Nel mare in subbuglio del capitalismo in trasformazione

Mentre mi accingevo a scrivere mi è giunto, sul computer, l’intervento di Ramon Mantovani. Lo condivido sia nell’analisi che nelle argomentazioni che nelle proposte. E’ inutile, allora, ripetere. Rimando...

Mentre mi accingevo a scrivere mi è giunto, sul computer, l’intervento di Ramon Mantovani. Lo condivido sia nell’analisi che nelle argomentazioni che nelle proposte. E’ inutile, allora, ripetere. Rimando a quel testo, aggiungendo solo alcune modeste osservazioni.

1) Un tema è diventato un paradigma esemplicativo della nostra ricca discussione congressuale: “facciamo come Barcellona”. Io aggiungo “facciamo come Napoli”.
Penso anch’io, infatti, che il soggetto politico catalano, che è evoluzione rispetto alla stessa era della vittoria politica alle amministrative di Barcellona (ed è strutturalmente molto diverso da Podemos) sia, per noi, l’esempio ed il laboratorio più maturo per la riaggregazione delle sinistre anticapitaliste (e liberiste), dei movimenti di lotta sui territori, al di fuori e contro politicismi.
Ma se ne parla, anche al nostro interno,molto spesso a vanvera, con torsioni ideologistiche o chiacchiera movimentista. Ramon Mantovani, che vive in prima persona quella complessa esperienza, nel suo contributo alla tribuna congressuale, ne parla con base scientifica e verità politica.

Espone, soprattutto, con chiarezza,la difficile, quotidiana dialettica tra partiti, movimenti , ruolo rappresentativo di dirigenti come Ada Colau. Ciò che abbiamo tentato di realizzare da Chianciano ad oggi corrisponde, non è dissimile soggettivamente. Sono state molto diverse le condizioni oggettive. Chi rifiuta approfondimenti su questo tema fondativo pecca di meccanicismo.
Che è l’altra faccia del giustificazionismo. Se la giustezza di una linea politica si verificasse solo nell’esito vittorioso butteremmo a mare quasi tutto il materialismo marxista. Nonché il Brecht del “Sarto di Ulm”.

Il rinnovamento dei gruppi dirigenti comunisti è il contrario della rottamazione (spesso anche anagrafica) renziana o della democrazia tecnologia alla Casaleggio (con forti venature assolutiste). Si costruisce nel conflitto, nella formazione teorica, nella cura spasmodica delle forme e delle attitudini dell’organizzazione politica. Siamo figlie e figli della Comune di Parigi (vincoli di mandato, rotazioni, incompatibilità tra più mandati, tra ruoli partitici ed istituzionali, ecc.).

Dovremo fare molti passi avanti, osando anche con azzardo. Il congressi di Spoleto non dovrà essere conservatore su questo tema.

2) Il contesto ordoliberista globale verifica l’ammonimento angosciato di Gramsci: “il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.

E i “mostri” sorgono quando il campo della disputa politica si struttura intorno a questioni identitarie e di appartenenza invece che di democrazia e giustizia sociale. Apprezzo molto il documento 1 perché tenta di affrontare il mutamento di campo, di indicare, con umiltà, elogio del dubbio, “spirito di scissione”, il ruolo , i compiti di un partito comunista contemporaneo.

La Commissione politica, coordinata da Roberta Fantozzi, stavolta, al contrario dei congressi precedenti, ha lavorato bene, affrontando i problemi. Con articolazioni, anche non trascurabili, molto interessanti.
Io ritengo, ad esempio, di grande arricchimento del documento 1 gli emendamenti (su temi niente affatto irrilevanti) presentati da Dino Greco, Tonia Guerra (ed altre compagne e compagni) così come quelli presentati da Moro, da Nobile, da Miniati, eccetera.
Ne ho anche votato qualcuno al congresso di circolo, perché li ritengo parte dialettica necessaria alla ricerca teorica ed al posizionamento politico del partito. Come scrive,infatti, Loris Caruso: “in USA , in Europa e altrove è in corso una rivolta del popolo contro le èlites, ma anche una poderosa rivolta dell’èlite contro il popolo. I due processi devono essere sempre guardati insieme. Il popolo ed il populismo vengono spesso usati per ridisegnare le istituzioni in senso ademocratico”.
E’ grillismo di sinistra confondere l’establishment (che è solo ascaro e servo) con il capitale. Partire dalla vittoria referendaria è decisivo non solo perché abbiamo salvato una Costituzione che non è compatibile con il liberismo dei trattati europei e con il nuovo articolo 81 voluto dal PD e dal centrosinistra.
Ma anche perché (e ci riguarda molto) la dura battaglia referendaria ha radicalizzato contro il Pd e fatto emergere un nuovo gruppo dirigente democraticamente intransigente e conseguente. Ci interessa Tomaso Montanari; ci interessa Luigi Ferrajoli.

