Dal placebo della Troika alla giusta medicina amara

Più della dichiarazione di Junker, è subdolamente preoccupante quella della cancelliera tedesca Angela Merkel: invitare i greci a votare “sì” al referendum è una posizione politica di un tecnocrate...

Più della dichiarazione di Junker, è subdolamente preoccupante quella della cancelliera tedesca Angela Merkel: invitare i greci a votare “sì” al referendum è una posizione politica di un tecnocrate che rappresenta gli interessi economici attraverso la struttura della Commissione europea; ma le parole della cancelliera sono un detonatore pronto a capovolgere anche il risultato del referendum di domenica prossima ma soprattutto il governo di Tsipras.
La disponibilità al compromesso, ad una presunta apertura di credito sia politico che economico, la cosiddetta “porta aperta” verso la Grecia, sono armi ben più potenti del patetico appello di Junker.
In entrambi i casi, comunque, si evince chiara la disperazione che per una volta provano questi burocrati che sono la longa manus dei grandi gruppi finanziari e dei banchieri non solo europei, ma di mezzo mondo.
L’Europa e il Fondo Monetario Internazionale si trovano davanti, per la prima volta in decenni e decenni di assoluto predominio economico e politico liberista, ad un muro eretto da una intransigenza più che giusta, legittima e sacrosanta.
Sui volti di questi signori e nelle cifre delle borse e dei profitti che precipitano, sta tutto il terrore che un paese esca dal sistema economico europeo per una volontà indotta dalle circostanze e quindi peggiore rispetto ad una decisione di tipo unilaterale.
La Grecia non uscirebbe dall’Euro e dall’Europa se le condizioni dei suoi creditori fossero differenti da quelle presentate all’Eurogruppo fino ad oggi.
La vicenda ellenica ha, fino ad ora, avuto il grande pregio di mostrarci la fallabilità del sistema capitalistico impiantato sul vecchio continente: un castello solido con una facciata tutta di carta pesta. Una Europa che è inesistente su ogni piano politico e sociale e che esiste solo per riscuotere, come lo Sceriffo di Nottingham, le tasse e i tributi dai soggetti più indifesi, deboli e sul rischio del baratro.
Sono vent’anni che noi comunisti andiamo denunciando il carattere meramente economico e monetaristico di questa Unione Europea fondata, come abbiamo sempre detto, non sui popoli ma sul denaro: del resto l’unico segno tangibile, visibile, percepibile anche al tatto che caratterizza l’Unione è una moneta.
Non esiste un governo europeo se non nella figura di una Commissione che esegue prontamente gli ordini dell’istituto di credito comunitario, quella Banca Centrale che tutto regge e tutto governa.
Dunque, per la Grecia ora si aprono diversi scenari e così anche per l’Unione Europea: la vittoria del “sì” al referendum potrebbe prolungare le sofferenze di un popolo, mettere da parte un governo che ha comunque compiuto una svolta storica e ridare ai banchieri di Bruxelles un po’ di fiato e di colore sul viso pallidissimo che oggi li contrassegna; d’altro canto, la vittoria del “no” non farebbe stare meglio la Grecia sull’istante, non la libererebbe dai morsi della fame che la attanagliano, ma certificherebbe la fine di una sudditanza del capitale, metterebbe la parola fine probabilmente ad un sistema di certezze illusorie che capitalisti e banchieri hanno abilmente creato per istillare nella mente delle persone che va tutto bene e che la crisi la si supera con il regime dell’ “austerità: laddove sono i poveri a dare e i ricchi a ricevere. Sempre.
Dal 2010 in avanti la Troika non ha fatto altro che chiedere ad Atene di ridurre costantemente i salari per rilanciare l’economia greca e poter usufruire dei 45 miliardi di prestito per l’evitamento del fallimento.
Un’operazione di vero e proprio sfruttamento del proletariato ellenico, una dimostrazione palese, senza infingimenti, della politica economica tanto dell’Unione Europea quanto del Fondo Monetario Internazionale che, del resto, dalla sua fondazione a Bretton Woods nel 1944 non ha mai perso occasione per affermarsi come uno degli strumenti migliori del moderno capitalismo in quanto a “prelievi” forzosi dalle casse degli stati in debito con altri stati creditori…
Anche per questo la vittoria del “NO”, dell’ “OXI” al referendum diventa uno spartiacque, una linea di confine da demarcare nettamente.
La vittoria del “no” al referendum è necessaria proprio perché fermerebbe questo ingranaggio perverso di un liberismo che pensava di potersi permettere qualunque azione nei confronti dei settori più deboli di un continente in piena crisi di rappresentanza politica e di politica estera (tanto per citare un ambito in cui la UE è praticamente assente ovunque, salvo appoggiare le politiche degli Stati Uniti sparse per il mondo con guerre e missioni militari d’ogni tipo).
La vittoria del “no” al referendum greco riaffermerebbe un principio di politica non solo economica ma il pieno diritto di un popolo di scegliere del suo destino e di sganciarsi da una banda di sfruttatori e profittatori che ha per troppo tempo fatto pagare ad Atene i costi di una crisi che Merkel, Draghi e Junker si sono ben guardati dallo spalmare proporzionalmente sulla sostenibilità degli altri paesi dell’Unione.
La Germania, la Bce e l’Fmi hanno tirato troppo una corda che si è rotta e che ha condotto all’esasperazione i greci che si sono riconosciuti nel programma di Syriza e che, oggi, riempiono piazza Syntagma per dire “OXI” all’accordo con l’Eurogruppo.
Ciò che oggi trema, l’arroganza di questi notabili del capitalismo, è la migliore espressione delle politiche di difesa del popolo greco messe in campo da Tsipras, Varoufakis e da Syriza.
Governo e popolo greco non vanno lasciati soli, ma vanno sostenuti ovunque in Europa: proprio quell’Europa che gli appelli di Junker e Merkel vorrebbero riportare ad un regime di banchieri e padroni naturalmente sordi ai richiami di disperazione dei popoli ridotti alla fame e all’indigenza più nera.
Riempiamo di manifestazioni le piazze delle nostre città, costruiamo un rete di solidarietà con il popolo greco che sia permanente e che non finisca dopo il referendum del 5 luglio.
Ne va del destino comune di una Europa che, forse, dopo aver assaggiato il medicinale placebo della Troika, ora può assaggiare una medicina amara ma di sicuro effetto contro il morbo divoratore del liberismo sfrenato.

MARCO SFERINI

30 giugno 2015

foto tratta da Pixabay

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