellicola racconta la pigra vita di un gruppo di emigrati messicani a Monterey in California. Nonostante il cast, il film fu davvero mediocre e Garfield, nella parte di Daniel Alvarez, ozioso, irresponsabile, superstizioso, non rese affatto.

Poco dopo l’uscita del film morì il padre, David Garfinkle. L’attore passò il resto del 1942 a vendre “buoni di guerra” e ad intrattenere le truppe. Nel 1943 tornò alla Warner per partecipare ad un grande film, diretto da un grande regista: Air Force (Arcipelago in fiamme) di Howard Hawks. La pellicola descrive le avventure dell’equipaggio del bombardiere “Mary-Ann”, dalla partenza in California all’arrivo a Pearl Harbor fino alla sosta forzata a Manila dove, sotto le bombe nemiche, i militari riescono a riparare il velivolo e a ripartire per nuovi missioni nel pacifico.

Arcipelago in fiamme (1943) di Howard Hawks

La pellicola doveva essere un semplice film di propaganda, ma risultò essere il miglior film sulla Seconda guerra mondiale girato a guerra in corso. Un film corale dove ogni attore ha la sua parte ben definita e dove Garfield interpreta il mitragliere Joe Winocki che passa dall’essere un individualista aggresivo a pilota capace di salvare il bombaridere.

Sempre nel 1943 uscì anche un altro film di propaganda Destination Tokyo (Destinazione Tokio) per la regia di Delmer Daves. Nel film il capitano Cassidy (Cary Grant) guida un sommergibile in missione nelle acque giapponesi e si scontra con lo scanzonato Wolf (John Garfield, Lupo nella versione italiana), ma i contrasti si risolvono di fronte al pericolo. Banale pellicola in cui affiora solo la xenofobia verso i giapponesi.

Ben più interessante il successivo The Fallen Sparrow (Il passo del carnefice, 1943) di Richard Wallace, girato per la RKO. John “Kit” McKittrick (John Garfield), un reduce della Guerra civile spagnola, torna a New York per indagare sulla morte di un amico, aiutato dall’intraprendente Toni Donne (Maureen O’Hara). Ossessionato dalle torture subite durante la prigionia, deve difendersi dai nazisti capeggiati da Otto Skaas (Hugh Beaumont). I momenti migliori del film sono rappresentati dal tormento psicologico del protagonista che sente i passi dello zoppo che lo aveva torturato. Montaggio curato da Robert Wise, poi regista di successo.

Il passo del carnefice (1943) di Richard Wallace

Seguirono, nella carriera di Garfield, due di quei filmacci a cui le “major” ricorrevano per ottenere un incasso sicuro schierando, nell’epoca dello “star system”, tutte le proprie “stelle”. Il primo fu Thank Your Lucky Stars (1943) di David Butler che vide l’attore nelle insoliti veste di cantante, il secondo Hollywood Canteen (Ho baciato una stella, 1943) di Delmer Daves, che si ispirava all’omonimo club fondato per iniziativa di Bette Davis e John Garfield e frequentato gratuitamente dai soldati in licenza dal fronte. Nella pellicola l’attore riveste i panni di un improbabile cameriere.

Anche il successivo Between Two Worlds (Tra due mondi, 1944) non fu un gran film. Nella pellicola Tom Prior (John Garfield), un frustrato giornalista, si trova tra i passeggeri morti di un transatlantico in rotta verso l’aldilà. La crisi professionale era appesantita da quella personale; il 18 marzo del 1945 morì drammaticamente la figlia Katharine, a causa di una reazione allergica. Aveva solo sei anni. Distrutto John Garfield decise di tornare a lavorare solo perché colpito dalla storia del marine Al Schmid che, rimasto cieco in un combattimento, aveva passato una difficilissima convalescenza prima di riuscire ad adattarsi alla nuova vita. Garfield persuase la Warner a portare sul grande schermo la storia. Nacque Pride of the Marines (C’è sempre un domani, 1945) diretto da Delmer Daves.

John con la figlia Katharine, morta ad appena sei anni

Il marine Al Schmid (John Garfield) viene accecato durante un attacco giapponese a Guadalcanal. Rientrato in patria vorrebbe fuggire e nascondersi da tutti, ma la fidanzata Ruth Hartley (Eleanor Parker) gli fa tornare la voglia di vivere. Il dramma dei reduci di guerra portato per la prima volta sul grande schermo con passaggi politici molto forti (su tutti il dialogo tra i soldati feriti). Grande prova di Garfield che passò molto tempo col vero Al Schmid per potersi muovere naturalmente nell’oscurità.

