L’Italia in Libia dalla cabina di regia allo strapuntino

L’intesa Russa-Turchia raggiunta con la tregua di Mosca per una Libia in via di spartizione è quasi una pietra tombale sul ruolo dell’Italia e rende irrilevante quello dell’Europa. Ancora...

L’intesa Russa-Turchia raggiunta con la tregua di Mosca per una Libia in via di spartizione è quasi una pietra tombale sul ruolo dell’Italia e rende irrilevante quello dell’Europa. Ancora nel luglio del 2018 Trump prendeva in giro Conte assegnando all’Italia, testuali parole, «la leadership in Libia».

Era la famosa «cabina di regia» con cui erano già stati buggerati Renzi e Gentiloni. Ora la nostra diplomazia si è lanciata in iniziative frenetiche con l’ansia di agguantare un qualunque strapuntino a un tavolo negoziale per la Conferenza di Berlino sulla Libia (forse il 19 gennaio). Persino un’agenzia sobria come la Reuters ironizza: l’Italia è la potenza straniera che ha ufficialmente più militari in Libia – 250 a Misurata a guardia di un ospedale – ma non sa cosa farne. A meno che non intervenga una seria missione internazionale: per ora la tregua prevede la sospensione dell’invio di forze turche e la supervisione del cessate il fuoco da parte dell’Onu (che finora ha riconosciuto solo il governo di Serraj).

Tra l’altro come ex potenza coloniale nei nostri confronti c’è sempre una giusta ostilità latente sul nostro ruolo operativo, e non solo da parte libica per i noti genocidi del colonialismo e del fascismo in Cirenaica negli anni Trenta (60-80mila morti). I francesi con noi hanno il conto aperto dell’Algeria, quando 60 anni fa con l’Eni finanziavamo la resistenza armata anti-coloniale, e nel ’92 gli Usa non volevano che gli italiani tornassero in armi in Somalia, altra ex colonia: ci vollero giorni per far atterrare a Mogadiscio un modesto contingente del Col Moschin a protezione dell’edificio della cooperazione. E anche lì sappiamo come è andata a finire.

Ma soprattutto i nostri padroni veri, gli americani, potrebbero opinare su uno spostamento di militari dall’Iraq o dall’Afghanistan per mandarli in Libia, come vorrebbe il ministro della Difesa: gli Usa potrebbero avere bisogno di noi proprio per sostituire i loro soldati nelle basi irachene, nel caso di pressioni da parte del governo di Baghdad, e avere quindi mano più libera nei raid anti-iraniani e anti-sciiti. Insomma il maggiore impegno richiesto da Trump alla Nato è quello di fare i bersagli al posto dei marines nella guerra dei droni e qui al solito, travolti dalla propaganda anti-Teheran, nessuno solleverà obiezioni.

In compenso, in caso di crisi, con le nostre navi siamo sempre pronti a riportarci via Sarraj, ormai una marionetta di Erdogan, che noi stessi abbiamo messo alla fonda del porto di Tripoli nella primavera 2016 perché farlo sbarcare era troppo rischioso.
Insomma siamo visti come una volonterosa agenzia di viaggi, migranti compresi, che prima la nostra Marina andava a salvare e adesso lasciamo affogare nel canale di Sicilia. L’unico gesto che ci dava un minimo di caratura morale e voce in capitolo.
L’origine del disastro è nell’accoppiata Berlusconi-Napolitano: il primo come capo di governo fu nettamente sorpreso dall’iniziativa francese, Usa e inglese di bombardare Gheddafi, il secondo decise di partecipare con la Nato ai raid contro il nostro maggiore alleato nel Mediterraneo. Persa così ogni credibilità, gli spazi negoziali per l’Italia sono diventati minimi in tutto il Mediterraneo.

Ci è rimasta una politica estera confinata nell’ambito economico ed energetico, per altro mal difeso da una mancanza di iniziative a protezione dei più deboli, come i palestinesi come avvenne con la missione in Libano negli anni Ottanta. I più vulnerabili, come i curdi siriani, noi europei in ottobre li abbiamo lasciati ammazzare da Erdogan: e se i russi in Rojava non avessero preso il posto degli Usa sarebbe accaduto di peggio.

L’apertura all’accoglimento dei migranti è stato l’unico aspetto positivo del nuovo governo italiano in questa tormentata vicenda libica ma l’Unione europea ci ha discretamente sbeffeggiati anche su questo punto, più disponibile a pagare il turco Erdogan per tenersi i siriani in casa che a dare una mano effettiva all’Italia. In sintesi l’Italia dai suoi alleati europei e americani è stata geopoliticamente “agganciata” alla Sponda Sud senza però avere nessuna leva negoziale.

Il governo Lega-M5S ha fatto il resto maramaldeggiando con i più deboli, ovvero con i profughi, la cui sorte adesso è in mano anche a Erdogan che così avrà verso di noi un’altra arma di ricatto. Anzi doppia: la Libia non ha mai firmato la convenzione di Ginevra sui rifugiati quindi ogni migrante o profugo è un clandestino. Gente come Putin ed Erdogan, con il pelo sullo stomaco e sempre pronti a manovrare masse di disperati come fanno in Siria, non si faranno scrupolo, se serve, a usarli.

Così come oggi vengono manovrati mercenari, jihadisti, terroristi, fazioni e tribù, in procinto di partecipare alla grande asta per il cambio di casacca tra Sarraj e Haftar. La tregua per il momento serve soprattutto a questo: alla campagna acquisti delle milizie libiche, compresi i trafficanti di migranti. Per questo Conte e Di Maio corrono su è giù tra Ankara, il Cairo, la Tunisia, per una volta consapevoli, si spera, che possano usare contro di noi anche la “bomba umana”. Ecco cosa ci aspetta appollaiati sul nostro precario strapuntino libico.

ALBERTO NEGRI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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