Glauber Rocha. L’estetica della fame

Il Brasile, la "Settima arte" e il Cinéma Nôvo

“Esistono poveri in tutto il mondo, ma in certi Paesi i poveri sono più poveri. La povertà italiana, tedesca, francese, svedese e americana è certamente molto diversa da quella dell’America del Sud… in Brasile per qualcuno anche le favelas sono troppo care…” con queste parole l’ex Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva cercava di descrivere la realtà del suo Paese. Il presidente-operaio era, infatti, nato nel Nordeste (il nord est del Brasile) la seconda regione del Paese per popolazione, ma anche la più povera. Una terra che diede i natali e ispirò anche il calciatore e allenatore campione del mondo Mário Zagallo, i musicisti Gilberto Gil e Caetano Veloso e il regista che più di altri influenzò il cinema del “terzo mondo”, Glauber Rocha.

Limite (1931) di Mário Peixoto

Il cinema in Brasile “debuttò” presso il civico 57 di rua do Ouvidor a Rio de Janeiro l’8 luglio del 1896. Dieci anni dopo venne realizzata la prima pellicola a soggetto, distribuita l’anno successivo grazie allo sviluppo nel Paese della rete elettrica. Nel 1931 uscì nelle sale il primo film importante non solo del Brasile, ma di tutto il Sud America, Limite (Confine) diretto da Mário Peixoto (Bruxelles, 25 marzo 1908 – Rio de Janeiro, 3 febbraio 1992). Considerato un classico del “cinema puro”, svincolato cioè da qualsiasi soggetto riconoscibile o storia, in Limite le immagini di un uomo e di due donne che vagano su una barca tra le onde sono il filo conduttore di una serie di altre immagini e sequenze cadenzate su un ritmo ampio. L’opera, che impressionò Sergej Ėjzenštejn, rimase isolata sia nel panorama del cinema brasiliano sia nella carriera del regista che non realizzò più alcun film, lasciando incompiuto il successivo Onda a terra acaba.

Decisamente più prolifico fu Humberto Mauro (Volta Grande, 30 aprile 1897 – Volta Grande, 5 novembre 1983). La madre, Teresa Duarte, era originaria dello stato di Minas, a sud del Paese, il padre, Gaetano, era un operaio tecnico emigrato dalla provincia di Salerno (a proposito di immigrazione…). Humberto prima di “scoprire” il cinema seguì le orme paterne e divenne elettricista, radioamatore, costruttore di apparecchi riceventi, ma fu anche scacchista, musicista e fotografo. Trasferitosi a Cantagues si avvicinò al cinema attraverso le pellicole statunitensi che occupavano la programmazione nell’unico cinema locale. Nel 1925, con pochi mezzi, realizzò Valadião, o Cratera ponendosi all’attenzione del pubblico e della critica. Molto legato ai temi e alla cultura della sua terra Mauro girò il cosiddetto “ciclo di Cantagues” composto da Braza Dormida (1929), Sinfonia de Cataguases (1929) e Sangue di Minas Gerais (1930). Con l’avvento del sonoro si trasferì a Rio, ma il suo capolavoro, il successivo Ganga bruta (1933), rimase un film sostanzialmente muto, sonorizzato solo con dei dischi.

Ganga bruta (1933) di Humberto Mauro

Un dramma erotico-sociale su un macho brasiliano che ammazza la moglie il giorno delle nozze e, una volta assolto per delitto d’onore, diventa direttore di una fabbrica in una metropoli, combatte gli operai e cerca di sedurre un’ingenua dipendente. Nella pellicola si fondono elementi da romanzo d’appendice (con qualche sfumatura erotica dove perfino le macchine industriali diventano una metafora sessuale) con motivi di chiaro impegno politico. Film a torto considerato “provinciale”, come lo fu negli stessi anni in Europa Zero in condotta di Jean Vigo. Da segnalare, infine, il primo film sonoro di Mauro, purtroppo perduto, Favela dos meus amores (1935) un musical in cui l’autore distruggeva alla base le regole stesse del musical, genere molto popolare nell’intera America Latina. Mauro fu attivo fino agli anni cinquanta e fu senza dubbio il più grande regista brasiliano prima di Glauber Rocha.

