Lieberman, il falco razzista stanco di essere un servo

Israele. L'ex alleato di Netanyahu e ora acerrimo nemico, dopo il raddoppio dei seggi è ancora di più il vero ago della bilancia. Nazionalista, anti-religioso e anti-arabo, ora attira il centrosinistra che dimentica le sue posizioni in politica estera e verso i palestinesi di cui sogna il trasferimento forzato
Avigdor Lieberman

Avigdor Lieberman è solo un ultranazionalista, con posizioni nei confronti dei religiosi ebrei e dei palestinesi che sfociano nel razzismo, o è anche dotato di grande intelligenza politica? L’interrogativo non è nuovo e si ripropone in queste ore in cui Lieberman ha tra le mani le sorti politiche di Israele.

«C’è una cosa che lo rende non classificabile: l’imprevedibilità. Talvolta è capace di spiazzarti», ci dice Aldo Baquis, giornalista israeliano di origine italiana che si è spesso occupato di Lieberman.

«Non è facile catalogarlo – aggiunge – Lieberman è certamente un nazionalista, senza dubbio è un antagonista della minoranza araba (in Israele). E ha aspetti inquietanti. Come se avesse uno strano alone dietro di lui che non ti mette a tuo agio».

Adesso piace anche al centrosinistra che lo vede come l’artefice della possibile uscita di scena di Netanyahu dimenticando le sue posizioni insostenibili in politica estera e verso i palestinesi.

Visceralmente antireligioso, brutalmente antiarabo, Lieberman, 61 anni, nasce come Evik Lieberman in una famiglia ebraica nella Moldavia ex sovietica. Lì studia e lavora prima di immigrare in Israele nel 1978. Laureatosi in relazioni internazionali all’Università ebraica di Gerusalemme, abbraccia l’estrema destra e va a vivere nella colonia ebraica di Nokdim, nella Cisgiordania palestinese sotto occupazione.

Fa vari lavori, tra cui il buttafuori nei locali notturni, fino all’incontro alla fine degli anni ’80 con Benyamin Netanyahu che condiziona ancora oggi la sua esistenza, non solo politica. All’epoca l’attuale primo ministro era all’inizio della sua carriera politica, al termine dell’incarico di ambasciatore israeliano all’Onu. Fu colpito dalle doti di organizzatore di questo immigrato moldavo pronto a mettere al suo servizio astuzia politica ed umana.

Nel 1993 Netanyahu prende il controllo del Likud sostituendosi alla vecchia guardia rappresentata da Yitzhak Shamir e nomina Lieberman suo stretto collaboratore. Poi nel 1996 lo fa direttore generale dell’ufficio del primo ministro quando a sorpresa riesce a battere Shimon Peres alle elezioni. Troppo potere in poco tempo.

Lieberman finisce nel mirino di tanti alti dirigenti del Likud. Nentanyahu non lo difende ed è costretto a dimettersi. «Si fece l’idea che il premier non credeva più in lui, che il lavoro sporco era fatto e il servo non era più necessario», ricorda Beny Bitton, sindaco di Dimona e amico di Lieberman.

Dopo un periodo dai molti lati oscuri nel mondo degli affari, il moldavo decide di investire in politica fondando nel 1999 un suo partito, Yisrael Beiteinu, punto di riferimento degli ebrei originari dei paesi dell’ex Urss e di chi chiede che i religiosi ultraortodossi e i loro partiti siano tenuti alla larga dal potere. A ciò Lieberman unisce la proposta di «trasferimenti etnici», ossia del «passaggio» dei cittadini arabo-israeliani all’Anp di Abu Mazen per rendere Israele ancora più ebraico.

Negli anni i rapporti tra Lieberman e Netanyahu sono peggiorati sebbene il premier abbia affidato al suo ex assistente incarichi di prestigio come esteri e difesa. Il moldavo rimprovera al premier di non avere le doti di leader per invadere Gaza e spazzare via Hamas.

Infine la scorsa primavera si è aggravata la controversia sulla leva obbligatoria anche per i religiosi ultraortodossi – Lieberman non vuole eccezioni – a cui si oppongono gli altri partiti della possibile maggioranza di destra emersa dal voto del 9 aprile. Lieberman ha respinto ogni compromesso e Netanyahu è stato costretto ad accettare il voto che rischia di condannarlo.

MICHELE GIORGIO

da il manifesto.it

foto tratta da Wikimedia Commons

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EsteriPalestina e Israele

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