Nel 1946 l’attore maturò l’idea di abbandonare la Warner per fondare una casa di produzione indipendente, ma aveva ancora alcuni impegni da rispettare. Il lavoro successivo lo consacrò nella storia della “settima arte”. La MGM aveva acquistato i diritti del romanzo “The Postman Always Rings Twice” scritto da James M. Cain, pubblicato per la prima volta nel 1934. Un libro che aveva già ispirato Le Dernier Tournant (1939) diretto dal francese Pierre Chenal e Ossessione (1943) il primo lungometraggio di Luchino Visconti. Preoccupata dello scomodo confronto, la Metro-Goldwyn-Mayer riuscì ad impedire che il film del regista italiano uscisse nelle sale americane, la versione integrale giunse negli USA solo nel 1976!

Il postino suona sempre due volte (1946) di Tay Garnett

Questo nuovo adattamento venne durato da Niven Busch (New York, 26 aprile 1903 – San Francisco, 25 agosto 1991) che conservò la passionalità della vicenda. Per la regia venne contattato Tay Garnett (Los Angeles, 13 giugno 1894 – Sawtelle, 3 ottobre 1977) già autore di One Way Passage (Amanti senza domani, 1932), Slave Ship (Il mercante di schiavi, 1937) e Seven Sinners (La taverna dei sette peccati, 1940). Il ruolo del protagonista maschile fu affidato ovviamente a John Garfield, a Lana Turner (Wallace, 8 febbraio 1921 – Century City, 29 giugno 1995) quello femminile. Il 2 maggio del 1946 uscì nelle sale americane The Postman Always Rings Twice ovvero Il postino suona sempre due volte.

Frank Chambers (John Garfield), un vagabondo in cerca di fortuna, facendo l’autostop giunge nel ristorante gestito da Nick Smith (Cecil Kellaway). Viene assunto come tuttofare, ma cade vittima del torbido fascino di Cora Smith (Lana Turner), la giovane moglie del proprietario. Inizialmente Frank resiste, per l’affetto sincero che nutre per il vecchio Nick, ma la donna non gli da tregua. La loro passione è palpabile e i due progettano l’omicidio del marito. Il primo tentativo fallisce, ma il secondo ha successo, anche se gli amanti hanno ormai attirato i sospetti del Procuratore Distrettuale Kyle Sackett (Leon Ames). Incolpati e condotti in tribunale, i due giovani vengono messi uno contro l’altra dai rispettivi avvocati. Sorprendentemente prosciolti vivono però tra diffidenze e gelosie. Alla fine si riappacificano, ma durante un viaggio in auto Cora rimane vittima di un incidente e Frank viene nuovamente accusato di omicidio e condannato a morte. Il giovane si dichiara innocente, ma accetta l’esecuzione per l’omicidio di Nick dicendo: “È come quando stai aspettando una lettera che non vedi l’ora di ricevere, e tu fai su e giù davanti alla porta per paura di non sentire il postino. Non tieni conto che il postino suona sempre due volte”. Ovvero i due hanno pagato con la vita la morte di Nick.

Cecil Kellaway, John Garfield e Lana Turner nel celeberrimo Il postino suona sempre due volte

Capolavoro della storia del cinema, tra i film più citati di sempre, una tragedia del destino, un enorme successo commerciale che consolidò John Garfield e lanciò Lana Turner grazie al suo erotismo “rarefatto ed evocativo per motivi di censura. La sequenza della sua entrata in scena è un pezzo da antologia: bastano un rossetto, un paio di caviglie, una succinta mise bianca – completata con un asciugamano a mo’ di turbante – per materializzare un’autentica dark lady…” (Mereghetti). Rifatto nel 1981 da Bob Rafelson con Jack Nicholson e Jessica Lange nei ruoli dei protagonisti.

