Riflessioni estive sul movimento comunista che non c’è

Non si può far rinascere una alternativa anticapitalista in Italia senza una nuova cultura critica di massa. Vuol dire far rinascere un comune sentire, che è venuto progressivamente meno...

Non si può far rinascere una alternativa anticapitalista in Italia senza una nuova cultura critica di massa.

Vuol dire far rinascere un comune sentire, che è venuto progressivamente meno nell’arco di trenta e più anni, che era comunque “cultura” sociale e popolare che istintivamente, senza bisogno di troppe letture o analisi, faceva percepire ad esempio il PCI (diverso il discorso per DP) come il naturale luogo politico, il naturale partito da votare per fare i propri interessi di salariati e sfruttati.

Oggi quella sensazione singola e comune non esiste più. È scomparsa una vera e propria cultura di massa. Una presa di coscienza critica è venuta meno, sostituita dai falsi miti dell’onestà (che non è un programma politico ma dovrebbe essere invece un naturale comportamento etico per chiunque, non solo per “i politici”), dai tanti odi contro caste anche qui più o meno reali o inventate ad uso e consumo delle propagande di partito.

Non credo che in questa fase il tema del governo del Paese possa essere al centro del nostro agire. Agire da comuniste e comunisti. Io tengo molto alla precisione terminologica: è programma essa stessa.
Se ci si definisce genericamente “di sinistra” si impedisce la discussione generale su parole e concetti che tutti abbiamo contribuito a far sparire dal discorso comune.
Non basta parlare di lavoro per dirsi di sinistra o comunisti. Il punto è: ne parliamo con quale prospettiva?

Il comunismo non è una prospettiva ma un lavoro qui ed ora per costruire una alternativa a 180 gradi rispetto al capitalismo.
I rapporti di forza si costruiscono non con sinistre “generiche” ma mostrando alla gente, ai proletari moderni in che razza di condizioni vivono a causa non dei migranti o dei vitalizi parlamentari ma a causa dello sfruttamento in tutte le sue molteplici applicazioni dall’uomo sull’uomo, dalle banche sulle masse.
Noi dobbiamo essere oltre che politici anche dei pedagoghi, degli insegnanti di un rinnovamento culturale che insinui il dubbio.
Il dubbio che vi possa sempre essere una alternativa a ciò che appare imperturbabile o magari solo timidamente riformabile.

I comunisti non sono più quell’avanguardia politica di un tempo. Devono, come programma sociale e politico, porsi questo obiettivo: tornare a rappresentare un punto di riferimento per gli sfruttati.

Noi corriamo una staffetta che non possiamo abbandonare. Se abbandoniamo la corsa, sparisce una possibilità di alternativa netta, che deve continuare ad esistere.
Dalla fase di esistenza dobbiamo passare alla fase della costruzione, ripeto, di un sentire comune come “cultura di massa”, pasolinianamente e anche gramscianamente parlando.
Sulla base di una empatia sociale e politica come elemento unificatore in base al riconoscimento di comuni interessi di classe, allora la classe si riconosce per ciò che è. Oggi esiste la classe degli sfruttati ma non ha unità e consapevolezza di essere tale.
Un capolavoro del capitale: la destrutturazione dei corpi di base e medii.
Machiavellico ed efficace: dividere e comandare.

MARCO SFERINI

foto tratta da Pixabay

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