Sono nuovi compagni di viaggio nella nostra traversata nel deserto ? O è politicismo anche solo tentare di lavorare insieme? In un “cantuccio a contemplare la nostra evanescenza” non ci sono mai stato, dal ’68 ad oggi. Abbiamo certo commesso tanti errori, ma il presupposto per un dialogo utile e unitario è smetterla con l’arroganza egocentrica e tentare di individuare, gramscianamente, il nocciolo di verità che pur sempre contiene la tesi dell’interlocutore.
Dobbiamo ricostruire dalle macerie dei nostri tempi.

Partendo, certo, dalle tante ragazze e ragazzi che hanno animato, come nuovo gruppo dirigente, il “no sociale” nel referendum del 4 ottobre; dalle rivolte, dalle ribellioni, dai conflitti, dalle pratiche mutualistiche, dalle casse di solidarietà, dalle nuove “case del popolo”, dalle “camere territoriali dei lavori e dei precariati”. Ma mettendo noi stessi in forte relazione con le dinamiche politiche inedite che ne scaturiscono. Non si può fare politica alta al di fuori di questo magma, dagli esiti imprevedibili, ma “non necessariamente reazionari”.

Se lo capiscono, ormai, tanti centri sociali, non solo napoletani, se lo comprende De Magistris (che va interpretato per quello che dice e fa, nel bene e nel male) che io vedo come nostro alleato ineludibile nella costruzione di un soggetto antiliberista non pattizio, che non pretenda l’impossibile scioglimento del Partito della Rifondazione Comunista, allora possiamo capirlo anche noi.

Autonomia del sociale e costruzione di un fronte meramente elettorale è una ricetta troppo facile e antica, che non funziona di fronte alla nuova composizione sociale e alla domanda politica dei movimenti in lotta. Porteremmo solo, inconsapevolmente, acqua al mulino del Movimento 5 Stelle o all’ascarismo di Pisapia, Scotto ecc. e agli orfani dell’Ulivo.

3) Anche perché processi di valorizzazione del capitale e comando assoluto, “stati di eccezione”,  zone rosse, leggi marziali (penso alla Val di Susa ma non solo) si tengono insieme. Weimar non è lontana. Scenari di guerra e immaginario popolare della “sicurezza” si tengono insieme. Ma non pensiamo che nulla cambia, che non si possa praticare visioni del mondo e politiche alternative. Non amo il ” fazionalismo” ma nemmeno il “disperazionismo”, ci insegnava Fortini.

Vediamo e viviamo ogni giorno l’importanza di tentativi di autogestione, autogoverno, mutualismo, spesso intrecciati con le istituzioni, con il “nuovo municipalismo”. Credo molto nel coordinamento delle “città ribelli”, nelle esperienze delle “città in comune”. Abbiamo bisogno di tutte queste esperienze, questi laboratori pur nelle loro diversità, semi da far crescere con amore ed umiltà. E’ la ricchezza del possibile, per volere l’impossibile. Da queste forme politiche dobbiamo trarre teoria. Per una rinnovata “critica dell’economia politica”.

Dobbiamo inoltrarci, come ci ricorda Hobsbawm, nel “mare in subbuglio del capitalismo in via di mutazione”.
La vecchia talpa scava ancora.

GIOVANNI RUSSO SPENA

da rifondazione.it

foto di Marco Ravera

categorie
Rifondazione ComunistaSpeciale Congresso 2017

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