Amicizia, odio e solidarietà, da concetti a elementi di classe

Dedicato ad Armando Codino che nell’amicizia ha trovato la solidarietà di classe e viceversa Bellissimo il brano scelto dal Ministero dell’Istruzione per la seconda prova degli esami di maturità...

Dedicato ad Armando Codino che nell’amicizia ha trovato la solidarietà di classe e viceversa

Bellissimo il brano scelto dal Ministero dell’Istruzione per la seconda prova degli esami di maturità nei licei classici. Penso che avrei preso al massimo un cinque nel tradurlo, tanto è difficile la filosofia espressa nei testi antichi quanto lo è la comprensione oggi di concetti apparentemente semplici, privi di qualunque interpretazione possibile.
Eppure, Aristotele ci parla dell’amicizia come di una indispensabilità a fondamento dell’etica umana; un tratto distintivo di cui gli esseri viventi non possono fare a meno: una compagnia, una forma di “accompagnamento” è l’amicizia e ne hanno bisogno – sostiene il grande filosofo ellenico – ancora di più i potenti perché la celebre “solitudine del tiranno” è nota sin dall’epoca delle epoche.
Infelice è chi comanda perché tende ad isolarsi, a rifugiarsi nella torre d’avorio delle sue politiche, producendo molte inimicizie e quindi facendo scemare progressivamente appunto quella necessità della vita che è l’amicizia.
Il valore dell’amicizia presuppone, contestualizzando il tutto in un oggi terribile sul piano dei sentimenti di altruismo, anche quello della solidarietà e del soccorso reciproco. Insomma, il sostegno quando l’amico è in difficoltà e la condivisione delle gioie quando invece si è in periodi di manifesta allegria.
C’è poco da essere allegri oggidì: prevale il risentimento, l’odio, il disprezzo, l’anatema costante contro il diverso da noi e la riduzione dell’amicizia al solo contesto etnico di riconoscibilità piena del simile a noi.
Difficile declinare l’amicizia nella lotta di classe, eppure se può comprendere anche una qualche forma di solidarietà, magari un amico lo aiuti se vive una situazione lavorativa simile o uguale alla tua.
Magari se ne vive una completamente diversa, che pure ti riesce difficile capire, se magari è pure molto diverso da te perché ha una pelle di colore differente e non parla proprio bene l’italiano, quel lavoratore che ti sta accanto lo aiuti se subisce ingiustizie, prepotenze, soprusi di ogni tipo.
L’amicizia non conosce confini, la solidarietà sociale non dovrebbe conoscerne nemmeno. Eppure i temi del lavoro in queste settimane passano sempre più in secondo piano nell’agenda di un governo che veramente è in continua campagna elettorale e che anestetizza la spontaneità critica che tutti possediamo, che può farci indignare, magari vergognare pure davanti a tanta disumanità e crudeltà dai porti chiusi ai morti nei cantieri e nelle fabbriche.
Sono più di duecento i lavoratori che sono stati uccisi dalla mancanza di garanzie di sicurezza, da anche fatali, accidentali e imprevedibili disgrazie o, anche, da una inesperienza tollerata per avere forza lavoro fresca ma non adatta ad esempio a guidare un muletto magari perché non aveva ancora conseguito la patente per poterlo fare.
Fiumi di ghisa rovente si rovesciano sugli operai ma a riempire le vuote menti di una popolazione tutta attenta ad odiare e ad inveire contro rom e migranti è la frase scolpita sulle grandi colonne dei giornali e su Internet: “Prima gli italiani”.
Tanta salute ad amicizia e solidarietà, perché “purtroppo” certi non-amici, certi fratelli un po’ sefarditi (pur essendo rom e non ebrei) “ce li dobbiamo tenere”. La sottile idea che si debba sopportare piuttosto che vivere nel contesto complesso ma edificante delle differenze culturali, scaricando il tutto su problematiche sociali risolvibili solo con l’intervento delle ruspe, non è atto di governo, non è politica ma mera propaganda.
Utile a volare nei sondaggi: quasi al 30%. Utile a far preoccupare il tuo “amico” vicepresidente del Consiglio che ti siede accanto. Utile. Ma non al Paese, non al rilancio di una armonia sociale che non può esistere nella sua declinazione civile e civica.
Non smetto di stupirmi, anche se forse dovrei, ma dovere rivoluzionario continuo a sgranare gli occhi davanti a chi pensa che i nostri numeri, con cui contiamo dalla scuola fino agli studi di geometri, ragionieri, alla cassa del supermercato quando controlliamo se il resto è giusto, siano “minacciati dall’introduzione dei numeri arabi”.
Centinaia di commenti su Facebook sotto una clamorosa presa in giro fatta mettendo la foto di un classico emiro o quasi che chiede di introdurli nell’insegnamento scolastico italiano, occidentale.
Tornate a casa tua“, “I numeri arabi mai!“. Sono i commenti più gentili. Altri arrivano alla minaccia fisica, all’anatema che ritorna, ciclico, fatto di rancori e di paure che prendono subitamente le forme dell’odio diretto.
Segno di un enorme problema culturale e anche comportamentale: i nostri numeri sono numeri arabi. Li abbiamo adottati da millenni e li usiamo da sempre.
Ma la cattiveria e la crudeltà si nutrono dell’ignoranza, della mancata consapevolezza di ciò che veramente è e che spiega tanto semplicemente ciò che invece, pregiudizialmente, si crede astratto, incredibile, intollerabile.
Dal pregiudizio verso rom e migranti fino ai dimenticati morti sul lavoro, questo Paese, se esistesse uno psicoanalista per nazioni e Stati, dovrebbe fare una immediata terapia. Ha un problema culturale, di apprendimento delle notizie e di sofisticazione delle medesime da istigatori d’odio che si permettono linguaggi da battaglia campale, da scontro frontale, forse persino oltre l’odio del nemico per il nemico.
E ha anche un problema di coscienza umana che dovrebbe nascere dall'”essere sociale”, quindi formarsi sulla base delle condizioni di vita: evidentemente il degrado economico, utilizzato alla meglio dai mestatori nell’odio e dell’odio, ha fatto il suo corso che ora appare incontrovertibile.
Scrive Marx in un poscritto a “Il Capitale” nel 1873: “Per Hegel il processo del pensiero, che egli trasforma addirittura in soggetto indipendente col nome di ‘Idea’ è il demiurgo del reale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno esterno dell’idea o del processo dell’idea. Per me, viceversa, l’elemento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini.“.
Dunque, dobbiamo attrezzarci ed indagare gli elementi materiali che condizionano la mente umana, che la trasformano da mente sociale a mente individuale, da mente solidale a mente egoistica.
E’ una impresa non da poco viste le menti di oggi, viste le condizioni materiali. Proviamoci, naturalmente.

MARCO SFERINI

21 giugno 2018

foto tratta da Pixabay

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