Tornato alla Warner per esaurire il contratto realizzò due film per la regia di Jean Negulesco (Craiova, 26 febbraio 1900 – Marbella, 18 luglio 1993). Il primo fu Nobody Lives Forever (Una luce nell’ombra, 1946). Uscito di prigione dove era finito per colpa del suo socio, Nick Blake (John Garfield) va in cerca di vendetta, ma l’amore per Gladys Halvorsen (Geraldine Fitzgerald), una ricca vedova che avrebbe dovuto uccidere, lo salverà. Ennesimo ruolo identico confezionato dalla Warner per l’attore.

Perdutamente (1946) di Jean Negulesco

Più interessante il secondo film diretto da Jean Negulesco, Humoresque (Perdutamente, 1946). Figlio di un droghiere e virtuoso del violino, Paul Boray (John Garfield) raggiunge fama e successo grazie alla protezione della mecenate Helen Wright (Joan Crawford), una donna cinica e romantica al tempo stesso, della quale diventa presto l’amante. Ma quando questa ottiene il divorzio dal marito Victor Wright (Paul Cavanagh) capisce che sarà sempre seconda alla musica. Scritto dall’amico Clifford Odets insieme a Zachary Gold, il film pose l’accento “sull’impossibilità dell’amore e sulla fallibilità degli ideali”. Fu l’ultimo film per la Warner.

Dopo un cameo nella parte di se stesso nel film Daisy Kenyon (L’amante immortale) diretto da Otto Preminger, l’attore fondò, insieme all’amico Bob Roberts, la Enterprise Productions, una casa di produzione indipendente che riunì registi, sceneggiatori e attori di idee comuniste e progressiste allo scopo di realizzare film socialmente impegnati. Una scelta che non passò inosservata. Garfield, per le sue lotte, era già finito nella lista nera di Martin Dies Jr, il politico democratico tra i più attivi nella “caccia ai comunisti”, ma con quella scelta ebbe su di se il mirino della House Committee on Un-American Activities (HUAC, la Commissione per le attività antiamericane).

Anima e corpo (1947) di Robert Rossen

Il primo film con la nuova compagnia fu Body and Soul (Anima e corpo) diretto da Robert Rossen e scritto da Abraham Polonsky, nelle sale il 22 agosto del 1947. Charlie Davis (John Garfield) usa la boxe per uscire dalla povertà e in breve tempo da pugile dilettante arriva ad essere campione del mondo, ma per farlo sulla strada del successo sacrifica l’amicizia, gli affetti e l’amore della fidanzata Peg Born (Lilli Palmer). Finisce così nelle mani della malavità che organizza scommesse, ma nell’ultimo incontro trova il coraggio di ribellarsi e, dopo aver vinto l’incontro oggetto di combine, lascia il ring dicendo ai gangster: “Che cosa potete farmi, uccidermi? Tutti dobbiamo morire”.

Body and Soul fu un successo. Una delle migliori prove per Garfield, tormentato e ribelle. “Memorabile la fotografia di James Wong Howe nella sequenza finale, grazie alla sua piccola statura, sgusciava con dei pattini a rotelle tra i due boxeur, per ottenere i primi piani desiderati” (Mereghetti). Il film ottenne tre nomination all’Oscar: Miglior attore protagonista per Garfield, Miglior sceneggiatura originale per Abraham Polonsky e Miglior montaggio per Francis Lyon e Robert Parrish che si aggiudicarono l’ambita statuetta.

Nel cast numerosi attori e attrici progressisti o comunisti: Anne Revere nella parte della madre del protagonista, Lloyd Gough in quello del manager/gagnster Roberts, Canada Lee nelle vesti dell’avversario e poi mentore di Charlie, Art Smith diede invece il volto a David Davis. Non meno di sinistra erano anche il regista Rossen e lo sceneggiatore Polonsky che, persuaso da Garfield, decise di scrivere e dirigere il secondo film per la Enterprise.

Barriera invisibile (1947) di Elia Kazan

Ma il clima si faceva sempre più pesante. Il 20 ottobre del 1947, poco prima delle tristemente storiche deposizioni di Ronald Reagan e Gary Cooper, il produttore Jack Warner, davanti alla Commissione per le attività antiamericane, parlò di “purezza americana” delle sue produzioni. Fu goffo e servile al punto da ringraziare la HUAC per il lavoro svolto e, nel sottolineare la sua avversione al comunismo, fece alcuni nomi di dodici attivisti che aveva prontamente “smascherato e licenziato”. Tra questi figuravano Dalton Trumbo, Roberto Rossen e Clifford Odets, ma non Garfield che, prima di terminare il nuovo film della Enterprise, partecipò a Gentleman’s Agreement (Barriera invisibile, 1947) prodotto dalla Twentieth Century-Fox per la regia di Elia Kazan.

