Moustapha Akkad. Il regista dell’orgoglio mussulmano

Produttore della serie Halloween, con due soli film divenne un punto di riferimento per il mondo arabo

Nel mondo cinema gli anni settanta furono anni di grande fermento, anche grazie ad una varietà di produzione senza eguali. Si andava dai film politicamente impegnati (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia va in paradiso, Novecento) alla satira antimilitarista (M*A*S*H, Comma 22); dalle sofisticate commedie (Il fascino discreto della borghesia, Manhattan) al cosiddetto “Terzo cinema” (El Topo, La montagna sacra, Yol); dalla denuncia della guerra in Vietnam (Il cacciatore, Apocalypse Now) a musical (The Rocky Horror Picture Show) e parodie (Frankenstein Junior) destinati a rimanere della storia. Dall’affermarsi di nuovi registi (Il padrino, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Taxi Driver) al consolidarsi di altri (Arancia meccanica, Giù la testa, Professione: reporter). Ma gli anni settanta furono anche gli anni con Star Wars, L’esorcista, Lo squalo e l’indiano Sholay che ottennero un grande successo popolare. Anche i cineasti arabi non furono da meno e non si tirarono indietro davanti alla realizzazione di kolossal popolari, il più autorevole di tutti fu Moustapha Akkad.

Moustapha Akkad

Moustapha Akkad

Figlio di un ufficiale delle dogane, Moustapha al-Akkad nacque ad Aleppo in Siria il primo luglio del 1930. Dopo essersi laureato all’Aleppo American College, si trasferì negli Stati Uniti per studiare regia e produzione all’Università della California di Los Angeles, con in tasca 200 dollari e una copia del Corano regalatagli dal padre. Alla UCLA Akkad conobbe Sam Peckinpah (poi regista del celebre Il mucchio selvaggio) con il quale collaborò (anche per un film sulla guerra di Algeria, mai realizzato) fino a quanto Akkad non trovò lavoro presso la CBS.

Nel 1976 la svolta. Partendo da una riflessione sulla sua vita e sulla sua identità, Akkad era siriano di origine, ma statunitense di adozione, era un mussulmano, ma in un occidente che non sapeva nulla di quella religione, decise di iniziare a lavorare, consultandosi con diverse autorità religiose, ad un film sull’Islam e sulle sue origini. Una pellicola che voleva essere un ponte capace di colmare il baratro tra mondo occidentale e islamico, ma il progetto si scontrò subito con lo scetticismo dei produttori hollywoodiani, indisponibili al finanziamento. Akkad non si scoraggiò e decise di auto produrre The Message o Mohammad, Messenger of God (Il messaggio o Maometto messaggero di Dio, 1976).

Il messaggio o Maometto messaggero di Dio (1976)

La pellicola racconta la storia delle origini della religione mussulmana e lo scontro tra Maometto e l’aristocrazia che lo avversa, dalla rivelazione del Corano alla cacciata dalla Mecca fino alla riconquista della stessa da parte dei mussulmani.

Un film spettacolare, simile ai kolossal biblici, che necessitò di quattro mesi solo per la costruzione dei set. Imponenti le scene di massa, curati i costumi d’epoca, di livello il cast: Anthony Quinn e Irene Papas (che aveva già lavorato insieme in Zorba il greco), Michael Ansara (in seguito Comandante Kang nella serie Star Trek), Michael Forest (da ricordare per un ruolo nel film L’assassinio di Trotsky del regista comunista Joseph Losey) e Garrick Hagon (l’anno seguente partecipò a Star Wars nella parte di Biggs Darklighter, amico d’infanzia di Luke Skywalker).

Ma nelle quasi tre ore di film non c’è traccia di Maometto. Le alte cariche della religione islamica posero, infatti, il veto, opponendosi alla rappresentazione del Profeta in qualunque forma. Anche una semplice ombra venne vietata. Non solo Akkad lasciò dei “buchi” della colonna sonora nei punti in cui doveva esserci la voce di Maometto. Le scene in cui il Profeta dell’Islam era protagonista vennero girate così in soggettiva con gli attori che si rivolgevano direttamente alla macchina da presa.

la versione araba di Mohammad, Messenger of God con Abdullah Gaith

Akkad girò anche una versione araba di Mohammad, Messenger of God, con Abdullah Gaith nella parte dello zio, interpretato nella versione internazionale da Anthony Quinn. Il regista avrebbe potuto semplicemente doppiare il film per il vasto pubblico arabo, ma sentiva che lo stile di recitazione occidentale e quello arabo erano troppo diversi. Una testimonianza di questo “doppio lavoro” venne data dal documentario The Making of an Epic: Mohammad, Messenger of God (1976) girato da Geoffrey Helman e Christopher Penfold.