Glauber de Andrade Rocha nacque il 14 marzo del 1939 a Vitória da Conquista nello stato di Bahia, da Adamastor Braulio da Silva Rocha proveniente da una famiglia di piantatori di cacao e Lúcia Mendes De Andrade discendente da una famiglia di allevatori di bestiame, appartenente alla minoranza religiosa protestante. Il padre, membro della Massoneria, appoggiava politicamente il tenente Juracy Magalhães incaricato militare dello stato di Bahia dopo la rivoluzione del 1930 e partecipò attivamente alla vita politica fino all’elezione a Presidente del Brasile del laburista Getúlio Vargas. Ma Vitória da Conquista secondo i ricordi del futuro regista era una delle città più violente del Brasile: “Nacqui tra comizi e sparatorie e fui educato secondo i principi della chiesa Battista, con libertà di leggere e interpretare il Vecchio e il Nuovo Testamento”.

Glauber Rocha

Con il colpo di stato che depose Vargas il 29 ottobre 1945, per evitare rappresaglie, la famiglia Rocha si trasferì prima a Caculé dove il padre si occupò di costruzioni stradali poi, nel 1947, a Salvador de Bahia dove Glauber frequentò un collegio gestito da presbiteriani nordamericani che si contendevano con la Chiesa cattolica la colonizzazione religiosa dei brasiliani. Terminati gli studi nel liceo religioso, nel 1953 Rocha si iscrisse alla facoltà di Diritto che frequentò per tre anni. Fu in quegli anni che si avvicinò al cinema, la programmazione era ovviamente statunitense e arrivava in Brasile con anni di ritardo. Il piccolo Glauber rimase impressionato da Capitan Blood di Michael Curtiz che segnò l’inizio del fortunato ciclo di film d’avventura con Errol Flynn e da Il segno della croce di Cecil B. De Mille. Ma Rocha fu soprattutto colpito dal film Raíces del regista messicano Benito Alazraki. Da quel momento iniziò a scrivere come critico e pensò alla possibilità di realizzare un progetto cinematografico per il Brasile e per l’intera America Latina.

Ma continuavano ad essere anni difficili per il Paese sudamericano. Il Presidente Vargas, tornato nel 1951 a capo del Paese, avviò la nazionalizzazione dell’estrazione e della distribuzione del petrolio. Il provvedimento non piacque ai capitalisti che, strumentalizzando l’inflazione crescente, spinsero il Presidente al suicidio. Era il 24 agosto del 1954. Lo stesso anno iniziò l’impegno politico di Glauber Rocha. Nel 1950 aveva debuttato in teatro con “El hilito de oro”, lo spettacolo commemorativo dell’Operazione Panamericana, e sfruttando la sua curiosità artistica fu convinto da un ragazzo della sua scuola ad entrare nel Circulo de Estudo Pensamento e Ação (Centro di Studi Pensiero e Azione, CEPA). Tentò, grazie al “centro”, di montare la piéce di Cocteau, “Les Parentes Terribles” ed “Huis Clos” di Jean-Paul Sartre, ma non c’erano le condizioni. Quel circolo era di fatto l’organismo regionale dell’Ação Integralista Brasileira (Azione Integralista Brasiliana, AIB) il movimento guidato da Plinio Salgado che si ispirava apertamente al Fascismo italiano. Rocha fu consacrato Aguilha Branca, titolo per i giovani fascisti, ma quando comprese (aveva appena 16 anni) la natura politica del CEPA, guidato dall’anticomunista Germano Machado, lasciò per sempre quell’ambiente.

Cangaçeiros del Sertão

Dopo aver fondato un gruppo teatrale fra gli studenti, Rocha inizò a scrivere sia di arte e letteratura sulla rivista “Mapa”, sia di critica cinematografica sulle pagine di “O momento”, organo del Partido Comunista do Brasil (Partito Comunista del Brasile, PCdoB). Dopo appena sette mesi la rivista chiuse i battenti e Rocha passò al settimanale “7 dias”. Divenne giovanissimo uno degli animatori del cineclub di Bahia mentre all’università animava le lotte studentesche. Iniziò a guadagnarsi da vivere come giornalista al “Journal de Bahia”, lavoro che gli consentì di conoscere meglio la realtà brasiliana, approfondendo i fenomeni del banditismo (i “cangaçeiros”) e del Sertão la zona arida e semi desertica del Nordeste considerata, per la fame e la miseria, una piaga nazionale. Ma il cinema rimaneva la sua passione.

