Svizzera, la deputata socialista disobbedisce e aiuta i migranti

Ritorsione contro le associazioni al confine italo-svizzero. Una deputata elvetica fermata con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

Martedì primo settembre 2016: poco distante dalla frontiera Italo-Svizzera si consuma un nuovo atto della guerra che tutte le polizie d’Europa stanno combattendo contro i profughi.

Questa volta al centro del mirino non c’è un migrante, uno dei tanti che cercano di superare il confine per entrare in Svizzera alla ricerca di protezione, ma una parlamentare del Gran consiglio del Canton Ticino, il corrispettivo di un nostro consiglio provinciale.

Si chiama Lisa Bosia, è un’eletta socialista (partito di orientamento liberal-progressista) e viene fermata dalle guardie di confine svizzere mentre a bordo di un veicolo precede un’altra auto sulla quale ci sono quattro minorenni di origini africane. Clandestini.

L’accusa per lei e per lo svizzero alla guida della seconda macchina è quella di aver favorito l’entrata illegale nel paese dei quattro giovani rifugiati.

Questi i fatti. Ma in questo caso il contesto è importante e il timingdell’operazione rivelatore della logica dell’azione delle forze dell’ordine, improntata alla ritorsione.

La conferenza stampa

Il giorno precedente al fermo Lisa Bosia, attivista dell’associazione Firdaus, insieme all’ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) e a una giurista di Amnesty International Svizzera aveva presentato alla stampa un rapporto in cui si illustravano le numerose violazioni delle normative vigenti nell’ambito dei respingimenti di cittadini stranieri effettuati negli ultimi mesi alla frontiera di Chiasso.

Il rapporto — basato sul lavoro svolto sul campo dagli attivisti — denunciava con forza la violazione di fondamentali norme internazionali (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo), europee (Codice Frontiere Schengen, Regolamento Dublino III, Regolamento Eurodac ecc.) e nazionali, sia dalle autorità svizzere che da quelle italiane.

Secondo ASGI e Firdaus, tra luglio e agosto le autorità svizzere hanno effettuato quasi 7.000 riammissioni in Italia di cittadini stranieri, delle quali almeno 600 hanno riguardato minori non accompagnati.

Molte delle persone respinte al confine avrebbero invece avuto diritto, una volta presentata domanda di asilo, ad essere ricongiunte ai familiari che si trovano in Svizzera o in altri Stati europei.

Molti migranti — al contrario di quanto dichiarato dalle autorità svizzere — avrebbero dichiarato di aver tentato di presentare domanda di protezione internazionale in Svizzera, ma di non averla potuta formalizzare.

Inoltre le testimonianze raccolte dalle associazioni segnalano numerose altre violazioni da parte delle guardie di confine: controlli sistematici sulle persone di pelle nera (proibiti alle frontiere interne dell’Area Schengen e dalle norme antidiscriminazione) e respingimenti collettivi (anche di minori e disabili) senza una valutazione delle situazioni individuali.

Inoltre le persone rispedite in Italia non avrebbero ricevuto — secondo quanto si può leggere nel rapporto — alcun provvedimento scritto; di conseguenza non avrebbero potuto presentare ricorso, diritto sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Scandalose poi le violazioni dei diritti dei minori non accompagnati segnalate dal rapporto: il superiore interesse del minore, riconosciuto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo e dalle norme europee e nazionali, non è stato tenuto in alcuna considerazione dalle autorità svizzere nel disporre i respingimenti.

La conferenza stampa delle guardie

Una lista di accuse molto gravi, quelle avanzate da ASGI e Firdaus, che espongono alla luce del sole le modalità di intervento delle forze dell’ordine svizzere. Le quali — a quanto pare — non hanno apprezzato.

Per questo il giorno precedente alla conferenza stampa delle associazioni, il 30 agosto, le guardie di confine — alle quali il rapporto era già stato recapitato – hanno pensato bene di indire una loro conferenza stampa per rispondere alle accuse contenute nel rapporto.

Che peraltro non era ancora stato reso pubblico: una scelta singolare, dunque, che prova il nervosismo delle forze dell’ordine di fronte alle denunce circostanziate sul loro operato.

E poi, due giorni dopo la presentazione del rapporto, il fermo di Lisa Bosia.

La quale aveva tra l’altro cercato di intervenire alla conferenza stampa delle guardie di confine, senza successo: non era accreditata come giornalista…

Facile a questo punto immaginare il disegno dietro questi eventi: con ogni probabilità Lisa Bosia era tenuta sotto controllo per la sua attività al fianco dei profughi e la scelta di fermarla il giorno successivo la diffusione del rapporto nient’affatto non casuale.

Il contesto

Il calcolo politico dietro l’intervento delle forze dell’ordine contro una parlamentare eletta dal popolo (ma non protetta da immunità) si inserisce in un quadro politico degradato, sia a livello nazionale che regionale, dagli slogan anti-immigrati che da anni modellano i comportamenti della maggioranza dei cittadini svizzeri e ticinesi.

Da una parte le campagne di odio inscenate della Lega dei Ticinesi — ormai diventata forza di governo — il cui maggior interprete è il presidente dell’esecutivo del Canton Ticino Norman Gobbi, il quale nel 2015 era arrivato a proporre la chiusura della frontiera con l’Italia.

Dall’altra la potenza politica dell’UDC, il partito di estrema destra svizzero, che il 9 febbraio 2014 è riuscito a portare alla vittoria un’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” che sta mettendo in seria difficoltà i rapporti con l’Unione europea e il principio della libera circolazione.