Per scrivere una serie di articoli sull’antisemitismo, Phil Green (Gregory Peck), aiutato dall’amico Dave Goldman (John Garfield), si finge ebreo e scopre che il razzismo si nasconde anche in ambienti e persone insospettate, magari convinte in cuor loro di non esserlo, come la fidanzata Kathy Lacey (Dorothy McGuire). Uno spunto originale e controcorrente che tuttavia non riesce a graffiare. Oggi la pellicola può sembrare ingenua, ma all’epoca fece discutere (la comunità ebraica di Hollywood si mobilitò). Vinse tre Oscar: Miglior film, Migliore regia, Migliore attrice non protagonista (Celeste Holm).

Ultimate le riprese con Kazan, Garfield tornò al progetto ideato insieme a Polonsky, si trattava di Force of Evil (Le forze del male) che uscì il 25 dicembre del 1948. Un avvocato di successo Joe Morse (John Garfield), cura gli interessi legali di Ben Tucker (Roy Roberts) un gangster che vuole controllare tutte ricevitorie clandestine legate alle scommesse. Una di queste è gestita dal fratello Leo Morse (Thomas Gomez), ma quando quest’ultimo viene ammazzato, Joe si ribella e uccide Tucker per poi consegnarsi alla giustizia.

Le forza del male (1948) di Abraham Polonsky

Un bel noir con al centro una denuncia all’ambiguo ordine della società capitalista, riflesso speculare della malavita. Un bel parallelo tra capitalismo e crimine organizzato. Altra grande prova per John Garfield “cavaliere nero dell’America, criminale perché irresponsabile, innocente perché un ordine superiore l’ha trasformato” (Mereghetti).

Tuttavia durante le riprese de Le forze del male la Enterprise Productions si trovò quasi sull’orlo del fallimento anche a causa dell’insuccesso di Arch of Triumph (Arco di trionfo, 1948) diretto da Lewis Milestone, uno dei progetti più ambiziosi della compagnia con Ingrid Bergman e Charles Boyer come protgonisti. La MGM decise consì di finanziare Force of Evil, ma non entusiasta del film tagliò alcune scene prima della distribuzione. La Enterprise chiuse i battenti nel 1949 ormai accerchiata dalla Commissione per le attività antiamericane.

Robert Rossen

Robert Rossen (New York, 16 marzo 1908 – Hollywood, 18 febbraio 1966) fece in tempo a vincere un Oscar al Miglior film per All the King’s Men (Tutti gli uomini del re, 1949), una violenta denuncia contro la corruzione dilagante negli stati del Sud degli USA, ma segnalato come comunista prima da Jack Warner, poi da Elia Kazan, fu costretto all’esilio. Non gli venne, infatti, rinnovato il passaporto e fu costretto a trasferirsi prima in Italia, dove diresse Silvana Mangano nel film Manbo (1954), poi in Messico. Finita la triste epoca del “maccartismo” realizzò The Hustler (Lo spaccone, 1961), pellicola che consacrò Paul Newman.

Abraham Polonsky

Conseguenze pesanti anche per Abraham Polonsky (New York, 5 dicembre 1910 – Los Angeles, 26 ottobre 1999), militante comunista dai tempi della Guerra civile spagnola, sindacalista del Congress of Industrial Organizations (CIO) e curatore del periodico di sinistra The Home Front, venne definito “cittadino molto pericoloso” e per questo bandito da Hollywood. Fu costretto a lavorare sotto falso nome e venne “riabilitato” solo grazie all’aiuto di Robert Redford che lo fece tornare alla regia con la pellicola Tell Them Willie Boy Is Here (Ucciderò Willie Kid, 1969).

Carriere distrutte anche per altri compagni e compagne di Garfield. Anne Revere rimase lontana dagli schermi per oltre venti anni, Lloyd Gough, insieme alla moglie Karen Morley, vide la propria carriera finita, stessa sorte anche per Canada Lee, colpevole anche di battersi per i diritti civili, e Art Smith.