La produzione statunitense occupava il 90% del mercato. Vargas nei due mandati da Presidente aveva investito nella “settima arte”, ma con la sua morte il Governo nazionale non diede più alcun appoggio ad un cinema che aveva visto nelle opere di Mário Peixoto e Humberto Mauro dei capolavori assoluti. Alla fine degli anni cinquanta i pochi film prodotto in Brasile erano realizzati grazie al contributo di privati. Le “majors” americane dettavano legge (“La Fox, la Paramount, la Metro sono i nostri nemici. Ci schiacciano”). In queste condizioni come poteva emergere il cinema brasiliano?

Per provare a dare una risposta, Glauber Rocha si cimentò dietro la macchina da presa. Nel 1957 girò un cortometraggio sperimentale, Um Dia Na Rampa, nel 1959 realizzò Pátio (1958), prodotto grazie ai finanziamenti di un borghese bahiano e ad un contributo del Comune di Salvador. Le pellicola, un cortometraggio di 18 minuti girato con due soli personaggi e senza dialoghi, descriveva la tormentata relazione sessuale tra due ragazzi. Il film successivo, rimasto incompiuto, fu Cruz na Praça (1959) che con un impronta surreale affrontava il tema dell’omosessualità.

Trasferitosi a Rio de Janeiro per montare i film, Rocha entrò in contatto con il centro politicamente e culturalmente più vivo del Brasile di quegli anni. Conobbe e si confrontò con altri futuri registi: Joaquim Pedro de Andrade (Rio de Janeiro, 25 maggio 1932 – Rio de Janeiro, 10 settembre 1988), Carlos Diegues (Maceió, 19 maggio 1940), Leon Hirszman (Rio de Janeiro, 22 novembre 1937 – Rio de Janeiro, 15 settembre 1987), David Neves (Rio de Janeiro, 14 maggio 1938 – Rio de Janeiro, 23 novembre 1994), Paulo Saraceni (Rio de Janeiro, 5 novembre 1933 – Rio de Janeiro, 14 aprile 2012).

Pátio (1958)

Questo nucleo di persone, insieme al regista Nelson Pereira dos Santos (São Paulo, 22 ottobre 1928), e ai critici cinematografici Gustavo Dahl (Buenos Aires, 8 ottobre 1938 – Trancoso, 26 giugno 2011) e Jean-Claude Bernardet (Charleroi, 2 agosto 1936), iniziò a riflettere sui mali del cinema brasiliano e sulle sue cause. Sui modi per creare un “cinema nuovo”. I giovani cineasti iniziarono a studiare Marx, Gramsci e Lukács insieme ai film di Ejzenštejn e il surrealismo francese. Al gruppo si aggiunsero Ruy Guerra (Lourenço Marques, 22 agosto 1931), Walter Lima Jr. (Niterói, 26 novembre 1938) e il “vecchio” Humberto Mauro che Rocha considerava il più grande regista brasiliano di sempre.

La prima riflessione fu sulla cultura di importazione, soprattutto europea e nordamericana, che impediva la costruzione di un cinema che rappresentasse il vero spirito nazionale. In secondo luogo l’attenzione si spostò sull’industria cinematografica, sui mezzi e sui capitali, difficili da ottenere in un Paese instabile come il Brasile. Un altro problema da superare era quello relativo alla cultura latino-americana che spesso veniva stereotipata (l’indigeno bonario e scanzonato). Ma il problema più grande rimaneva la quasi impossibilità dei film brasiliani di uscire nella sale. A cambiare un poco la situazione fu la presidenza di Juscelino Kubitschek che diede nuovo impulso all’economia e alla cultura nazionale (sotto la sua presidenza venne avviata la costruzione della capitale Brasilia).

Il gruppo iniziò a finanziare e a realizzare i primi lungometraggi con pochi mezzi e tante idee, non casualmente il motto era “Uma câmera na mão e uma idéia na cabeça” (“Una macchina da presa in mano e un’idea in testa”). Nacque il Cinéma Nôvo. Il regista parlò di questo nuovo movimento per la prima volta nell’agosto del 1960 dalle pagine del “Journal do Brasil” e nuovamente l’anno successivo anche a seguito delle polemiche che la radicalità del nuovo movimento aveva fatto scoppiare al Festival del cinema latino americano a Santa Margherita Ligure.

