Sulle banche, i paracarri di Mattarella

Quirinale. I paletti del Colle risultano indigesti per la coppia Salvini-Di Maio, all’opera non per un semplice «spoil system» ma per un assetto che somiglia molto a un nuovo regime

Una lettera che arriva dopo averli personalmente incontrati il giorno prima in una convocazione al Colle, inizialmente prevista per discutere del bollente tema delle autonomie regionali poi invece concentrata sulla questione bancaria.

Certamente i corposi paletti del Colle possono risultare indigesti per gli appetiti delle due forze di governo, da tempo sono all’opera non per un semplice spoils system, ma, seppure in conflitto tra loro, per un riposizionamento di pedine nell’amministrazione dello Stato e nel sistema economico pubblico allargato, in un’ottica da regime.

I rilievi sollevati da Mattarella non sono leggeri. Anche perché la legge prevede per la Commissione moltissime funzioni fortemente invasive, da svolgersi con poteri equiparabili a quelli della magistratura, e una durata che copre tutta la restante legislatura. Una condizione ben diversa, quindi, dalla precedente Commissione presieduta da Casini, che già in qualcuno aveva suscitato dubbi sulla sua utilità, la cui durata era di sei mesi con un campo di azione ben più ristretto. Con l’impostazione data dai 5Stelle alla nascente Commissione – di cui rivendicano la presidenza per Gianluigi Paragone, l’ex conduttore televisivo di non indimenticabili talk show – il rischio di tenere l’intero sistema bancario sotto schiaffo da parte di una commissione nominata da un parlamento di nominati è troppo evidente.

Mattarella quindi non poteva che avvertire il pericolo di una sovrapposizione tra il ruolo della Commissione – “quasi si trattasse di un organismo ad esse sopra ordinato” – e quello in primo luogo della Consob e di Bankitalia, ma anche di Ivass, di Codip e della stessa Bce. Anche se poi non viene precisato come tale pericolo possa essere evitato, il Capo dello Stato insiste sulla natura di Autorità indipendenti di questi organismi sancita sia dall’ordinamento italiano che dai trattati europei. In particolare ribadisce l’autonomia delle banche centrali e della Bce dal potere politico, ribadendo che esse “non possono sollecitare o accettare istruzioni dai governi o da qualsiasi altro organismo degli Stati membri”. Siamo a un mantra del neoliberismo, ma non c’è da stupirsene. Come già nella vicenda assai meno limpida del non placet presidenziale a Paolo Savona, ritorna con forte insistenza il tema del rispetto dei compiti degli organismi della Ue, in particolare della Bce e dell’Esma (una specie di Consob europea).

Mattarella tradisce la sua scarsa fiducia nei futuri commissari, quando raccomanda loro cose che dovrebbero essere implicite – ma qui fa bene a farlo – quali la assoluta riservatezza sulle informazioni privilegiate, poiché un loro distorto utilizzo potrebbe procurare indebiti vantaggi nel mercato o procurare allarme tra i risparmiatori. Poiché il testo legislativo prevede il potere della Commissione parlamentare di “analizzare la gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento” il paradosso di un parlamento che controlla nei dettagli la corrente attività bancaria prende forma in modo inquietante. Scranni parlamentari trasformati in sportelli bancari.

Infine, ma non è poco, Mattarella insiste sulla non interferenza fra l’inchiesta parlamentare e il normale corso della giustizia “essendo precluso all’organo parlamentare l’accertamento delle modalità di esercizio della funzione giurisdizionale e le relative disponibilità”. Non siamo di fronte al semplice, ma quanto mai utile ribadimento della divisione dei poteri, ma alla volontà di impedire che la Commissione diventi strumento per il regolamento di conti (nel senso non economico del termine). Sapranno i Presidenti delle Camere, nonché il presidente della Commissione, esserne i garanti? E’ lecito dubitarne.

Precedentemente era salito al Quirinale anche il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, ma la sua visita pare sia stata prevalentemente dedicata ad ottenere il via libera preventivo al nuovo assetto apicale della principale istituzione bancaria del paese, che sembrerebbe essersi risolto ponendo fine, almeno per ora, agli attacchi al Direttorio lanciati dai due dioscuri del governo.

Il posto di direttore generale lasciato vacante da Salvatore Rossi, che ha rinunciato alla riconferma per un non meglio precisato “senso di responsabilità”, verrebbe occupato da Fabio Panetta, mentre Daniele Franco, fin qui Ragioniere generale dello Stato, non molto amato in quella funzione soprattutto dai 5Stelle, sarebbe il suo vicedirettore generale. La presenza femminile, ormai prassi in Bankitalia, verrebbe assicurata nella funzione di vicepresidente da Alessandra Perrazzelli, che proviene dal mondo bancario privato ed è attualmente vicepresidente di Assolombarda. L’uso del condizionale è d’obbligo perché la parola ora spetta al Consiglio dei Ministri e nulla è scontato in questo clima di continua fibrillazione.

ALFONSO GIANNI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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