Quella pietà indotta per i terremoti e negata ai migranti

La terra che trema sembra ogni volta una novità. Per fortuna questa volta non ha causato vittime ma si è accanita “soltanto” contro il patrimonio abitativo e culturale delle...

La terra che trema sembra ogni volta una novità. Per fortuna questa volta non ha causato vittime ma si è accanita “soltanto” contro il patrimonio abitativo e culturale delle Marche e dell’Umbria. Ancora contro due regioni che sono state oggetto nella fine dello scorso agosto di un violento terremoto omicida.
Un omicidio di massa che abbiamo giustamente attribuito anche alle speculazioni edilizie, all’uso ed abuso di un territorio che sapevamo essere sopra una zona altamente sismica: conferma ne è questa serie di scosse telluriche praticamente infinite.
Ma, detto questo, cosa altro si può dire rispetto al fenomeno in sé? Sui giornali, su Internet e persino alla radio si mette in scena una spaventosa retorica fatta di pietà a buon mercato: tutti si battono il petto e si stringono attorno ai terremotati. Attimi di solidarietà umana, magari anche sincera, ma quando questi attimi cominciano a ripetersi incessantemente, ad essere una sorta di cannibalismo televisivo, di ossessione della telecamera che giunge sui posti dei disastri, del panico e del vero e proprio terrore che la gente ha vissuto poche ore prima, allora anche il terremoto diventa oggetto e non soggetto di una storia.
Diventa spettacolo per indurre tanto le istituzioni quanto i cittadini ad abbracciare un sentimentalismo quasi peloso, interessato, come lavacro di coscienza per molte altre indifferenze che ci attraversano nel corso dell’anno, del tempo che viviamo quotidianamente.
La sequela di struggimenti che poi si può leggere sui social network è quasi imbarazzante: molti si prodigano nel comunicare che si è avvertita una scossa, sostituendosi persino ai telegiornali, alle agenzie di informazione. E’ un fenomeno curioso, molto in voga da quando il protagonismo internettiano è diventato una costante della nostra vita.
Comunichiamo qualunque cosa: sentiamo il bisogno di dire la nostra e ciò ha una logica. Ma scrivere: “Scossa di terremoto, l’avete sentita?”, somiglia molto ad una lettera interrotta prima ancora d’essere stata scritta, ad una domanda così tronca da non essere quasi una domanda, ma una affermazione di un primato. Appunto. Si scatena la gara a scrivere, ad una comunicazione veloce, magari senza verifiche di fonti.
Ci dimentichiamo che non siamo seduti ad una scrivania dell’Ansa ma dietro al computer di casa nostra e che non siamo lì per evitare di “farci bucare” una notizia, ma per rilassarci, per provare a riflettere anche…
Quindi, la drammaticità del terremoto serve a farci sentire più buoni, tutti più buoni. Per l’appunto quel lavaggio della coscienza che poi continua nelle donazioni di due euro per i terremotati.
In un’epoca in cui la criticità è stata sostituita dal torpore, questi risvegli subitanei dell’animo umano sembrano qualcosa di straordinario. Invece rientrano in una terribile normalità che ha assuefatto tutti e ha condizionato talmente le nostre azioni da farci indignare soltanto quando l’evidenza è così tremenda da non poter essere evitata nemmeno con la coda dell’occhio; quando ci viene battuta e ribattuta addosso, in faccia, con immagini, suoni e parole a ripetizione.
Deve entrare nel nostro cervello e produrre un effetto. Per poco tempo. Giusto quello della pietà indotta che, purtroppo, seppellisce, proprio come le macerie, la sincerità di una umanità che a Gorino muore dietro le barricate anti migranti e per i terremotati si risveglia con strana, inevitabile forza.

MARCO SFERINI

27 ottobre 2016

foto tratta da Pixabay

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