Sullo sfondo una politica migratoria che da sempre fa a pugni con l’immagine di “Svizzera paese dell’accoglienza”: dal trattamento inumano riservato agli immigrati italiani nel secondo dopoguerra, privati di diritti politici e sociali e sfruttati sul mercato del lavoro, a una politica d’asilo con il contagocce.

Ad agosto 2015 la Svizzera aveva ricevuto 3.899 domande d’asilo, mentre nei primi otto mesi del 2015 la cifra complessiva era di 19.668 persone. Questo mentre gli stati membri dell’Unione europea avevano registrato circa 550mila domande tra gennaio e luglio 2015.

Un po’ poco per uno dei paesi più benestanti d’Europa e un po’ poco per giustificare le campagne razziste che si sono succedute negli ultimi anni, ma che hanno una lunga storia, che risale almeno agli anni ’70 del secolo scorso.

Più potere alla guardie

Un contesto, quello descritto, che ha favorito nel febbraio di quest’anno la stipula di un accordo amministrativo tra Polizia cantonale e Corpo delle guardie di confine e che ha concesso a queste un sostanziale allargamento di poteri insieme a un rafforzamento delle misure di sicurezza alla frontiera.

L’accordo in questione ha dato alle guardie maggiore indipendenza decisionale sul respingimento dei migranti e ha probabilmente favorito l’aumento esponenziale da giugno 2016 dei sans papier respinti, passati dal 10% al 63%, secondo i dati forniti dalle stesse autorità svizzere.

Intanto a Como continua l’afflusso di migranti che aspettano di passare la frontiera: nel parco davanti alla stazione di Como — secondo quanto si può leggere nel rapporto dell’ASGI-si trovano circa 400–500 migranti, in numero variabile a seconda dei giorni.

La maggior parte di essi è di origine eritrea ed etiope, a cui si aggiungono profughi provenienti da Somalia, Sudan, Afghanistan e dall’Africa dell’Ovest.

Molti sono i minori non accompagnati e tutti dormono dentro la stazione o nel parco, sostenuti unicamente dalla genersoità di diversi gruppi di volontari, di cui Lisa Bosia fa parte.

Assenti invece — secondo quanto denunciato da ASGI — le istituzioni nel garantire l’accoglienza e il soddisfacimento dei bisogni primari dei migranti.

La Prefettura di Como ha annunciato che da settembre dovrebbero essere predisposti dei container per l’accoglienza e l’area dovrebbe essere gestita dalla Croce Rossa e dalla Caritas.

Le reazioni

Perlomeno tiepide le reazioni del Partito socialista ticinese al fermo della propria parlamentare Lisa Bosia. In un comunicato del suo presidente Igor Righini si potevano leggere queste deludenti considerazioni: il Partito Socialista sottolinea che la legge dev’essere rispettata da tutti ed esprime la sua fiducia nel lavoro degli inquirenti e della giustizia. Il Partito Socialista ribadisce che la legge va rispettata, semmai contestata in sede politica per cambiarla, ma non violata.

Una presa di posizione che è stata interpretata da tutti i commentatori come una vera e propria presa di distanza che — se ancora ce ne fosse bisogno- illustra nuovamente l’atteggiamento remissivo delle socialdemocrazie europee sulle questioni migratorie. In questo caso la vecchia talpa — del liberalismo-ha scavato bene.

Più combattiva invece la reazione del Movimento per il socialismo, piccolo ma radicato partito che ha origine nella tradizione trotzkista: l’azione che si rimprovera a Lisa Bosia Mirra si inserisce nella più vasta attività di solidarietà con i migranti svolta in queste ultime settimane a Como dalla sua associazione e rappresenta una risposta adeguata ad una situazione umanitaria assolutamente straordinaria. Una situazione caratterizzata da un atteggiamento da parte dell’autorità politica cantonale e federale che, in ossequio alle direttive dell’Europa di Schengen, sta negando i più elementari diritti ai migranti.

I precedenti storici

Eppure c’è chi in Svizzera prende sul serio l’idea di accoglienza e solidarietà: i precedenti storici ci riportano al 1939, quando il capo della polizia sangallese Peter Grüniger, infrangendo la legge che lui stesso avrebbe dovuto far rispettare, falsificò i documento di oltre 3500 ebrei in fuga dal nazismo per permettere loro di restare in Svizzera.

Questo gesto gli costò un processo e il posto di lavoro, così come la pensione: venne riabilitato dalle autorità svizzere soltanto nel 1995.

Più recentemente, nel 1973, il pastore valdese di Lugano, Guido Rivoir, si mise alla testa di una rete clandestina che offrì illegalmente rifugio in Svizzera a 400 esuli in fuga dal Cile di Pinochet.

Nel 1974 fu messo per questo sotto indagine, ma l’allora procuratore pubblico Mario Luvini stabilì il non luogo a procedere mettendo in avanti l’intento umanitario del pastore.

Ora Lisa Bosia rischia una pena detentiva fino a un anno o una pena pecuniaria. Chissà che — come per Guido Rivoir — la legge svizzera non si dimostri migliore delle pulsioni razziste che agitano la sua popolazione e le sue forze dell’ordine.

SILESTMINUIT, da Lugano

da Popoffquotidiano

foto tratta da Popoffquotidiano

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Migranti

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