Decolonizzare il pensiero per restituire il sapere dell’Altro

Tutto qui appare diverso rispetto a come siamo abituati a pensare. Categorie, concetti e modi di essere si mostrano in una prospettiva completamente differente, attraversamento di una soglia del...

Tutto qui appare diverso rispetto a come siamo abituati a pensare. Categorie, concetti e modi di essere si mostrano in una prospettiva completamente differente, attraversamento di una soglia del mondo. Questo è Metafisiche cannibali. Elementi di antropologia post-strutturale, di Eduardo Viveiros de Castro (ombre corte, pp. 237, euro 20, prefazione di Mario Galzigna – che cura la traduzione dal francese insieme a Laura Liberale – e postfazione di Roberto Beneduce). Una decolonizzazione dei presupposti dell’antropologia mediante i concetti di etnocentrismo, prospettivismo, multinaturalismo, divenire.

Ritenere che soltanto i popoli occidentali siano etnocentrici è un evidente errore che le ricerche sul campo smentiscono a ogni passo. L’etnocentrisimo, scrive con cartesiana ironia Viveiros de Castro, «è come il buon senso: è la cosa meglio distribuita al mondo» in quanto base dell’identità di ogni gruppo.

Il cannibalismo è una forma radicale di tale identità, ovvero non si spiega con esigenze alimentari o con l’idea di incorporare le virtù della persona divorata ma come espressione di un prospettivismo profondo che parte dalla corporeità e in essa rimane per intero confitto. Si tratta di una forma radicale di autodeterminazione del sé attraverso la metabolizzazione del punto di vista corporeo del nemico. Il Sé come un Altro, di cui parla Ricoeur, sta a fondamento del cannibalismo, il cui obiettivo consiste nel «mangiarlo realmente per costruire il Sé in quanto altro». In tal modo l’antropofagia diventa antropologia.

LO SNODO è un prospettivismo radicale, una ontologia della molteplicità e della differenza, per la quale non c’è un punto di vista sulle cose ma le cose stesse sono dei punti di vista. Non si tratta della banale e consueta pluralità di rappresentazioni dello stesso mondo ma – al contrario – del fatto che «tutti gli esseri vedono (rappresentano) il mondo allo stesso modo: ciò che cambia è il mondo che essi vedono». Entriamo così in una realtà del tutto differente da quella che conosciamo, in cui non c’è distinzione gerarchica tra umani, altri animali, vegetali, pietre, oggetti. Tutte queste strutture costituiscono dei centri di intenzionalità perché un’intenzione è sempre una relazione con l’alterità. Tutti gli animali e ogni altra componente del cosmo sono persone in quanto nella relazione possono sempre inglobare, divorare, trasformarsi, divenire.

ALL’OPPOSTO dell’evoluzionismo europeo, la differenziazione non parte dalla comune animalità ma si origina dalla comune umanità. E pertanto dove la nostra posizione tende a essere multiculturalista, quella dei popoli amazzonici è multinaturalista. Lo sciamano attraversa i confini ontologici, non semplicemente raggiungendo una conoscenza dell’alterità ma trasformandosi nell’alterità.

L’antropologia diventa post-strutturale perché l’immobilità delle strutture è stata fecondata dalla temporalità degli eventi, innervata dalla «circolazione infinita di prospettive: scambio di scambio, metamorfosi di metamorfosi, punto di vista su punto di vista, ovvero: divenire. Doppio movimento, quindi, per una doppia eredità che dipende innanzitutto da un’alleanza mostruosa, dalle nozze contro natura: Lévi-Strauss con Deleuze».

METAFISICHE CANNIBALI si presenta come testo-abbozzo di un altro libro, che avrebbe dovuto intitolarsi L’anti-Narciso; chiaro ed esplicito riferimento all’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari, ritenuto – come altri loro testi – fondamentale in ambito anche antropologico.

L’antropologia di Viveiros de Castro appare ed è una pratica «della decolonizzazione permanente del pensiero», la più radicale che si possa pensare proprio perché fa della prospettiva una metamorfosi ontologica e non soltanto una rappresentazione epistemologica; perché rifiuta l’idea sottilmente ma potentemente colonialista secondo la quale l’altro è sempre un’invenzione dell’Occidente, trasfigurando così «i sedicenti altri in finzioni dell’immaginazione occidentale che non hanno voce in capitolo»; perché capovolge la dialettica della dualità come unità a favore della dualità come molteplicità; perché fa della Differenza antropologica e ontologica una radicale forma di resistenza nei confronti della «Ragione-forza che ha consolidato la macchina planetaria dell’Impero, nelle cui viscere si realizza l’accoppiamento mistico del Capitale con la Terra (la mondializzazione)»

L’antropologia diventa essa stessa un esercizio sciamanico, se è vero che «il segno di una intelligenza sciamanica di prim’ordine è la capacità di vedere simultaneamente secondo due prospettive incompatibili». Le metafisiche cannibali hanno divorato l’antropologia e ne hanno in questo modo moltiplicato la potenza di comprensione e spiegazione, facendola diventare una pratica di identità dei concetti e di differenza del mondo.

ALBERTO GIOVANNI BIUSO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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