Italicum, fiction finita. E il PD litiga anche sui numeri

Montecitorio. Passa la mozione farsa Dem-Ap-Ala, i 5 stelle votano con la sinistra. La legge si cambia, dopo il referendum. La minoranza si smarca. Bersani: «Non dice nulla, ma le volpi finiscono in pellicceria»

Ieri pomeriggio alla Camera la maggioranza ha votato una mozione (293 sì, 157 no e 13 astenuti) che suona come la parodia del linguaggio politichese, un perfetto stile Prima Repubblica. Dice in realtà l’esatto contrario di quello che è scritto: «La Camera si impegna ad avviare nelle sedi competenti una discussione sulla legge 6 maggio 2015 numero 52 al fine di consentire ai diversi gruppi parlamentari di esplicitare le proprie eventuali proposte di modifica della legge elettorale attualmente vigente e valutare la possibile convergenza sulle suddette proposte». Eventuale, valutare, possibile. Tradotto: la Camera non si impegna a un bel nulla, l’Italicum sarà cambiato, per forza, ma dopo il referendum e da chi lo vincerà. Se ne riparla nel 2017. La minoranza Pd protesta e non vota. Ma anche sul computo dei dissenzienti finisce in rissa.

All’uscita di un dibattito parlamentare in cui ogni forza politica recita senza convinzione la sua parte, il capogruppo del Pd Ettore Rosato risponde vago ai cronisti che prendono sul serio la mozione: «Sì, vogliamo dialogare anche con le opposizioni», «Certo, si aprirà sarà un tavolo, poi». In aula democratici (non le minoranze), alfaniani, centristi misti e verdiniani (ma non Giuseppe De Mita, che si astiene) votano il testo del nulla. «L’Italicum non ha più padri, avete scoperto che non vi conviene più ma non ci dite dove, come e quando la cambierete», attacca Arturo Scotto, capogruppo di Sinistra Italiana e autore della mozione da cui nasce tutto il can can, «con la vostra mozione avete scritto ’ciaone’ a un confronto serio in parlamento. A questo punto non restano che le urne referendarie». La mozione della sinistra, che chiede di cancellare «i palesi vizi di costituzionalità dell’Italicum» non passa ma prende ben 109 sì (287 no): raccoglie infatti i voti dei 5 stelle, che pur dichiarando «inemendabile» la legge elettorale non se la sentono di non votare un testo che in teoria dovrebbero condividere dalla A alla Z. Loro presentano un testo che rilancia il cosiddetto «democratellum», e se lo votano da soli (la sinistra si astiene). Ma Rosato si cava il gusto di ricordare «il 3 dicembre 2015, quando il collega Di Battista legittimamente proponeva un ordine del giorno che impegnava l’aula a non modificare l’Italicum. Dopodiché, sarà arrivata una telefonata da Genova o Milano, non lo so, e hanno cambiato idea». E a un Brunetta che intima a Renzi di dimettersi se vuole cambiare una legge sulla quale ha imposto ben tre voti di fiducia, Rosato ricorda che anche Forza Italia ha votato l’Italicum. Quasi fino alla fine. Il centrodestra fa una figuraccia: la mozione Fi-Lega-Fdi prende 43 voti.

Ma alla fine è il Pd ad uscire con le ossa rotte. Prima del voto la riunione dei deputati finisce male. Per la minoranza bersaniana il testo concordato con gli alfaniani e i verdiniani è una presa in giro. «Le volpi finiscono in pellicceria», sbotta Bersani citando Craxi. «Non c’è nulla. Io ho chiesto che il governo prendesse un’iniziativa comparabile con quella che prese con l’Italicum, quando arrivò fino al punto di mettere la fiducia, quando arrivò fino al punto di togliere dalla commissione chi non era d’accordo». Meno drastico il giudizio di Gianni Cuperlo che apprezza «l’atto di apertura», ma il testo «è timido e reticente». Cuperlo annuncia un’iniziativa per il prossimi giorni, forse la richiesta di una direzione a tema. Difficile capire perché Renzi dovrebbe dire sì: è lo stesso segretario a non avere idea in che direzione modificare la legge elettorale. Fin qui è sicuro di non voler eliminare il ballottaggio. Ma il referendum potrebbe incaricarsi di fargli cambiare idea. Quanto alla mozione, per i renziani «la sinistra non avrebbe comunque votato la mozione altrimenti avrebbe dovuto votare sì al referendum». I bersaniani hanno già annunciato il no. Non Cuperlo. Alla fine le minoranze Pd non parteciperanno al voto. Secondo i tabulati sono 42, fra presenti e assenti, quelli che non pigiano il bottone.

Ma anche il Pd si divide anche sui numeri. Chiusa la votazione, Rosato annuncia ai cronisti che dei 42 deputati non votanti «solo 24 non hanno partecipato al voto per scelta politica». Dalla minoranza arriva una smentita irritata: «Dà i numeri. Siamo 33 o 34. È un segnale politico, nessuno pensava di mettere in difficoltà la maggioranza».
Infatti la maggioranza sta serena e invita le forze politiche a presentare le loro proposte. M5S l’ha fatto ieri in aula con il suo quasi-proporzionale. Forza Italia ha le idee confuse. Quanto alla minoranza Pd, ieri stesso 21 senatori guidati dai bersaniani Fornaro e Gotor hanno firmato e depositato la proposta del Mattarellum 2.0. E la sinistra già vendoliana, da anni ferma sul Mattarellum, negli ultimi tempi ha rilanciato il proporzionale. Ma per discuterne c’è tempo ce, almeno fino a dicembre.

DANIELA PREZIOSI

da il manifesto.info

foto tratta da Pixabay

categorie
Politica e società

altri articoli