Torniamo ad essere giacobini

Probabilmente qualcuno inorridirà leggendo le prossime righe di questo editoriale ma, in fondo, credo sia giusto anche che si possano strabuzzare gli occhi e ci si possa domandare: “Ma...

Probabilmente qualcuno inorridirà leggendo le prossime righe di questo editoriale ma, in fondo, credo sia giusto anche che si possano strabuzzare gli occhi e ci si possa domandare: “Ma stiamo scherzando?”.
La risposta è semplice: “No, non stiamo scherzando”.
L’ultimo della schiera infinita dei grandi scandali governativi e di palazzo, di commistioni tra affari pubblici e privati di varia natura e sotto differenti colori e bandiere, investe in queste ore un esecutivo sempre più in bilico tra il discredito che si provoca con grande disinvoltura alla prova delle urne e l’impossibilità di coniugare i proclami di fine della crisi economica e di ristabilimento di floride condizioni di vita per tutti con le misure politico-economiche che invece vengono varate.
E l’ultimo di questi inciampi è quello che investe il ministro Alfano. I giornali ne danno ampie cronache: c’è chi calca le dita sulle tastiere dei computer per ingigantire la notizia e c’è chi, di contro, tenta di minimizzarla.
Probabilmente la verità sta sempre nel mezzo, ma spetterà ai giudici stabilirla.
Qui interessa soltanto fare una riflessione sul fatto che non esiste una soluzione di continuità per gli scandali, per le indiscrezioni, per le intercettazioni che svelano sordidi e torbidi retroscena di un proscenio che invece sembra dire: “Tutto va bene, madama la marchesa!”.
Allora serve riprendere non tanto vecchi concetti, rivolgere la testa indietro ad un passato irripetibile, ma imparare nuovamente ad essere giacobini, come sosteneva Alessandro Natta nel suo definirsi tritticamente: “Illuminista, giacobino e comunista”.
Almeno noi comuniste e comunisti, almeno noi che facciamo parte di una sinistra che vorrebbe essere sinistra vera nella verità di tutti i giorni, dentro ai conflitti sociali, rientrando in connessione con le realtà più disagiate e sfruttate del Paese, almeno noi dovremmo adottare non un “codice etico” come fanno i grillini, ma uno stile di vita, un comportamento quotidiano ispirato alla vera, non negoziabile incorruttibilità.
Ciò significa vivere il “potere” con un distacco necessario, come semplice strumento nelle mani di chi vuole trasformare la società alla radice, capovolgendone senso, significato, valori e tradizioni.
Le tradizioni, del resto, non sono sempre qualcosa che può essere comodamente ricondotto al tramandare usi e costumi, saggezza orale, pensieri e parole dei nostri avi.
Le tradizioni sono anche tutti quei comportamenti che si sono consolidati nel tempo e che, da eccezioni, sono diventi prassi, consuetudine accettata perché “tutti lo fanno”.
Cosa consente che la norma sia traviata così ripetutamente? Una speranza di diffusa impunità? O forse non si tratta di un adeguamento ad una praxis che si è letteralmente sostituita alla lex?
La legge come contorno variabile, come cornice adattabilissima a qualunque situazione: elastica, priva di rigidità e sottoposta alle interpretazioni più cavillose per sfuggire alla ininterpretabilità.
O forse non ci troviamo innanzi anche ad un mutamento antisociale e antidemocratico di una intera classe dirigente? Il berlusconismo, erede sapiente e poco nobile del craxismo, non ha forse lavorato per vent’anni alla modifica strutturale di una sovrastruttura politica, di quella rete di relazioni e interazioni tra società e rappresentanza istituzionale?
Non si è costantemente messa in atto una riduzione degli spazi di partecipazione e di democrazia con l’approvazione entusiastica della maggior parte della popolazione?
I mercati hanno fatto apparire questa società quella del miglior benessere possibile offrendo ai consumatori beni mai visti, accessibili con le rateizzazioni, acquistabili praticamente da chiunque. Ne hanno lavato il cervello con una propaganda televisiva martellante, schiavizzandone le menti, creando odio e risentimento per qualunque elemento esterno potesse minacciare questo “bengodi”. Razzismo, xenofobia, pregiudizi di tanti tipi sono cresciuti all’ombra di questo lavoro oscuro eppure evidente.
E la rappresentanza politica di palazzo ha messo da parte il bene comune, la delega che aveva ricevuto con strane leggi elettorali create ad arte e ha concesso ampi spazi di manovra per chi voleva privilegiare anche aspetti privati attraverso privilegi e protezioni che tutti gli altri cittadini non possedevano e non possiedono.
I privilegi, anzitutto, sono parola, concetto e pratica che noi comunisti non conosciamo. Per noi non ci sono privilegi, non devono essercene. Il ritorno al giacobinismo come corrente politica ispiratrice di una uguaglianza universale umana e come respingente di qualunque corruzione di questa virtù che è veramente repubblicana, che dovrebbe ispirare la Repubblica nata e cresciuta con una Costituzione che ha in sé questi elementi di dolce durezza, di esclusione di qualunque caduta nella tentazione del privilegio personale a scapito del bene pubblico e comune, sarebbe tutto tranne che una forma austera di serioso comportamento verso una popolazione stanca di scandali e di corruttele.
Sarebbe un esempio: un rigore etico-politico che potrebbe tranquillamente ispirarsi alle aspettative che molti anni fa Enrico Berlinguer metteva a sottolineatura quando parlava della tanto celebre “questione morale”.
Questo è più del semplice richiamo all'”onestà” che viene fatto dai grillini. Non è, come loro vorrebbero, un programma politico: l’onestà, l’incorruttibilità non possono essere un fondamento di un programma politico, ma di una morale politica sì.
Se serve rileggiamo anche Robespierre nel suo discorso alla Convenzione nazionale sui princìpi ispiratori della politica interna della novella Repubblica francese. Rileggiamolo pure, senza vedere in lui il sanguinario che non era e che è stato costretto ad essere in pochi mesi prima del colpo di stato borghese che lo ha abbattuto.
Rileggiamolo. Rileggiamo anche Berlinguer. Ma prima di tutto, adoperiamoci per essere noi, effettivamente, come diceva Gandhi “il cambiamento che vogliamo rappresentare”.

MARCO SFERINI

6 luglio 2016

foto tratta da Wikipedia Creative Commons

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