Una rosa chiamata Desirée

Vi ricordate la canzone di Sergio Endrigo “Per fare un albero”? Si risaliva all’origine dell’albero attraverso il legno, il seme, la terra, rendendo l’elemento singolo parte di un tutto...

Vi ricordate la canzone di Sergio Endrigo “Per fare un albero”? Si risaliva all’origine dell’albero attraverso il legno, il seme, la terra, rendendo l’elemento singolo parte di un tutto in divenire perpetuo.
Una metafora meravigliosa di come siamo collegati tutti  a contesti che si riducono, alla fine, ad una unità che non è mai veramente una. Volendo speculare filosoficamente, ce ne sarebbero di parole da scrivere: iniziando dai pitagorici.
Ma qui si tratta di un delitto efferato, di una violenza inaudita e brutale. Una violenza che abbiamo già visto tante volte, letto e riletto nelle storie di donne maltrattate, violate nel loro intimo sensibile, visibile con lacrime ed ecchimosi e invisibile nell’animo umano trasformato in una desolazione infinita.
Desirée aveva sedici anni, cercava della droga in quel luogo di spacciatori a San Lorenzo in Roma? Forse sì. Forse no. Resta il fatto che è stata drogata, abusata da più individui e lasciata lì a morire da sola nel mezzo dello squallore più completo di un mondo che piange sempre dopo, mai prima.
Un mondo che cerca di separare l’albero dal tutto, dal legno, dal seme, dalla terra e che dimentica volutamente – forse per una sorta di difesa psicologica singola e di massa, forse per induzione politica da parte di chi dovrebbe garantire la sicurezza dei cittadini e invece alimenta l’odio e la militarizzazione dei territori – che tutto è interconnesso e che la morte di una ragazza di sedici anni, anzi il suo brutale assassinio, sono direttamente collegati ad una struttura economica che fa prosperare lo spaccio di stupefacenti all’interno del contesto della malavita organizzata.
La vita di una ragazza si trasforma in una appendice solitaria di un mondo fatto di ricerca di guadagno e di godimento personale, senza nessun ritegno per la libertà di ciascuno, per il benessere di tutti. Al di sopra di ogni cosa esiste il profitto e, unitamente a questo, la dominazione maschile sul corpo delle donne.
Certo che esiste una differenza qualitativa (in senso negativo) tra un abuso “familiare” e una brutalità cieca come quella scoperta a San Lorenzo.
Eppure si tratta sempre dei soggetti più indifesi della società; sempre di loro si tratta quando si parla di delitti efferati, di accanimenti a volte dello Stato e altre volte di delinquenti che sovente definiamo “comuni”. Ma comuni non sono, sono e devono continuare ad essere considerati fuori dal contesto della “comunità”.
Non agendo con le “ruspe” o usando parole forti nel definire i criminali che hanno causato la morte di Desirée. Questo potrà parlare alla “pancia” della gente, aumentare la sete di vendetta – diminuendo la voglia di giustizia – e fomentare l’odio per ottenere del consenso elettorale da parte di tutta una marea di persone che non aspettano certo una spiegazione compita dall’albero al seme, dal legno alla terra, ma che isolano il tragico evento di San Lorenzo, lo decontestualizzano e accettano – anche involontariamente, perché inconsapevoli dell’operazione politica che ne viene fatta – di vederlo come qualcosa di estremamente particolare, per cui si dirà: “Perché non accada più…”.
Si leggeranno striscioni con queste frasi e si penserà che nel sistema in cui viviamo, dove il profitto generato dalla vendita degli stupefacenti e il maschilismo bestiale della dominazione sessuale regnano sovrani, ciò sia una eccezione e non la regola.
Ma l’eccezione, per quanto solitaria possa essere, rischia di ripetersi se non si affrontano i problemi sociali che sono alla radice di questi comportamenti disumani.
Le destre reagiscono chiedendo l’esercito a Roma, più muscolarità visibile e sicuramente partirà la caccia al clandestino visto che i fermati sono immigrati clandestini: il sillogismo è presto fatto. Chi ha ucciso Desirée era clandestino, tizio è clandestino, tizio è dunque un potenziale assassino, stupratore e spacciatore di droga.
Se gli autori del delitto fossero stati nostri connazionali, siamo sempre lì…, non partirebbe tutta la fascistizzazione della problematica dell’origine, diciamo “etnica”, degli assassini: sarebbero due, tre italiani criminali. Ma il sillogismo rimarrebbe ben lontano dall’essere messo in pratica.
Quella ragazza è stata uccisa con efferatezza. Sarebbe doveroso risparmiarsi toni da comizio e grandi paroloni per dire alla gente che c’è chi vuole il pugno duro e c’è chi invece vuole lasciare prosperare la criminalità (ma, attenti, non il maschilismo prepotente dell’essere umano “uomo”) con politiche “buoniste”.
Uniamoci tutti alla santa causa dell’odio su altro odio, del disprezzo su altro disprezzo, dell’anatema su altro anatema, del tutto sull’uno e non dell’uno verso il tutto.
Sembra che la colpa dell’albero sia alla fine di tutta la terra e non del seme piantato male e cresciuto peggio.
E siccome oggi vado a ricordi letterari e musicali, che mi sembra accompagnino bene la dolce anima di una ragazza volata via in una sera d’autunno in un quartiere centrale dell’Urbe, rammentate cosa dice la Volpe al Piccolo Principe?
Cito: “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi“. “E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa, che ha reso la tua rosa così importante.“.
E tu, sei responsabile della tua rosa?

MARCO SFERINI

25 ottobre 2018

foto: screenshot

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