Il Controtempo: l’Uomo che plasma i tempi

Il compagno è peculiarmente colui che modella la Storia, questa sua caratteristica è molto spesso tralasciata

In questa settimana sono rimasto molto colpito da una affermazione di un mio professore a proposito dell’attuale condizione della filosofia e delle proposte per risolvere la crisi. Il Professore, in una lezione introduttiva alla Critica della Ragion Pura di Immanuel Kant, ha dichiarato che l’attuale critica filosofica, al contrario di quanto accadeva precedentemente, è e resta critica, analisi non propositiva. Eppure, la condizione in cui s’imperversa a causa dell’anarchia geopolitica degli ultimi vent’anni.

Esiste, forse, un modo per spiegarsi in sincerità lo storico intreccio di eventi e connessioni, basti fare un doppio confronto fra l’odierno tempo, l’epoca post-giacobina e l’età d’ellenismo. Oggigiorno, come allora, si vive una fase di transizione –ahinoi, quant’è brutto l’eufemismo storico!– dai fasti rivoluzionari ed universalisti al mero frazionismo orfano di rappresentanza. Un tempo i fasti ribelli divenivano abitudine e la novità s’inaridiva.

È così per noi, che ci troviamo nel mezzo di un vortice fra l’esser soggiogati in pieno e la ribellione al giogo capitalista, spalmati in una miriade di sfumature, di mille pieghe e mille colori in cui facile è che tutto diventi nero, ma se prima le età auree furono seguite da notti buie, ciò non vuol dire che non possa accader viceversa.

La Filosofia comunista, a partire dal secondo Ottocento, prende le posizioni rivoluzionarie in modo netto e sistematico, in altre parole, si fa «Filosofia della Rivoluzione». Attenendosi all’analisi storica di tutto il secolo diciannovesimo si denota immediatamente che esistono una serie di concause recondite all’avvento del Socialismo Scientifico, ovvero: il luddismo, la irrappresentabilità della classe proletaria e la morte del Giacobinismo.

Quest’ultimo, però, è l’effetto sia della devastazione stragista di Maximilien Robespierre durante il periodo del Terrore Rosso, che l’attestazione della decadenza politica della cultura radical-illuminista dopo l’avvento dell’idealismo hegeliano, dacché questi riconobbe la contraddizione delle libertà individuali promosse dai Giacobini.

Parimenti alle scatole cinesi, le concause risiedono l’una nell’altra; mentre in questa decadenza risiede anche la concausa dell’irrappresentabilità politica operaia, invece la problematica del luddismo risiede nella medesima irrappresentabilità. In sintesi, bisogna riconoscere che la fine dell’età illuminista e della Rivoluzione Francese arrestò il processo di riconoscimento del Proletariato, come parte integrante della società democratica, che poi fu “sfogato” dagli operai stessi nel luddismo, ergo, nell’avversione anacronistica verso la macchina, in quanto simbolo di un percorso di progresso tecnologico mercificato e sfruttatore.

È proprio in questo subbuglio di repressione dei diritti del popolo intiero, che nascono le teorie socioeconomiche socialiste e si dà man forte alla classe oppressa, perché tutta la trasformazione dell’ambiente intorno all’individuo è incominciata ad essere troppo rapida e sconcertante, anche per i governanti ed i medesimi borghesi. Sicché lo sconcerto di alcuni trova rifugio nella Lega dei Giusti, poi denominata Lega dei Comunisti, ed inizia a formarsi un apparato programmatico di opposizione al Capitale, poi vi aderiscono Marx ed Engels, vi si contrappone Bakunin ed infine si delinea nella sua totalità la strategia rivoluzionaria del Comunismo.

D’altro canto, le varie influenze che il Comunismo ha assorbito nel corso della Storia dall’Ottocento al Novecento hanno stravolto l’accezione primordiale del termine, similmente al Capitalismo dell’epoca, in brevissimo tempo. Infatti, se prima il Comunismo era di stampo messianico, adesso è di stampo materialista ed ateo, ovvero marxista.

Se la lotta di classe nell’Ottocento ha avuto una caratterizzazione “romantica” verso il mondo romano, trovando simboli forti nella figura di Spartaco, riprendendo i vessilli del Giacobinismo radicale francese, è grazie anche all’attenzione di Marx e Rosa Luxemburg verso il mondo antico quanto al loro recente passato, così come, senza l’intervento di ampliamento della Scuola di Francoforte, oggi non avremmo la psicologia sociale e l’analisi della società odierna e queste non avrebbero quel carattere critico che le permea tuttora.