Il regista, in un’intervista del 1976, dichiarò: “Ho fatto questo film spinto da una forte motivazione personale. […] è pur sempre un film, con la sua storia, il suo intreccio, il suo dramma., ma penso ci sia qualcosa di personale, essendo io stesso un mussulmano che ha fatto carriera in Occidente. Ho sentito che era un mio obbligo, un mio dovere narrare la verità sull’Islam. È una religione con oltre 700 milioni di fedeli, ma si sa così poco al riguardo che mi sono sorpreso. Ho pensato che dovessi narrare la storia, che colmerà questo vuoto tra oriente ed occidente”.

Ma nonostante questa precisazione, il rapporto con le autorità religiose e l’assenza di ogni riferimento fisico a Maometto, diversi cinema ricevettero chiamate minatorie da persone che pensavano che il film offendesse l’Islam perché ritraeva il profeta in maniera terrena. La rappresentazione di Maometto rimane tutt’ora un tabù per il mondo arabo, basti pensare alle polemiche e ai divieti suscitati da Muhammad: The Messenger of God (2015) del regista iraniano Majid Majidi.

Halloween (1978) diretto da John Camperter, ma prodotto da Akkad

Uomo tranquillo e calmo, Akkad si vide catapultato in una ribalta inaspettata. Due anni dopo divenne il produttore di un film horror a basso costo che ottenne un successo insperato. Quel film, diretto da John Carpenter, era Halloween che diede vita ad una fortunata serie. Akkad mantenne i diritti e fu l’unico membro della produzione a non aver mai lasciato la serie, fino alla sua morte. Gli ultimi due capitoli della saga, Halloween – The Beginning e Halloween II, diretti da Rob Zombie, furono prodotti dal figlio Malek.

Ma Akkad, grazie a quella pellicola sull’Islam, divenne il regista preferito del leader libico Mu’ammar Gheddafi che decise di cofinanziare, con 35 milioni di dollari, il suo secondo film: Lion of the Desert (Il leone del deserto, 1981). La pellicola si soffermò sulla figura di Omar al-Mukhtar, eroe nazionale in Libia, che guidò la guerriglia anticoloniale contro gli italiani negli anni venti.

Nel 1929 per stroncare la ventennale resistenza guidata da Omar al-Mukhtar (Anthony Quinn), Benito Mussolini (Rod Steiger) nomina Governatore della Libia il generale Rodolfo Graziani (Oliver Reed), che pur di vincere non lesina le peggiori crudeltà (rappresaglie, esecuzioni sommarie, utilizzo di gas asfissianti, deportazioni in campi di concentramento) nei confronti della popolazione. La tragedia della guerra si intreccia con le vicende di una giovane vedova (Eleonora Stathopoulou), del suo piccolo Alì (Ihab Werfaly) e della coraggiosa Mabrouka (Irene Papas). Nonostante l’inferiorità numerica e le armi obsolete, gli uomini di al-Mukhtar danno filo da torcere ai colonizzatori, ma alla fine l’anziano condottiero viene catturato e impiccato, ma il suo esempio resterà vivo.

Il leone del deserto (1981)

Girato tra Hollywood, Roma, Latina e la Libia (nel deserto e nel Fezzan, tra notevoli difficoltà logistiche), il film vanta una eccellente fotografia curata da Jack Hildyard e delle coinvolgenti musiche di Maurice Jarre. Presentato al Festival di Cannes nel 1982, il film fu molto apprezzato dallo storico inglese Denis Mack Smith che, sulla rivista Cinema nuovo, scrisse: “Mai prima di questo film, gli orrori ma anche la nobiltà della guerriglia sono stati espressi in modo così memorabile, in scene di battaglia così impressionanti; mai l’ingiustizia del colonialismo è stata denunciata con tanto vigore… chi giudica questo film col criterio dell’attendibilità storica non può non ammirare l’ampiezza della ricerca che ha sovrinteso alla ricostruzione”. Ma la pellicola di Akkad contiene diverse inesattezze: all’epoca il Governatore della Libia era Badoglio, Graziani fu nominato vice Governatore nel 1931 e Governatore solo nel 1940, Omar al-Mukhtar venne catturato da truppe libiche e non da soldati italiani. Non solo, per desiderio di Gheddafi che voleva separare la figura di al-Mukhtar dai Senussi (il cui re Idris I aveva spodestato con un colpo di stato nel 1969), il copione trasformò in un traditore collaborazionista lo sceicco sesussita Sharif el-Garian (interpretato da John Gielgud).