I guadagni ottenuti per l’interpretazione di Anima e corpo e i profitti del film da Oscar Barriera invisibile (150000 dollari), consentirono a Garfield di tornare a teatro per sola passione. Lavorò per l’American Theatre Association, rifiutando, ironia della sorte, il ruolo di Stanley Kowalski nello spettacolo “A Streetcar named Desire” (“Un tram che si chiama Desiderio”), che consacrò a divo un giovane attore che si chiamava Marlon Brando.

Stanotte sorgerà il sole (1949) di John Huston

Nel 1948 Garfield partecipò attivamente, insieme al CPUSA, alla campagna presidenziale di Henry A. Wallace, già vice Presidente nel terzo mandato di Franklin Delano Roosevelt, che aveva lasciato il Partito Democratico per fondare il Progressive Party, il Partito Progressista. Il candidato ottenne il 2,4% dei voti, per Garfield fu una bella esperienza, ma il cerchio intorno all’attore si stava chiudendo.

John Garfield recitò successivamente in We Were Strangers (Stanotte sorgerà il sole, 1949) diretto dal grande John Huston. Negli anni trenta un gruppo di rivoluzionari cubani, con l’aiuto dell’americano Anthony Fenner (John Garfield), tenta di uccidere il dittatore dell’isola, ma il piano fallisce. Il protagonista e la giovane China Valdés (Jennifer Jones), che Fenner aveva imparato ad amare, vengono accerchiati. L’uomo muore sotto i colpi del nemico, proprio mentre i rivoluzionari prendono il potere. Una pellicola che anticipò la storia. “E, comunque, girare un film del genere – con blacklisted Garfield come protagonista – suonava come una sfida. Il risultato commerciale fu però un disastro” (Mereghetti).

L’attore tornò ad essere diretto da Jean Negulesco nel successivo Under My Skin (La sua donna, 1950). Basato sul romanzo “My Old Man” (“Il mio vecchio”) di Ernest Hemingway. Nel film Dan (John Garfied), un fantino corrotto, tenta di cambiare vita per amore del figlio Joe (Orley Lindgren) e della bella vedova Paule (Micheline Presle). Ma i gangster lo seguono ovunque. Non un gran film, ma a tratti toccante.

Golfo del Messico (1950) di Michael Curtiz

Anche la successiva pellicola interpretata dall’attore venne tratta da un romanzo di Hemingway, “To have and have not” (“Avere e non avere”), già portato sul grande schermo da Howard Hawks nel film To Have and Have Not (Acque del sud, 1944) con Humphrey Bogart e Lauren Bacall come protagonisti. Il 30 settembre del 1950 uscì nelle sale americane The Breaking Point (Golfo del Messico) diretto da Michael Curtiz.

Per mantenere la famiglia, Harry Morgan (John Garfield) trasporta col suo battello ricchi turisti appassionati di pesca lungo le coste della California. Imbrogliato da uno di essi, si ritrova senza soldi sulle coste messicane. Accetta così di trasportare illegalmente, insieme all’amico Wesley Park (un bravissimo Juano Hernandez), immigrati cinesi negli USA.

Girato principalmente in esterna (diversamente dagli standard hollywoodiani dell’epoca che ricostruivano tutto in studio), Golfo del Messico è tutt’ora l’unico film fedele al testo e allo spirito del libro (portato al cinema anche da Don Siegel con Agguato nei Caraibi), nonché la migliore interpretazione di John Garfield, perfetto nel rappresentare il tema della colpa e dell’espiazione, tema caro allo scrittore, che nel film raggiunse inediti significati sociali, anche esplicitamente di classe.

L’attore, che soffriva di cuore, e per questo era stato esonerato dal servizio militare nella Seconda guerra mondiale, ebbe una forte crisi cardiaca durante la lavorazione di Under My Skin, gli venne prescritto assoluto riposo, ma continuò a lavorare, come se sapesse di avere ancora poco tempo a disposizione. Il film successivo fu He Ran All the Way (Ho amato un fuorilegge).

Ho amato un fuorilegge (1951) di John Berry

Dopo una rapina finita nel sangue Nick Robey (John Garfield, Rocco nella versione italiana) si rifugia in una piscina pubblica dove conosce la giovane Peg Dobbs (Shelley Winters). Quando la ragazza porta Nick nel suo appartamento, l’uomo decide di tenere in ostaggio tutta la famiglia. La donna, tuttavia, si innamora di lui, ma saranno le paranoie dell’uomo a portare alla tragedia.