Barravento (1962)

Le tematiche centrali del movimento si focalizzavano attorno alla povera situazione economica e sociale del Brasile, usando spesso come sfondo delle pellicole il nord est del Paese e il Sertão, e le grandi città, in particolare le loro favelas. I temi maggiormente trattati furono la segregazione, la frantumazione dei valori, la crisi di identità del singolo, la rassegnazione ai mutamenti storico-sociali, la brutalità delle guerre. Se la musica, grazie a Caetano Veloso, Gilberto Gil viveva il Tropicalismo, la settima arte viveva il Cinéma Nôvo.

Il primo lungometraggio di Glauber Rocha fu Barravento (1962) iniziato dallo sceneggiatore Luís Paulino dos Santos che fu costretto ad abbandonare il set per motivi personali. Rocha da contratto dovette portare a termine il film, riscrisse il copione e terminò le riprese nel 1961. Non contento del risultato abbandonò il progetto fino a quando l’amico Dos Santos, autore negli anni cinquanta di uno dei primi film politici, Rio, 40 Graus (1955), non rivelò il suo interesse per il film. Rocha riprese il lavoro e montò con l’amico regista la pellicola.

Nel villaggio di Buraquinho, vicino a Bahia, i pescatori neri accettano con rassegnazione la condizione di povertà e sottomissione alle leggi dei bianchi, fino a quando torna dalla città Firmino (Antonio Pitanga) che cerca di sovvertire l’ordine costituito, incitandoli alla rivolta con tutti i mezzi possibili dalla violenza alla magia. Egli è la voce del progresso e trova le maggiori resistenze in Aruã (Aldo Teixeira) il leader della comunità.

Con Barravento, il nome che i brasiliani danno alla tempesta, Rocha mischiò mito e superstizione, presa di coscienza e lotta sociale. La pellicola venne presentata al Festival di Karlovy Vary e poco dopo a quelli di Sestri Levante, New York, Londra, Santa Margherita Ligure e Poretta Terme dove ottenne i plausi della critica. Uno dei maggiori obiettivi del Cinéma Nôvo era quello di risvegliare la coscienza politica delle masse, ma Barravento rimase rinchiuso nelle sale d’essai. In Italia solo su Fuori orario.

Deus e o Diabo na Terra do Sol (Il dio nero e il diavolo biondo, 1964)

Il Brasile, nel frattempo, aveva cambiato più volte Presidente. Il 7 settembre 1961 venne eletto João Goulart che volgeva lo sguardo a sinistra, sostenendo riforme volte a liberare il Paese dall’imperialismo USA. Ne giovò anche il Cinéma Nôvo che si vide finanziare diverse opere, i cui proventi andavano ad aiutare i registi emergenti. La produzione fu abbondante e di qualità: Cinco vezes favela (1962) di Leon Hirszman, Ganga Zumba (1962) di Carlos Diegues, Vidas Secas (1963) di Nelson Pereira dos Santos, Garrincha, Alegria do Povo (1963) di Joaquim Pedro de Andrade, Os Cafajestes (1962) e Os fuzis (I fucili, 1964) di Ruy Guerra e Deus e o Diabo na Terra do Sol (Il dio nero e il diavolo biondo, 1964) il film simbolo dell’intero movimento.

Un povero contadino del Nordeste, Manuel (Geraldo Del Rey), sposato con Rosa (Yoná Magalhães), subisce un torto da un ricco proprietario di bestiame e lo uccide. Costretto a fuggire si unisce ad una comunità che segue le fanatiche indicazioni di un ambiguo santone, il “beato” Sebastião (Lidio Silva) che promette l’avvento del Paradiso sulla terra quando il Sertão ed il mare si uniranno. La Chiesa ufficiale per sbarazzarsi di Sebastião ingaggia Antonio das Mortes (Maurício do Valle), un cacciatore di cangaçeiros (i ribelli della regione) perché uccida il monaco e stermini la sua comunità. Ma Rosa ormai stanca uccide il “beato” prima dell’arrivo di Antonio che lascia lei e il marito in vita. I due si uniscono così al Capitão Corisco (Othon Bastos, piuttosto noto anche in Italia per aver recitato nella telenovela Nido di serpenti e in Central do Brasil.) un violento cangaçeiro che cerca vendetta dopo la morte del capo della sua banda Lampião e della sua fidanzata Maria Bonita, ad opera dei soldati. Ma Antonio das Mortes è sulle tracce di Corisco, che raggiunge ed uccide lasciando ancora una volta Manuel e Rosa a vagare per il Sertão verso una nuova vita, mentre il cantastorie, le cui note hanno accompagnato tutto il film, spiega che “Il mondo non è né di Dio né del Diavolo, ma solo dell’uomo”.

