Berlusconi, lo sdoganatore del fascismo al governo

Destre. Il fantasma del fascismo torna in una nuova forma nel 1993 quando, alle elezioni di Roma, Berlusconi scelse chi come Fini diceva «credo ancora nel fascismo, sì ci credo»

Il fantasma del fascismo aleggia sulla versione italiana della «crisi della democrazia». Gli avvenimenti recenti sono l’aspetto contingente di lineamenti lunghi, non lineari.

Naturalmente bisogna fare attenzione ai modi in cui si usa il termine «fascismo».

Il nostro presente italiano grava la politica anche di pesanti eredità storiche. Il nostro presente italiano deve confrontarsi con fantasmi che non si sono dissolti nella dissoluzione del Novecento, ma che anzi, nei modi di quella dissoluzione hanno trovato nuove forme di apparizione.

L’uso inflazionato della parola, senza distinzione di tempi e forme, finisce per renderla inservibile tanto nella ricerca quanto nella rappresentazione delle sue specifiche manifestazioni. Resta il fatto che il fascismo del Novecento è la massima innovazione politica italiana, un modello che l’Italia offre al mondo e che una parte del mondo, con le variazioni nazionali, accetterà riconoscente. E si tratta di una rilevanza che ha carattere dirimente per l’analisi. Motivi culturali e politici tipici del fascismo sono presenti in Europa prima della «Grande guerra». È in Italia, però, che finiranno per coagularsi nel fenomeno che dà loro nome e più precisa riconoscibilità: fascismo.

Piero Scoppola per spiegare la lunga persistenza di elementi di fascismo nell’Italia del secondo dopoguerra ha fatto riferimento ad una «scia che il fascismo lascia dietro di sé, non solo nelle leggi e nelle istituzioni, ma nella mentalità (il corsivo è mio) degli italiani» (Scoppola, 1991)

Scoppola usa un termine, mentalità, che, nonostante la sua ambiguità storiografica, ci permette un approccio un poco più rigoroso al problema della molteplicità dei tempi del fascismo italiano. Le tradizioni storiografiche più importanti e innovative della nostra contemporaneità, infatti, adoperano gli strumenti dell’analisi strutturale anche per ciò che riguarda il sistema di relazioni cui appartiene la storia dei sentimenti e dei comportamenti collettivi. Nel nostro caso l’analisi della struttura in questione può essere utile ad individuare alcuni meccanismi delle continuità del fascismo dopo il 1945, il suo andamento carsico, le sue persistenze profonde pur nel mutamento di alcune forme, le sue persistenze profonde nel mantenimento di altre forme.

In tale prospettiva allora, il fantasma del fascismo può cominciare ad assumere qualche contorno più definito, non legato soltanto alla riproposizione di immagine apparentemente (solo apparentemente) folkloriche del suo nucleo forte del «ventennio».

Ragioniamo sul fatto che il New York Times il 29 aprile 1994 mette al primo posto tra le notizie dall’estero questa: «Dopo cinquant’anni, i fascisti tornano al governo in Italia».

Il New York Times non considera il fatto di «ordinaria amministrazione», come invece gran parte dei facitori di opinione italiani. Se commisurato, però, con le logiche dei tempi lunghi e carsici del fascismo italiano, anche se non di ordinaria amministrazione, il fatto non è inspiegabile. I modi con cui si è imposto in quegli anni, sono una componente fondamentale del berlusconismo, il suo «vizio» o la «virtù» di origine. Comunque il suo immediato disvelamento.

Tutto cominciò  nell’autunno del ’93, quando in occasione del ballottaggio Fini – Rutelli, per il comune di Roma, alla domanda «Se fosse a Roma per chi voterebbe?», Berlusconi rispose senza esitazione alcuna: «Conoscete già le mie idee, voterei per Fini!» .

Nell’autunno del 1993 Fini era fieramente fascista: «Credo ancora nel fascismo, sì, ci credo» (19 agosto 1989); «Nessuno può chiederci abiure della nostra matrice fascista» (5 gennaio 1990).

Ebbene nel turno di ballottaggio Fini raggiunge il 46,9 per cento. Del resto nel primo turno aveva raggiunto il 35,8 per cento. Nell’autunno del 1993 quasi la metà degli elettori romani aveva votato per un fascista non mascherato.

Il richiamo senza infingimenti al fascismo storico è, dunque, aspetto costitutivo di un nuovo patto i cui elementi impliciti sono più consistenti di quelli espliciti. Aspetto costitutivo di una fase della storia d’Italia cominciata molto tempo fa. Quella specifica forma fascismo ha potuto avere tale ruolo fondamentale perché in sostanziale sintonia con aspetti strutturali di lunga durata.

L’ingresso trionfale nella nuova costituzione materiale di una forza politica che rivendicava l’eredità del fascismo storico, ha rappresentato il rovesciamento di tutti i motivi ispiratori della costituzione firmata il 27 dicembre 1947 dal Presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini. In particolare ne è risultata espulsa, nei fatti, l’ispirazione culturale degli azionisti e dei comunisti, considerate le forze più estranee ai motivi di fondo di quell’aspetto dell’ identità degli italiani basata sull’interesse pressoché esclusivo al loro particulare. Un interesse tanto più garantito quanto più declinato su gamme cromatiche diverse di un ordito comune.

Su tale fondamento è del tutto naturale che l’alleanza di oggi, Berlusconi, Salvini, Meloni, ricalchi esattamente lo stesso perimetro politico-culturale dell’alleanza del 1994, Berlusconi, Bossi, Fini. E non è certo un caso che sia Berlusconi il collante di un amalgama le cui componenti sono insieme autonome e inestricabilmente legate. È questo che permette anche alle forme fascismo che più direttamente rivendicano l’eredità del fascismo storico, di poter contare su un vasto consenso normalizzante.

I compiti sia culturali che politici dell’antifascismo, dunque, vanno ben al di là della pur giusta e giustificata richiesta dello scioglimento di Forza Nuova e Casa Pound. Occorrono i pensieri lunghi: a partire dalle categorie, attualissime, di Gobetti e Gramsci.

PAOLO FAVILLI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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