Nelle piazze anti-Salvini mancano lavoro e diritti sociali

Sardine. Le manifestazioni delle sardine offrono la concreta possibilità di partecipazione a una cittadinanza progressista, giovane, priva di punti di riferimento politici

L’abitudine alla competizione fratricida sta portando una parte della sinistra italiana (a volte ormai frammentata fino al nucleo del singolo individuo che emette sentenze sui social) ad assumere toni supponenti e ostili alla mobilitazione delle “sardine”. Toni che si alimentano di culture ripiegate su sé stesse.

Una mobilitazione come questa non può non essere considerata positiva da chi si colloca a sinistra, come tutte le mobilitazioni che si oppongono al razzismo, all’agitazione strumentale di supposti sentimenti popolari e alle inclinazioni autoritarie. È inoltre una campagna che riempie le piazze e offre possibilità di partecipazione a una cittadinanza progressista priva di punti di riferimento politici.

Sottolineati questi aspetti positivi, vale la pena ragionare anche su alcuni elementi problematici. Si tratta, ancora una volta, di una campagna reattiva, che reagisce contro qualcosa incarnato da qualcuno. La mobilitazione si contrappone a un singolo leader politico – può essere definita una campagna anti-Salvini – che per giunta non è al governo e non occupa quindi la casella simbolica del potere. Da molto tempo la sinistra italiana si attiva (o si candida alle elezioni) reagendo a qualcuno e/o difendendo qualcosa. Prima delle elezioni europee si era già sviluppata una forte mobilitazione anti-Salvini, che non fermò la sua ascesa elettorale, perché Salvini vive di polarizzazione sulla sua persona.

La sinistra italiana è stata per vent’anni anti-berlusconiana, per un periodo anti-renziana, ora è anti-salviniana. Fa riflettere questa ricorsività di azioni che si sviluppano attorno ai leader avversari. Come se dire “Loro” (o, in questo caso, “Lui”) fosse l’unico modo per dire un Noi. Ugualmente a mobilitazioni del passato come i Girotondi, il Popolo viola e le diverse campagne anti-berlusconiane, anche quella delle sardine appare, per ora, evenemenziale: si manifesta attraverso eventi legati ad altri eventi (le manifestazioni di Salvini). È essa stessa un “evento”, un singolo fatto puntuale convocato per un’occasione specifica.

Tornano anche discorsi tipici di molte campagne di protesta dell’ultimo quindicennio: le retoriche della società civile e della Rete (le “manifestazioni spontanee organizzate sulla Rete”) e quella dell’assenza di “bandiere”, che allude al fatto di non avere un’identità politica specifica da cui esprimere un punto di vista di parte e un insieme di rivendicazioni. Si insiste su un registro anti-populista che contrappone “la testa” (Noi) alla “pancia” (Loro). Ma la politica ha bisogno anche di pancia (emozioni) e il senso comune popolare non deve essere monopolio della destra.

Questi limiti e rischi non annullano certo l’importanza di questa mobilitazione, e ovviamente non sono imputabili a chi ha convocato queste piazze o vi partecipa. Il luogo rimosso della politica contemporanea, però, è la mobilitazione su ampia scala sulle questioni sociali e del lavoro.

È questo il luogo della sconfitta, che riguarda sia la possibilità di ricostruire attorno a questi temi soggettività e rivendicazioni non solo difensive, sia il fatto di dargli un carattere politico. Il liberismo e la destra non hanno costruito una società spoliticizzata: hanno spoliticizzato solo il lavoro e i diritti sociali. Tutto il resto riesce a entrare nel perimetro della politica. Non si tratta quindi di “criticare” le sardine, ma di chiedersi che responsabilità abbiano nella creazione di questo vuoto altri attori, come i sindacati e le grandi associazioni di intervento sociale, oltre che i partiti. Ma soprattutto, si tratta di chiedersi cosa possano fare adesso questi attori.

I movimenti sociali che negli ultimi anni sono riusciti a costruire mobilitazioni ampie sono quello femminista, quello ambientalista e quelli per i diritti civili. Sono gli stessi movimenti che a partire dagli anni Sessanta hanno costituito la svolta “post-materialista” dei movimenti sociali. Oggi sono tornati al centro della scena, a dimostrazione del fatto che nessun fenomeno può essere compreso in un’ottica di breve periodo.

Non c’è nessun bisogno di contrapporre questi movimenti a quelli sociali e del lavoro. Ci sarebbe molto bisogno, però, di intrecciarli. Cosa succederebbe se Fridays for future, i movimenti femministi, mobilitazioni civiche come quella delle sardine e organizzazioni impegnate sul terreno dei diritti sociali, della lotta alla povertà e del lavoro, convocassero un appuntamento unitario? Forse ci troveremmo davanti alla possibilità di costruire un vero movimento sociale. Forse emergerebbero i tratti di un’idea complessiva di società.

LORIS CARUSO

da il manifesto.it

foto: screenshot

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