Con Deus e o Diabo na Terra do Sol, costato quattromila dollari e girato in appena 23 giorni, Rocha volle parlare al Paese, alla sua gente e per farlo usò mitologie popolari, storia e cultura del Brasile avvalendosi di personaggi realmente esisiti (il “beato” e il “cangaçeiro”) per trasmettere un messaggio contro i neo colonialismi. Negativi sono Sebastião e Corisco che affidano unicamente alla fede e alla speranza ogni possibilità di trasformazione sociale, ma ancor più negativo è Manuel, ribattezzato Satanas, che vive tutto passivamente, incapace di assumere qualunque decisione. Paradassalmente positiva la figura di Antonio das Mortes simbolo della vendetta, che da una parte è al soldo dei proprietari terrieri e della Chiesa, ma dall’altra fa giustizia delle rivolte sbagliate, mito di morte che comunque rappresenta per i diseredati una vera liberazione. Il regista anni dopo scrisse che “la violenza è normale quando il popolo muore di fame”. Un film capace di unire uno stile cinematografico innovativo con ideali fieramente anticolonialisti, non casualmente l’allora venticinquenne Rocha disse “Un mondo diviso male non può produrre bene”.

il duello finale tra Capitão Corisco e Antonio das Mortes

Ma la vita politica del Brasile venne nuovamente scossa. Il 31 marzo del 1964 le Forze Armate presero il potere con un golpe, destituendo João Goulart e instaurando un regime militare guidato Humberto Castelo Branco. Quando Deus e o Diabo na Terra do Sol fu pronto per essere proiettato il Governo ne sequestrò tutte le copie. Se non fosse stato per il fatto che il film era stato presentato, peraltro con grande successo, a Cannes, non sarebbe mai stato visto in Brasile. Infatti l’eco della positiva critica costrinse il Governo a rimetterlo in circolazione.

Sempre nel 1965 Rocha durante un volo Los Angeles-Milano elaborò il testo che sarebbe diventato il manifesto del Cinéma Nôvo “Uma estética da fome” (“Estetica della ame”) in cui il regista sottolineò come il cinema nato dalla fame e dalla disperazione del Terzo mondo non possa che mettere in scena la violenza, intesa come forma rivoluzionaria contro ogni falsa conciliazione. Il “manifesto” venne presentato da Rocha a Genova in anteprima durante V Rassegna del Cinema Latinoamericano svoltasi tra il 21 e il 30 gennaio 1965 (insomma, quando la Liguria i tappeti rossi li aveva per davvero), per poi essere pubblicato nel luglio dello stesso anno sulla Revista Civilização Brasileira.

Ma con il regime militare le maglie della censura iniziarono a farsi sempre più strette e la vita degli autori sempre più difficile. Sempre nel 1965 Glauber Rocha e Joaquim Pedro de Andrade vennero imprigionati a seguito di una manifestazione e liberati solo grazie all’intervento del Ministro della guerra Artur da Costa e Silva che voleva mettersi in luce.

Terra em transe (1967)

Il terzo lungometraggio di Rocha, ancora girato in Brasile, fu Terra em transe (Terra in trance, 1967) con cui il regista criticò il silenzio degli intellettuali della sinistra, impreparata a fronteggiare il regime. Nell’immaginaria nazione di Eldorado, l’intellettuale comunista Paulo Martins (Jardel Filho) è diviso tra la paternalistica amicizia di Porfirio Díaz (Paulo Autran) e l’ammirazione per il leader populista Felipe Vieira (José Lewgoy), ma quando il potere inasprirà la repressione l’intellettuale non potrà far altro che andare incontro a morte sicura. Con un lungo flashback Rocha disse alla sinistra dormiente del suo paese: svegliatevi prima che sia troppo tardi. “Un viaggio cinematografico impervio, ma che spesso emoziona e coinvolge con la forza della poesia” (Mereghetti).