Scritto da Dalton Trumbo e diretto da John Berry, che presto verranno messi al bando, Ho amato un fuorilegge è “una disperata riflessione sull’impossibilità di fidarsi degli altri […] Evidente il richiamo al clima di sospetto e paura instaurato dal maccartismo che Garfield restituisce con una prova di straziante empatia, come se presagisse quello che stava per succedergli” (Mereghetti). Fu, infatti, l’ultimo film per John Garfield.

Le indagini della HUAC si facevano sempre più insistenti. Le accuse contro John Garfield aumentavano. All’improvviso i telefoni smisero di squillare. Mentre l’ultimo film era in fase di montaggio, il 23 aprile del 1951 l’attore venne convocato davanti alla Commissione per le attività antiamericane, resistette alle domande per oltre tre ore. Non fece alcun nome di collega e recitò la parte dell’ingenuo. Negò di essere stato su una nave sovietica insieme a Charlie Chaplin, dichiarò di non aver mai conosciuto nessun comunista, confermò di aver sostenuto Wallace, ma solo come “liberal convinto”, affermò di non ricordarsi delle numerose cene fatte a sostegno dei rifugiati antifascisti. La difesa di Garfield, rischiosa quanto umiliante, riuscì nel suo intento. Non venne individuato come “testimone ostile”, ma il suo cuore, già malato, ne risentì.

John Garfield un grande ucciso dalla “caccia ai comunisti”

Garfield col teatro non aveva mai chiuso e spesso tornava a recitare sul palcoscenico. Nel luglio del 1951 riuscì finalmente a interpretare la parte di Joe Bonaparte nello spettacolo “Golden Boy” scritto per lui quindici anni prima dall’amico Clifford Odets. Ma fu proprio l’amico a denunciarlo davanti alla “Commissione”. Elia Kazan confermò: “John Garfield è un comunista”. Carriera finita. Vita finita.

Venne fissato un nuovo interrogatorio. Per l’attore non erano ovviamente i sospetti di comunismo a turbarlo, ma quelli infamanti sul tradimento nei confronti del suo Paese. Iniziò così a raccogliere prove per rigettare ogni accusa davanti all’opinione pubblica. Sempre più schiacciato da quella inquisizione, il 9 maggio 1952 lasciò per sempre New York, si allontanò dalla famiglia (pare fosse intenzionato a separarsi dalla moglie Roberta). La mattina del 20 maggio, Garfield, contro ogni parere medico, per rilassarsi giocò alcune partite a tennis. Il giorno dopo era prevista la secoda deposizione davanti all’HUAC. Passò quindi passò la serata con l’attrice Iris Whitney (Pasadena, 20 febbraio 1908 – New York, 26 novembre 1997), ma improvvisamente si sentì gelido. Andò nell’appartamento della donna e si mise a letto. La mattina seguente venne trovato morto. Avevo appena 39 anni. Una morte tutt’ora poco chiara, ma la serenità persa nei giorni folli della “caccia al comunista” ebbe un ruolo determinante. Il suo funerale fu il più grande a New York dai tempi di Rodolfo Valentino, oltre 10000 persone affollarono il corteo funebre. L’attore venne sepolto nel Westchester Hills Cemetery, a New York.

Garfield realizzò 32 film, venne diretto dai più grandi registi dell’epoca (Michael Curtiz, Anatole Litvak, Victor Fleming, Howard Hawks, Elia Kazan, John Huston), ottenne 2 nomination all’Oscar, formò la coppia di “deboli perversi” con Lana Turner, che rimane una delle più celebri nella storia del cinema, definì uno stile in cui l’arroganza nasconde la vulnerabilità, aprì la strada Marlon Brando e James Dean, e fu ucciso dalla follia anti comunista.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“John Garfield” di George Harris – Milano libri edizioni
“Fuori i Rossi da Hollywood! Il maccartismo e il cinema americano” di Sciltian Gastaldi – Lindau
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

Immagini tratte da: immagine in evidenza da pinterest.com e Screenshot del film Il postino suona sempre due volte, foto 1, 4, 5, 6, 8, 17, 29 da pinterest.com, foto 2, 24, 25 da en.wikimedia.org, foto 3 da giornaledelcilento.it, foto 7, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 26, 27 28 Screenshot del film riportato nella didascalia

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