Renzi e il cavallo di Troia delle mutue contro il diritto alla salute

Sanità. Si taglia il salario e l’azienda fa l’affare di detrarre interamente i costi delle mutue dal costo del lavoro. Dove aveva fallito il governo Letta ha vinto il jobs act

La reazione della sanità fu del tutto contraria e il governo accantonò i suoi propositi. Quando Renzi subentrò a Letta ci fu un cambio di strategia: la sanità continuò ad essere de-finanziata e depotenziata ma quel progetto di contro-riforma fu spostato dentro al jobs act, al servizio di una politica economica interamente fondata sulla contrapposizione tra lavoro e diritti. La sanità andava controriformata ma non direttamente come provò a fare Letta ma indirettamente servendosi di certi particolari cavalli di Troia chiamati “mutue”.

L’idea strategica del jobs act è lineare:1) fare mutue a suon di incentivi, 2) sostituire la sanità pubblica per liberare il suo capitolo di spesa (113 mld) 3) con i soldi liberati finanziare la riduzione del costo del lavoro. Quindi lavoro contro welfare. Come? Offrendo ai lavoratori la possibilità di scegliere: o salario intero con tasse intere o salario ridotto con mutua offerta dal datore di lavoro. Il lavoratore paga meno tasse perché prende meno salario mentre l’impresa può detrarne tutte le spese accrescendo il suo profitto. Geniale, no?

Ecco i passaggi previsti dalla legge di stabilità 2016 (L208)ispirata dal jobs act: 1) detassare i redditi delle imprese agendo sul cuneo fiscale (modifica l’art 51 del testo unico delle imposte sui redditi );2) detassare i premi di produttività attraverso i contratti collettivi di lavoro di 2° livello; 3)erogare mutue a favore dei lavoratori in esenzione da contribuzione e imposizioni fiscali; 4)escludere dalla base imponibile i costi delle mutue offerte dal datore di lavoro sulla base di accordi collettivi; 5) dare il via libera alle mutue senza alcun limite di prestazioni non per integrare ma sostituire nel tempo la sanità pubblica.

Quindi le “mutue di Renzi” non sono ciò che appaiono dal momento che non servono a tutelare la salute dei lavoratori ma sono uno stratagemma del jobs act per accrescere il reddito di impresa.

Le conseguenze sul piano sociale sono disastrose perché i diritti come quello della salute diventano una derivazione dell’economia, il reddito di impresa si sostituisce all’art 32 della costituzione, il diritto sotto forma di mutua diventa funzione del lavoro, e chi non ha lavoro al massimo può ambire alla carità pubblica cioè ad un welfare residuale. Addio welfare.

Qualche numero sulle mutue ridicolmente definite “integrative”: nel 2014 erano 290, nel 2016 erano 305 e ad oggi, dopo la legge di stabilità 2016 e gli ultimi rinnovi contrattuali (metalmeccanici compresi), la prima impennata cioè 360. Una stima ragionevole aggiornando i dati ufficiali disponibili con quelli relativi al prossimo rinnovo dei contratti del pubblico impiego (3 milioni di persone) calcolando lavoratori e familiari è che siamo oltre i 15 milioni di persone con una doppia tutela quella pubblica e quella mutualistica. Ed è solo l’inizio.

Naturalmente questa diabolica operazione ha bisogno di una ideologia di sostegno che troviamo bella e pronta nella mozione congressuale di Renzi: «Il welfare non deve risarcire, deve sostenere la persona e proteggerla». E’ il linguaggio trendy del mondo delle imprese, è il “welfare on demand”. Perché è da li che Renzi la prende a prestito. Oggi dicono le imprese, soprattutto assicuratrici, con la contrattazione aziendale di secondo livello e la nascita delle mutue la copertura collettiva cambia l’uso della polizza, che non è più a rimborso, ma a protezione. Ecco perché Renzi nella sua mozione parla di “nuovo diritto alla protezione”.

Il welfare on demand non c’entra niente con la salute di chi lavora ma è un nuovo modello di remunerazione che sostituisce il salario con benefit e perquisite. Ipotizzando un costo aziendale di 100 euro di salario per il singolo lavoratore, il lavoratore, a causa del cuneo fiscale si metterà in tasca all’incirca 50 euro netti. Se invece i 100 euro di salario vengono commutati in una mutua il lavoratore avrà 100 euro in meno e pagherà meno tasse ma in compenso avrà una mutua che però paradossalmente distruggerà il suo diritto alla salute. Il vero affare lo fa l’azienda. Essa finanziata con la fine del welfare pubblico potrà detrarre interamente i costi delle mutue dal costo del lavoro.

Una follia che solo un apprendista stregone come Renzi poteva immaginare. Da respingere senza se e senza ma.

IVAN CAVICCHI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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