Il leone del deserto venne proibito in Italia

Nonostante le inesattezze, volute o meno, Il leone del deserto fu un kolossal che mise in luce una pagina rimossa del colonialismo italiano e per questo fu letteralmente proibito nel nostro Paese. Il Governo presieduto da Giulio Andreotti, che definì il film “lesivo della dignità nazionale italiana in quanto danneggia l’onore dell’esercito” arrivando ad accusarlo di “vilipendio delle Forze Armate”, ne bloccò la distribuzione. Senza il visto della censura Il leone del deserto scomparve letteralmente. Nel 1987 riapparve a Trento ad una iniziativa organizzata dal movimento pacifista, ma la Digos bloccò la proiezione e sequestrò la pellicola. Il film di Akkad venne proiettato in forma semi clandestina in alcuni festival, tra cui Riminicinema nel 1988. Bettino Craxi promise di mandarlo in onda sulla RAI, ma la promessa non fu mantenuta. Nel 2003, l’allora ministro per i Beni Culturali, Giuliano Urbani, bloccò ogni ipotesi di proiezioni o trasmissione.

Finalmente nel giugno del 2009, in concomitanza con la visita di Gheddafi in Italia giunto nel nostro Paese con la foto di al-Mukhtar sul petto, Sky cinema trasmettè il film di Akkad rompendo il tabù e la censura, a quesi trent’anni dalla sua realizzazione! (per maggiori informazioni sul film segnalo questo ottimo speciale del sito Forma cinema http://www.formacinema.it/critica-internazionale/il-leone-del-deserto/il-leone-del-deserto-2 e http://www.formacinema.it/critica-internazionale/il-leone-del-deserto/foto-e-doc).

Akkad negli anni seguenti tentò ad acquistare i Pinewood Studios, dove vennero realizzati la quasi totalità dei film di James Bond e dove più recentemente è stato girato Star Wars: The Force Awakens (Star Wars: Il risveglio della Forza, 2015), ma l’affare non si concluse. Continuava, invece, con successo la serie Halloween giunta all’ottavo film, Halloween: Resurrection (Halloween – La resurrezione), che sarebbe dovuto uscire delle sale il 21 settembre del 2001, ma a seguito degli attentati alle Twin Towers la “prima” slittò di un anno.

Moustapha Akkad prima della morte stava lavorando ad un film sulla figura di Saladino

Quell’attentato aumentò il baratro tra occidente e Islam e alimentò quello che in molti definirono “scontro di civiltà”. Akkad inizò così a lavorare ad un terzo film, ancora una volta sull’identità e l’orgoglio del mondo mussulmano, una pellicola su Saladino e le crociate per la quale aveva già pronta la sceneggiatura, il cast con Sean Connery e un finanziamento di oltre 80 milioni di dollari. A proposito di questo nuovo lavoro, Akkad disse: “Saladino incarna perfettamente l’Islam. Proprio ora, l’Islam è ritratto come una religione terrorista visto che un po’ di terroristi sono Mussulmani, l’intera religione ha questa nomea. Se mai ci fu una guerra di religione piena di terrore, si chiamò “crociata”. Ma non puoi certo accusare il Cristianesimo, perché pochi avventurieri lo hanno fatto”.

Triste ironia della sorte, Akkad il 9 novembre del 2005 fu vittima, insieme alla famiglia, di un attentato di al-Qaida durante i festeggiamenti di un matrimonio presso l’Hotel Grand Hyatt ad Amman in Giordania. La figlia 34, Rima Akkad Monla, morì sul colpo, il regista perì due giorni dopo in ospedale. Ad Akkad furono dedicate scuole e vie ad Aleppo e a Beirut (nonché, nel 2007, il remake di Halloween).

Finì così la carriera di un regista che amava la storia e che si rifiutò di dirigere qualsiasi altro genere. Un cineasta che con due soli film divenne il regista dell’orgoglio arabo.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

Immagini tratte da
Immagine in evidenza Screenshot del film Il messaggio e foto tratta da cineplex.com, foto 1, 7 da alchetron.com, foto 2, 3 Screenshot del film Il messaggio, foto 4 Screenshot del film Halloween, foto 5, 6  Screenshot del film Il leone del deserto

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