Lo stupro etnico e il tema dell’eguaglianza fuori dalla morale

La mia cultura politica e morale, la mia impostazione sociologica di entrambe queste formazioni che nel tempo mi hanno attraversato con altrui pensieri e con ispirazioni che ho preso...

La mia cultura politica e morale, la mia impostazione sociologica di entrambe queste formazioni che nel tempo mi hanno attraversato con altrui pensieri e con ispirazioni che ho preso a prestito per costruire un mio “io sociale”, mi hanno condotto già più di un quarto di secolo fa a pensare che l’eguaglianza fosse uno scopo di vita.

Per dirla molto semplicemente, non è che prima di diventare comunista pensassi che uomini, donne, esseri viventi in generale fossero categorizzabili in superiori e inferiori tra loro: semplicemente, abbracciando l’egualitarismo marxista, grazie ad un retaggio giacobineggiante (più storico che politico), avevo compreso negli ormai lontani tempi dell’università che dare un senso alla vita per me significava impegnarla in questa lotta. Nella lotta di classe. Nella lotta per la giustizia sociale, per la concretizzazione dell’anticapitalismo, per far avanzare il comunismo come movimento reale, così come descritto da Marx stesso ne “L’Ideologia tedesca”.

Su questo viatico ho formato una morale che, nel tempo, si è consolidata, provando una vera e propria repulsione per chi riesce a concepire differenze che diventano reali solo in base alla formazione di paure che nascono dall’odio che, a sua volta, nasce dal timore di perdere a volte vantaggi acquisiti con ingiusti comportamenti (antisociali), altre volte quel poco che si ha e, allora, si scende nel terreno della contrapposizione non tra le classi sociali, ma dentro la stessa classe sociale di quel moderno proletariato fatto di una galassia di disagiati che fanno fatica a riconoscersi.

La disomogeneità, infatti, è – giocoforza – elemento e strumento adoperato dalle forze di destra per dividere i poveri, gli indigenti, per far apparire quelli che arrivano in Italia, fuggendo da disperazioni che – questo è certo – noi non viviamo in quanto ad esperienza e che quindi non conosciamo direttamente, come potenziali nemici di noi stessi.

Ci possono sottrarre quel residuo, finto benessere che viviamo ogni giorno e che ci illude, che ci fa provare la sensazione di trovarci in un luogo del pianeta dove la ricchezza si può suddividere meglio senza i migranti, senza tutti quei barconi che arrivano e che ci minacciano in ogni ambito della nostra vita quotidiana.

Che, però, la “minaccia fantasma” dei migranti fosse minaccia superiore e potenzialmente più pericolosa di altre, uguali nel loro genere, per il solo fatto di provenire da non autoctoni, anche sul piano della sicurezza sessuale, è un elemento di riflessione ulteriore, ancora non indagato e che assurge al disonore delle cronache dopo una frase che non si sa bene se sia “infelice” o se sia invece il prodotto di un pensiero ponderato e, quindi, non uno “scivolone”, un “lapsus”.
Sostenere che lo stupro di una donna “è più odioso se commesso da un profugo”, perché costui tradirebbe la fiducia che il popolo italiano gli consegna al momento del suo arrivo sul suolo patrio, vuol dire, di contro, affermare che lo stupro perpetrato da un italiano è, comunque la si veda, operando un semplicissimo calcolo sillogistico, “meno grave”.

Davvero mi chiedo se ho fatto bene a commentare tutto questo provando a ragionare seriamente, partendo un poco da lontano, da quella necessità di una morale fondata sull’uguaglianza anche in comportamenti che sono riprovevoli ma che derivano da esseri umani uguali ad altri esseri umani; diversi ciascuno per ceto sociale, per origine famigliare, per istruzione, tenore di vita (o di sopravvivenza) e così via…

Perché dovrebbe essere evidente che uno stupro è un atto non classificabile etnicamente, ma in quanto gesto di violenza inaudita, di violazione del corpo e dell’anima di una donna: lo stupro è uguale per tutte le donne. Siano esse povere o ricche, bianche o nere, italiane o straniere.
Se ne dovrebbe dedurre che un italiano che stupra una donna, a differenza di un profugo (o di un migrante), commette forse un reato minore? Forse la donna stuprata prova meno dolore e sofferenza?
E magari prova meno dolore e sofferenza se a stuprarla è un uomo della sua stessa etnia?

Una affermazione di quella fatta è fuori dalla moralità per il semplice motivo che fa discendere una immoralità di condizioni del pensiero che possono trasformarsi in azioni ed essere giudicate con il metro della differenza di appartenenza etnica e non sulla base dell’uguaglianza di tutte le cittadine e di tutti i cittadini davanti alla Legge.

L’unica spiegazione possibile è che questo “pensiero” sullo stupro sia veramente un inciampo. Magari linguistico. Ma rileggendo la frase, purtroppo, sembra essere una opinione. Una opinione che dovrebbe essere non commentabile per la gravità che si trascina dietro di supposizioni, illazioni, costruzioni di morali alternative supportate dalle peggiori istintualità di una destra che non tarda a farsi sentire.

Ma non commentare tutto ciò vorrebbe dire accettare passivamente che sia una “opinione”. Cosa che, sinceramente, è inaccettabile perché fuori dalla morale dell’eguaglianza, dal riconoscimento che qualunque gesto positivo o negativo di un essere umano, questo è uguale a sé stesso in quanto tale e non differente perché commesso oggi da un italiano, domani da un non italiano.

Purtroppo, anche nell’eguaglianza, più su un piano filosofico e morale rispetto a quello politico (ma con evidenti riflessi nel secondo, quindi nel sociale), esistono lati oscuri, ombre e angoli bui che non possiamo non indagare, non perlustrare. Conoscerli vuol dire vaccinarsi rispetto al rischio di esserne vittime.
Ma quella dei vaccini è tutta un’altra storia che rimandiamo volentieri ad un prossimo commento, ad un prossimo incontro tra noi qui…

MARCO SFERINI

13 maggio 2017

foto tratta da Pixabay

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