Ue, un segnale forte e non scontato contro la paura

Strasburgo. Un voto storico ed emozionante, quello con cui il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio di attivare la procedura dell’articolo 7 del Trattato nei confronti dell’Ungheria di Orban

Un voto storico ed emozionante, quello con cui il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio di attivare la procedura dell’articolo 7 del Trattato per violazione grave dei principi fondamentali dell’Unione da parte dell’Ungheria di Orbán.

L’Europa non può tollerare che all’interno dei suoi confini si calpestino i suoi principi fondamentali. Un voto non scontato, visto che serviva una maggioranza dei due terzi, con cui il Parlamento europeo ha difeso la credibilità e la dignità dell’Unione rispetto all’assedio che in questi mesi l’Internazionale sovranista sta conducendo alle fondamenta del progetto europeo, minandone la tenuta, attraverso la leva della paura.

È la prima volta che questa procedura viene avviata su iniziativa del Parlamento europeo che, come già in occasione del voto sulla riforma di Dublino, dimostra di essere pienamente consapevole del ruolo al quale è chiamato l’organo di espressione diretta dei cittadini europei, in un momento così delicato.

Abbiamo mandato un segnale forte ad Orbán e, con lui, a tutti quelli che credono di poter stare nell’Unione prendendone solo i benefici, ma calpestandone i principi, a partire da quello di solidarietà.

Il caso dell’Ungheria da questo punto di vista è emblematico. Negli ultimi 7 anni ha ricevuto 4 miliardi e mezzo di fondi europei a fronte di un contributo di 990 milioni, ma è stata tra le più strenue oppositrici alla condivisione delle responsabilità sull’accoglienza e non ha fatto nemmeno uno dei ricollocamenti promessi all’Italia e alla Grecia.

L’atteggiamento di Orbán è ipocrita perché da un lato attacca l’Unione con le campagne «Stop Bruxelles», ma dall’altro dimentica di dire agli ungheresi che proprio grazie ai fondi europei ha potuto fare gran parte degli investimenti che hanno risollevato l’economia del suo Paese. Un’ipocrisia che si ritrova anche nel suo discorso a Strasburgo, dove ha dipinto se stesso come il difensore del popolo ungherese contro l’ingerenza europea. Ma si tratta di un ribaltamento della realtà.

Il voto del Parlamento non è stato un voto contro il popolo ungherese, ma a tutela dei suoi diritti fondamentali, e di quelli di tutti i cittadini di ognuno degli Stati membri. Del resto abbiamo votato un lungo ed articolato rapporto, stilato dalla collega Sargentini dei Verdi, che elenca i molti provvedimenti del governo Orban che, mettendo a rischio indipendenza dei giudici, libertà di stampa, diritti delle minoranze, ledono i principi fondamentali sanciti dall’articolo 2 del Trattato come l’uguaglianza, il pluralismo e lo stato di diritto.

C’è chi di fronte a queste violazioni oppone la legittimazione delle urne, ma è un argomento inaccettabile.

Chi ha ottenuto una maggioranza non è al di sopra delle leggi, delle costituzioni e dei trattati.
Anzi, ha una responsabilità doppia nel rispettarli.

Questo principio accompagna le nostre culture giuridiche sin dalla rivoluzione francese, non può essere messo in discussione, e il Parlamento europeo l’ha dimostrato chiaramente.

ELLY SCHLEIN
Europarlamentare di Possibile

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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