Le sardine al 25%?

“Il mare vuoto della politica”, un titolo che racchiude per intero il senso della ricerca eseguita da Demos per “Atlante Politico” di Repubblica e apparso l’8 dicembre sulle pagine...

“Il mare vuoto della politica”, un titolo che racchiude per intero il senso della ricerca eseguita da Demos per “Atlante Politico” di Repubblica e apparso l’8 dicembre sulle pagine del quotidiano.

Nel testo addirittura risalta la disponibilità di un quarto degli interpellati a votare subito un’eventuale lista delle “Sardine”: i cui esponenti appaiono già pronti a seguire il disastroso compiuto da quelli del M5S e dai precedenti “rottamatori”: certo si tratta da parte nostra di un’analisi un po’ rozza, ma verificheremo il seguito.

 In più, si evidenzia un fenomeno di vera e propria intolleranza da parte di ampie fette dell’opinione pubblica nei riguardi dei “politici”. Il collegamento immediato che viene in mente è con il rapporto CENSIS di qualche giorno fa dove s’indicava nel 48% degli interpellati i favorevoli a un “uomo solo al comando” senza impicci di elezioni e parlamento. Insomma i “pieni poteri” invocati da qualcuno durante la kafkiana crisi di governo di Ferragosto.

Assume dunque sempre più un rilievo prioritario il tema del vuoto di rappresentanza che il nostro sistema politico, nel suo insieme, ha prodotto nel corso degli anni attraverso la trasformazione /involuzione del sistema dei partiti cui nell’occasione non si dedica però ulteriori spunti di analisi.

Il tema di fondo infatti che s’intende qui affrontare può essere così riassunto: il Paese, per dirla con Maurizio Landini, si sta sbriciolando a causa del vuoto di rappresentanza politica.

La questione della rappresentanza appare in questa fase antecedente a quella della governabilità e di eventuali “patti” tra diversi settori sociali e/o generazionali e tenendo ben conto dell’andamento del processo di “cessione di sovranità” da parte dello “Stato –Nazione”. Cessione di sovranità, pur ritardato da fattori contingenti rispetto alle analisi di qualche anno fa appare inevitabile in particolare in direzione di soggetti di associazione sovra – nazionale.

Alle “sardine”, agli epigoni della democrazia diretta e della personalizzazione andrebbe ricordato come storicamente si è verificato il procedere nella comprensione del valore della rappresentanza politica.

Se si chiude la porta alla possibilità di una pienezza d’espressione della rappresentanza come sta avvenendo in Italia fin dal tempo dalla crisi sistemica degli anni’90, allora tutti gli altri livelli di rappresentanza “settoriale” o “neo-corporativa” compresi quelli di genere finiscono con il non disporre del valore di fondo, quello proprio della piena espressione della rappresentanza delle proprie sensibilità e delle proprie opzioni politiche.

Nel più recente passato si è verificata una soffocante rincorsa verso la “governabilità” intesa quale fine esaustivo dell’azione politica e anche istituzionale.

Una dinamica che ha finito con il far perdere valore a qualsiasi altro concetto di alternativa o anche soltanto di “diversità”.

La grande contraddizione, nello specifico del “caso italiano” (definizione che vale ancora, sia ben chiaro sia pure in senso opposto a quello che vi si attribuiva negli anni’70) è con il dettato costituzionale.

La Costituzione disegna con grande chiarezza lo scenario della centralità del Parlamento e della presenza nelle istituzioni di un largo spettro di rappresentatività, sia sotto l’aspetto delle idealità che delle capacità progettuali.

Siamo al punto in cui, per cercare di evitare le tagliole degli sbarramenti, a molti non appare neppure più possibile presentarsi con il volto delle grandi idealità della storia politica d’Europa e d’Italia e ci si maschera da “altro” com’è avvenuto con le forze residuali delle diverse tradizioni della sinistra storica.

Un atto d’ignavia politica dettato da condizioni storiche all’interno delle quali il sistema si è frapposto con tutti i mezzi alla possibilità di una limpida espressione di appartenenza, anche ideologica.

Nell’occasione attuale siamo di fronte a un governo che ha avuto “via libera” da una consultazione diretta attraverso il web (quindi non pienamente trasparente o almeno sospettabile di non esserlo) che ha avallato la formazione di un esecutivo basato su di un’ardita manovra di palazzo.

L’intrinseca bontà insita nella mobilitazione popolare scollegata da un’ipotesi politica complessiva (nel nostro caso il rispetto della Costituzione al riguardo della democrazia repubblicana) non potrà far altro che confermare tutta la fragilità del sistema in rapporto allo sfrangiamento in atto nella società italiana.

Un sistema che pare proprio non essere in grado di fornire una risposta alla propria crisi di rappresentatività in un quadro sociale in cui emergono istanze conservatrici, egoistiche, corporative.

Emerge il tema dell’assenza di una capacità di pedagogia democratica da parte dei soggetti politici.

E’ necessaria una constatazione di fondo circa la necessità di affrontare questa situazione di difficoltà che si è cercato di descrivere e che espone la democrazia italiana al rischio di soggiacere a meccanismi di “scambio politico di massa”, come del resto è avvenuto nel corso delle ultime campagne elettorali. Prima ancora che sulle necessarie valutazioni poste sul piano ideale e storico, sarà proprio dalla difficoltà nel definire questi nodi dell’agire politico all’interno della modernità il punto dal quale ripartire se s’intende ragionare sul serio sulle forme di espressione della soggettività nel difficile intreccio tra sociale e politico.

FRANCO ASTENGO

11 dicembre 2019

Foto di GLady da Pixabay

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