Un punto da chiarire

C’è un punto da chiarire nell’editoriale firmato da Norma Rangeri e apparso sul Manifesto del 1 Marzo nell’inserto dedicato alle primarie del PD. Rangeri parte dalla constatazione dell’assenza, nell’attuale...

C’è un punto da chiarire nell’editoriale firmato da Norma Rangeri e apparso sul Manifesto del 1 Marzo nell’inserto dedicato alle primarie del PD.

Rangeri parte dalla constatazione dell’assenza, nell’attuale quadro politico italiano, di un partito “democratico della sinistra” ricostruendo anche la storia dei passaggi attraverso i quali dalla svolta della Bolognina e relativo scioglimento del PCI si è arrivati all’attuale PD.

In questo contesto nell’articolo si nota come “la diaspora ha frantumato, indebolito, inaridito il partito fino a dimezzarne il consenso, mentre un’altra forza popolare, il M5 stelle, ne contendeva il campo, e si prendeva parte di quel popolo”.

Tralasciamo a questo punto l’analisi dei mutamenti strutturali che hanno attraversato la nostra società, la valutazione delle politiche portate avanti nel corso degli anni, tutto ciò che è avvenuto – insomma – nel corso di questo trentennio, per concentrarci sulla proposizione di “forza popolare” attribuita al M5stelle capace così di prendersi una parte del popolo che era appartenuto alla sinistra.

Ritengo che questo sia proprio l’aspetto da precisare: non si è verificato alcun passaggio di popolo, bensì di elettorato (nella classica definizione della “democrazia del pubblico” di Manin) in tempi di dismissione dei concetti di appartenenza e di rappresentanza.

Sono questi tempi dell’assoluto prevalere, nelle espressioni di consenso, del voto d’opinione (fortemente condizionato dalla complessa ragnatela dei mezzi di comunicazione di massa innervati dall’uso dei social network) mixato con quello di scambio.

Il combinato disposto di questi fattori ha determinato così un tasso inedito di volatilità elettorale, come abbiamo verificato nel corso delle ultime tornate.

C’è stato quindi indubbiamente un passaggio di elettorato ma non di popolo.

Il “popolo della sinistra” era costituito da quell’insieme di soggetti organizzati a vario titolo, tenuti assieme all’interno delle strutture politiche e sociali a integrazione di massa, le principali delle quali erano rappresentate dai partiti politici.

La “rottura” con il popolo della sinistra è avvenuto, rispettando anche la cronologia di Rangeri, con la dismissione della forma – partito rappresentata dal PCI: dismissione avvenuta non tanto attraverso fatti formali, mutamenti statutari o di assetto del gruppo dirigente,ma attraverso la proclamazione, al momento della “svolta”, di un mutamento che avveniva all’insegna dello “sblocco del sistema politico”.

In quella dimensione lo spostamento d’asse avveniva rinunciando alla funzioni fondamentali del partito di massa, dalla capacità pedagogica alla rappresentanza politica, verso la “governabilità” (in conseguenza del cui possibile conseguimento si introdussero gli elementi del maggioritario e della personalizzazione, fino alle primarie).

Passaggio che si è tentato di forzare attraverso i vari tentativi di modifica costituzionale ed elettorale, comunque falliti.

Dal punto di vista della diaspora, ancora, Rifondazione Comunista contribuì poi ad accelerare questo processo di disintegrazione della “forma – partito” nella sua accezione popolare, inabissandosi in una dimensione inaudita di “movimento governativista”.

In sostanza lo scioglimento del PCI, prima ancora del crollo degli altri partiti avvenuto in seguito a Tangentopoli ha rappresentato il vero e proprio punto di squilibrio del sistema politico italiano consentendo l’introduzione progressiva di elementi di vera e propria degenerazione che oggi verifichiamo in essere nella realtà.

Non c’è più nessun popolo: la “folla” assiste alla “democrazia recitativa”, quanto di peggio (almeno da un certo punto di vista) ci si potesse augurare.

FRANCO ASTENGO

1° marzo 2019

foto: screenshot da il manifesto.it

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