Agendo così, però, costoro non semplicemente posero una connessione sia storica oltre che sentimentale col passato, ponendosi “secondo natura” nel deflusso, ovverosia prendendo il testimone della rivoluzione. Bisogna, però, denotare anche certa nonchalance per la critica al riferimento e ciò dimostra più che mai che Carlo Marx non fu mai un controcorrente (NB in senso più che positivo, perché s’inserì nel suo contesto ed agì seguendo una specifica corrente) ma controtempo, fu, paradossalmente, il contrappunto che sublima l’armonia della Fiumana del Progresso e non un inconscio continuatore o radicalizzatore delle sue politiche contemporanee.

Controcorrente o controtempo?

E dunque cos’è meglio fra l’essere controcorrente e l’essere controtempo? Ha un senso essere in direzione ostinata e contraria, quando il mondo incomincia il gourmet di salmoni? In molti non trovano differenza fra i due tipi e se li trovano confondono l’essere anacronistici o nostalgici con quest’ultimo.

La nostra società sfrutta con grande profitto l’anticonformismo, ne è una delle linfe vitali che permette il rinnovamento conservazionista, così garantendo una sperequazione impercettibile fra guardiani del Capitale e dissidenti e che si dimostra una menzogna utile a far cessare le vere voci fuori dal coro.

I Saggi dicono sempre bisogna vedere da lontano le cose per poterle comprendere, bisogna vederle in prospettiva e fu così che, da “presbiti” come diceva Calamandrei, fu scritta la nostra amata Costituzione. Ciò nonostante, il controtempo, l’Uomo fautore del futuro, è colui che forza i tempi, è un frutto maturo fra acerbi, stravolge lo status quo minando le sue false certezze e reimponendo la Verità. È, in sostanza, il pazzo colla lanterna di Also Sprach Zarathustra.

Ciò che ci stupisce di qualcuno al di fuori del mondo non è mai la sua astrusità, la proprietà d’esser tanto lontani, tanto reconditi alla vista, da non poter essere afferrati come recita d’altronde l’etimo del verbo latino abstrudere. Ciò che ci arreca meraviglia è il senso lato dell’essere astrusi nel tempo, ovvero l’essere lontani dai tempi, l’esser demodé o “troppo avanti”. Se ci si pensa bene, quello che sommariamente molti definiscono pazzo, che rigettano per la sua stravaganza o indefessa perseveranza e serietà è ciò che più lo rende libero, assoluto, sciolto da un mondo di norme sociali che impongono la morte della bontà, lo strazio della sincerità, la schiavitù dell’amore alla mercificazione. Noi si crede nella Verità, pur essendo in un paradosso di menzogne ed è forse per questo che la società rifiuta rigidamente sia noi che gli anarchici, gli antifascisti ed i radicali.

Siamo, in fondo, come l’antieroe di Tempi Moderni, il nostro essere enti contrapposti al tempo politico. Il protagonista, dopo un esaurimento nervoso ed il licenziamento da una fabbrica fordista, va alla ricerca di un lavoro, ma per mille peripezie finisce in carcere, forse unica fortuna che gli capita, viene rilasciato per buona condotta dopo aver sventato un’evasione dal carcere e riceve una lettera di raccomandazione da parte dello sceriffo, da lì in poi esce e torna più volte dal carcere e lavora per varie ditte, in cui, puntualmente, viene licenziato. Si innamora d’una orfana monella e per amore tenterà in ogni modo di salvare sia lei che sé stesso dalla povertà, ma, anche quando nelle vicissitudini tutto si volge al meglio, la forza dell’amore prevarrà sui sogni.

In sintesi, il valore più grande è l’unione nell’amore e nella solidarietà, da cui possono crescere i sogni. Il nostro voler essere agenti e non oggetti del mondo, ci porta non solo a nuotare contro la corrente, ma anche a plasmarla e trasformarla senza venire affetti dall’accidentalità, come la sequoia dall’intemperie. Sempre più alti, decisi a baciare il sole mantenendoci comunque stretti alla ricca terra, stretti tutti intorno al bosco, intrecciando le nostre radici in un’abbraccio solidale col mondo, questo è voler dire essere controtempo. Charlie Chaplin ci mostrò nel suo celeberrimo film questa integerrima volitività, l’uomo controtempo deve vivere di sentimenti e crescere, ma mai arrestarsi, anche quando la pioggia lava le zolle.

GIANMARCO MEREU

14 marzo 2017

foto tratta da Pixabay

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Filosofia

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