Nel 1968 Glauber Rocha partecipò come attore a Vent d’Est (Vento dell’Est, 1970) di Jean-Luc Godard e girò a Rio, in soli quattro giorni, il film sperimentale Câncer (1968) prodotto dalla RAI. La pellicola venne montata a Cuba e presentata in anteprima in Italia, mentre in Brasile uscì solo nel 1972.

Al Governo del Paese era nel frattempo giunto proprio Artur da Costa e Silva e il regime si avviava ad una radicalizzazione della dittatura. La sinistra era divisa, lontana dal costruire un fronte unico. Ma siamo nel 1968 e le lotte studentesche, unite a quelle operaie, attraversarono il Paese. Rocha girò il suo quinto lungometraggio O Dragão da Maldade contra o Santo Guerreiro (Antonio das Mortes) in cui l’autore volle, riprendendo ambienti e personaggi di Deus e o Diabo na Terra do Sol, sottolineare che il Nordeste era ancora li, voleva dimostrare che arretratezza economica e sociale non erano state cancellate dallo sviluppo industriale. Realizzò il film con uno stile come sempre “sospeso tra realismo e dimensione onirica”, ma più comprensibile rispetto alle pellicole precedenti, per arrivare a un pubblico più vasto.

O Dragão da Maldade contra o Santo Guerreiro (Antonio das Mortes, 1968)

Nel Nordeste i contadini esasperati dalla fame, iniziano una rivolta contro il padrone che ingaggia Antonio das Mortes (Maurício do Valle) per proteggersi. Quest’ultimo prende coscienza della ragione dei più poveri e passa dall’essere un killer al soldo dei potenti a giustiziere al fianco del popolo in rivolta. Sconfitti gli emissari del potere, Antonio se ne va, novello San Giorgio (il santo più popolare tra i contadini, “O Santo Guerreiro” che, in una leggenda più popolare che religiosa sconfisse il drago richiamato nel titolo originale) verso altri mali da abbattere, simboleggiati dallo stemma della Shell.

“Rocha realizza un film crudo e violento, suggestivo e delirante, una denuncia più emotiva che razionale dello sfruttamento e dell’oppressione” (Mereghetti) che rischiò di non essere visto in Brasile.

Il Paese, infatti, era scivolato in una sanguinaria dittatura militare guidata da Emílio Médici. Il Brasile venne ridotto al silenzio assoluto, chi non era d’accordo col regime veniva perseguitato, torturato e ucciso. Per Rocha e per altri uomini di cultura non rimaneva che l’esilio. Il regista insieme a Carlos Diegues, Nelson Pereira dos Santos, Joaquim Pedro de Andrade e Gustavo Dahl raggiunse l’Europa dove realizzò filmati per la televisione francese e per la RAI.

Nel frattempo la censura in Brasile aveva bloccato O Dragão da Maldade contra o Santo Guerreiro sequestrandone le copie. Rocha riuscì a portarne una in Europa, presentò il film a Cannes e si aggiudicò il Premio per la regia alla 22ª edizione del Festival. Come era accaduto per Deus e o Diabo na Terra do Sol il regime fu costretto a rimetterlo in circolazione.

Der Leone Have Sept Cabeças (Il leone a sette teste, 1970)

Non potendo tornare in Brasile, Rocha partì per il Congo. L’Africa non era semplicemente il luogo d’origine dei neri che avevano così fortemente influenzato la cultura brasiliana, ma era una terra colonizzata come il Sud America. Nel “continente nero” realizzò Der Leone Have Sept Cabeças (Il leone a sette teste, 1970).

Realizzato con cadenze da teatro popolare, il film si sviluppa in vari episodi che vedono protagonisti un agente della CIA (Gabriele Tinti) che fa l’amore col capitalismo ovvero Marlene (Rada Rassimov), un mercenario tedesco (Aldo Bixio), un commerciante portoghese (Hugo Carvana), un prete italiano (Jean-Pierre Léaud), un guerriero bianco Pablo (Giulio Brogi), un capo rivoluzionario (Miguel Samba) e un borghese riformista.

Un lavoro sul colonialismo occidentale (il titolo originale è composto dalle lingue dei cinque Paesi imperialisti, italiano compreso) che venne presentato alla Mostra del cinema di Venezia suscitando reazioni contrastanti.

