Dategli la borsa. Mai la vita

Un’Italia tutta fatta di sicurezza e mani armate. A questo si assiste in questi giorni: militarizzazione delle vie e delle piazza della capitale e delle più grandi città del...

Un’Italia tutta fatta di sicurezza e mani armate. A questo si assiste in questi giorni: militarizzazione delle vie e delle piazza della capitale e delle più grandi città del Paese. Soldati in divisa mimetica con enormi fucili da un lato e privati cittadini dall’altro che sparano ai ladri che entrano nelle loro abitazioni.
Terrore, paura, morte. I ladri muoiono e i leghisti applaudono a chi si fa giustizia da solo nonostante esista la legge e non ci siano vuoti normativi in merito.
Ho provato ad immedesimarmi, a mettermi nei panni di uno che possiede una villa circondata da una cancellata. Di notte arriva un ladro, penetra nell’area dell’abitazione. Lo sento e scendo dal letto piano piano. Lo vedo. Mi suda già la fronte. Non ho mai preso una pistola in mano in vita mia… Rifiuto non solo ideologico, anche morale, anche tattile: il contatto con qualcosa che uccide è già una protesi della morte in senso inverso. Uccide anche me un poco.
Ma, continuando nell’immedesimazione, sono sceso dal letto, percorro la strada più sicura che mi porta ad affrontare il pericolo. Ma come faccio a sparare? Devo difendere la mia famiglia, però…
Il ladro entra, comincia a guardarsi intorno, rubacchia qualcosa qua e là. Si prende un computer portatile, pochi spiccioli che sono sulla scrivania. Alcuni finti gioielli di mia madre.
Io scendo lentamente e il gelo alle mani e i sudori freddi non mi abbandonano, anzi salgono, prevalgono su tutto. L’agitazione è enorme. La pistola barcolla nelle mie mani.
Ad un tratto mi trovo davanti a lui. Borbotto qualcosa su cosa intende fare. Alza una pistola anche lui. La sua mano è leggermente più sicura e ferma della mia. Cerco di non farlo innervosire e provo a parlargli. Ma ha paura.
Mi urla che nessuno deve chiamare la polizia. Si accendono le luce delle altre stanze, la famiglia ha sentito il trambusto. Abbaia anche la mia cagnolina.
Allora alzo la voce, gli urlo che deve andarsene. Gli punto la pistola contro. La guarda e resta un po’ sorpreso. Si sente minacciato e, più veloce di me, spara. Mi prende ad una gamba e cado per terra.
Lo sparo s’è sentito anche fuori, così fugge, scappa con il mio computer e le poche cose che era riuscito a trovare.
L’ha avuta meglio lui. Io ho rimediato una pallottola, tanta paura e un furto.
Forse non aver sparato è stato un bene, se l’avessi fatto, magari avrebbe fatto fuoco più volte lui… E sarebbe andata peggio…
Ecco, probabilmente, a me sarebbe andata così. All’ennesimo gioielliere che ha ucciso il rapinatore e che, di questo ne sono ampiamente sicuro, non voleva uccidere, domando: ma è davvero così necessario difendersi e rischiare?
E’ comprensibile la necessità di difendersi, di difendere i propri cari e anche le proprie cose. Ciò che non è comprensibile è l’accanimento politico per una “giustizia privata” che va in contrasto con quella già complessa e articolata che è pubblica e che deve rimanere tale e che si deve poter occupare di ogni reato.
Non possiamo trasformare l’Italia in un Paese con un diritto intermittente e lasciare al cittadino la facoltà di esercitare qualcosa che va oltre la legittima difesa: pistola contro coltello, coltello contro mani nude, mani nude contro pistola. I casi possono essere tantissimi.
Chi invoca sempre e comunque il diritto a difendersi sparando anche alla cieca per intimorire i ladri e farli fuggire, invita al tentato omicidio preventivo. Le coercizioni preventive sono sempre appartenute ai regimi fascisti e alle dittature in generale.
Benché possa apparire paradossale, va tutelata ogni vita, anche quella del ladro e va tutelata la sicurezza vera: quella di non finire morti ammazzati in situazioni che non si possono gestire perché non si sanno gestire. Chi non ha mai impugnato una pistola o non lo fa regolarmente come i poliziotti, rischia di farsi del male e di farlo agli altri senza volerlo. Andare al di là della volontà è proprio quello che bisogna evitare.
Non che subire sia meglio, ma se ti salva la vita ne prendi atto e subisci. Poi ti rivolgi alla legge e fai tutti i passi del caso. Ma tra la borsa o la vita, dategli sempre la borsa, mai la vita.

MARCO SFERINI

25 novembre 2015

foto tratta da Pixabay

categorie
EditorialiMarco Sferini

altri articoli