Nello stesso anno Rocha iniziò in Spagna la lavorazione Cabezas cortadas (Teste tagliate, 1971) in cui un tiranno sente avvicinarsi la morte. La sua fine è l’inizio di un nuovo mondo che vedrà il popolo prendere il potere. Un film che proseguì il percorso ideale del regista: la rivoluzione era profetizzata in Deus e o Diabo na Terra do Sol la rivoluzione, in embrione in O Dragão da Maldade contra o Santo Guerreiro, concretizzata in Der Leone Have Sept Cabeças, definitiva in Cabezas cortadas.

Cabezas cortadas (Teste tagliate, 1971)

Dopo un breve ritorno in Brasile (maggio del 1970), dove vide con i propri occhi la ferocia della dittatura, Rocha si trasferì in Cile per realizzare Stella del Sole un film sugli esiliati brasiliani nel Paese. Una pellicola che non vide mai la luce, da li a poco il Governo guidato da Salvador Allende verrà spodestato con un golpe finanziato dalla CIA. Una nuova e brutale dittatura devastò il Sud America e costrinse all’esilio cineasti unici come Alejandro Jodorowsky.

Nell’ottobre del 1972 Rocha incontrò Marco Medeira leader del Movimento studentesco brasiliano, anch’egli in esilio. Da li nacque l’idea di realizzare un film capace di spiegare la storia e di conseguenza l’attualità brasiliana. Rocha si recò a Cuba per incontrare Alfredo Guevara Direttore dell’ICAIC (Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos) che aveva criticato il Cinéma Nôvo, i due nel frattempo si erano chiariti anche grazie ad una lettera inviata dal regista e pubblicata nell’agosto del 1972 e Guevara offrì tutti i mezzi tecnici necessari. Dopo un anno e mezzo di lavoro era pronto História do Brasil (1973), ma il regista ritirò a propria firma poiché non soddisfatto dell’opera basata su materiale di repertorio.

Rocha si stabilì così a Roma, divenne amico di Carmelo Bene e lo convinse a recitare in Claro (1975). Ambientato nella Roma degli anni ’70 nella pellicola, semi sconosciuta, gli intellettuali di strada erano diventati mezzi vagabondi e i vagabondi si ergevano a mezzi intellettuali.

Dopo cinque anni di esilio, nel 1976 Glauber Rocha tornò in Brasile e realizzò Di (1977), un cortometraggio sul pittore brasiliano Emiliano di Cavalcanti. Quindi girò Jorge Amado no Cinema (1979). Il suo ultimo film, A idade da terra (1980) che unì cattolicesimo e marxismo, realismo e fantasia. La pellicola venne presentato alla Mostra del cinema di Venezia, dove fu oggetto di attacchi da parte di molti critici europei, che in quest’opera vedevano esaurita la spinta innovativa del Cinema Nôvo.

Glauber Rocha e Cinéma Nôvo ancora oggi sono fonte di ispirazione per il cinema del Terzo mondo

Rocha si recò quindi in Portogallo per realizzare un nuovo film, ma fu colto una violenta broncopolmonite. Dopo essere stato ricoverato a Lisbona si fece trasferire a a Rio de Janeiro dove morì di setticemia il 22 agosto 1981.

Un regista unico, che il Governo militare voleva uccidere come si scoprì anni dopo, che riuscì a fondere con toni appassionati la denuncia del neo-colonialismo e l’evocazione delle mitologie popolari, ma che fu meno incisivo quando lontano dal Brasile abbandonò i temi della sua terra. Il suo cinema, il Cinéma Nôvo, fu un movimento a se stante nella storia della settima arte, non fu sempre capito, fu osteggiato dalla destra e criticato anche dalla sinistra, fu bloccato dalla dittatura militare, ma ancora oggi è fonte di ispirazione per il cinema dei paesi del cosiddetto Terzo mondo.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“Un mondo migliore è possibile” di Gianni Minà – Sperling & Kupfer Editori
“Lula il Presidente dei poveri” di Paolo Manzo – Baldini & Castoldi
“Storie dell’altro cinema” di Ugo Casiraghi – Lindau
“Glauber Rocha” di Cinzia Bellumori – Il Castoro
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

Immagini tratte da
foto 1, 2, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 Screenshot del film riportato nella didascalia, foto 3, 4 da  en.wikipedia.org, foto 13 da www.rodrigocassio.com, 

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Corso Cinema

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