L’altra sinistra comunista è possibile

La Svezia va verso le sei ore di lavoro al giorno. Un traguardo ineccepibile in quanto a valorizzazione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Un avanzamento di civiltà....

La Svezia va verso le sei ore di lavoro al giorno. Un traguardo ineccepibile in quanto a valorizzazione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Un avanzamento di civiltà.
Vi ricordate quando venti e più anni fa noi di Rifondazione Comunista chiedevamo “35 ore a parità di salario”? Le risposte dei benpensanti – che oggi sono quei progressisti tutti presenti nella finta sinistra del PD e nel finto PD di sinistra – erano sempre le stesse: demagogia, impossibile applicare una ricetta del genere alla fase economica contingente, penalizzazione dell’intero comparto produttivo, mortificazione della produzione aziendale e quindi declassamento della concorrenza italiana sui mercati.
Stoccolma oggi ci insegna che è possibile ridurre l’orario di lavoro, redistribuirlo e consentire così un miglioramento delle condizioni di vita per molti che, altrimenti, non avrebbero nessuna occupazione o, nel migliore dei casi, si troverebbero a gestire una precarietà senza fine.
Ma allora, come oggi, rimaniamo inascoltati, derisi, forse a tratti incompresi. L’incomprensione è il fenomeno che meno mi spaventa: a chi non capisce si può sempre tentare di spiegare, di insegnare con grande umiltà ma anche con determinazione.
Ma a chi non ascolta, a chi deride a priori perché pensa che noi comunisti siamo un ferrovecchio del passato, a chi si lascia incantare dalle sirene neonaziste del verde prima padano oggi italiano e del giallo pentastellato o del nero fascista, a tutti questi cittadini è molto difficile poter raccontare la realtà di una economia che devasta le speranze, che annichilisce il futuro di ciascuno e che spiana la strada a controversie tra chi potrebbe rivendicare gli stessi diritti e invece procede quotidianamente a farsi la guerra in nome della diversità di pelle, cultura, lingua, nascita.
La lezione di Stoccolma ci dice che è possibile fare qualunque cosa, che è possibile agire e creare la più forte cesura, rottura e separazione col presente-passato che incombe e ci depreda in nome di un modernismo vantaggioso esclusivamente per i padroni e i grandi finanzieri.
Ma l’Italia è un Paese dove l’incultura decivilizzante e demotivante della destra ha prevalso sul ragionamento, sull’analisi dei fenomeni sociali, sulla comprensione delle cause e la verifica degli effetti.
Lo riscrivo ancora, perché purtroppo è ancora una costante cifra di misura di quanto avviene intorno a noi quando parliamo di ricostruzione della sinistra italiana: non esiste una domanda di sinistra da parte delle persone. Non ne sentono il bisogno e quindi non la cercano.
Le ragioni di tutto ciò risiedono anche nell’incapacità manifesta della sinistra di unirsi, ma il mantra dell’unità a tutti i costi non è salvifico e non determina un precedere naturale verso quel riacquisire una consapevolezza singola e collettiva che veda nei comunisti e nella sinistra di alternativa un viatico di radicale separazione con quello che è stato e, soprattutto, con l’attuale assetto politico del Paese.
Non basta, ovviamente, avere ragione. Occorre tradurre la giustezza delle proprie proposte in un progetto politico e sociale. Insisto molto sull’unità più vera e utile che conosco: società e politica devono poter essere una inscindibile massa critica che non accetta mai ciò che le viene proposto come verità e correttezza.
Osserva, analizza, studia, si interroga e poi decide. Ma oggi questa linearità di criticismo coscienzioso è una chimera nel 90% della popolazione italiana.
Esiste soltanto una piccola pattuglia di comuniste e comunisti che resistono all’invasore delle coscienze e alla seduzione delle proposte capitalistiche; che resiste alle tentazioni di un potere pronto a mostrare che il vero “contare” sta nel sedere sempre e comunque nella stanza dei bottoni.
Il governismo a tutti i costi ha sedotto veramente una certa sinistra e l’ha portata a credere che senza aspirazione governativa (che non è la stessa cosa rispetto alla cara vecchia “presa del potere”) non esiste ruolo per la sinistra.
L’opposizione a tutti i costi, del resto, ha condotto altre sinistre a credere che sia impossibile produrre processi di cambiamento senza un abbandono di qualunque rapporto con chi viene considerato “parte” del sistema solamente perché agisce secondo le regole costituzionalmente date.
Entrambe le collocazioni di cui sopra sono due non-luoghi, sono utopie non concrete, non sono altro che illusioni e speranze vane.
Penso che non si debba dare per scontato nulla: governo e opposizione, maggioranza o minoranza. Penso che, per ritrovare una energia capace di solleticare la rabbia popolare e incanalarla nella giusta direzione dell’unità dei lavoratori con gli studenti e i pensionati, dell’unità di tutte e tutti coloro che sono sfruttati, occorra oggi, nell’immediato, la costruzione di una sinistra comunista che non si confonda più con riformismi conclamati e decantati come panacea moderna dei mali tanto politici quanto sociali di un popolo che non conosce minimamente le cause, ad esempio, dell’accumulazione del debito pubblico.
I progetti di Civati e di Sel sono destinati alla formazione di un nuovo Partito Democratico della Sinistra, ma niente di più: il nuovo soggetto che vogliono edificare non prevede l’inclusione di chi ha, come noi, nel proprio programma il rovesciamento della società esistente.
Insomma, la sinistra del prossimo imminente futuro deve essere chiaramente comunista e anticapitalista. Senza questi tratti distintivi si confonderanno e intorbidiranno ancora le acque in cui provare a nuotare insieme.
L’unità può avere scopo elettorale per avere scopo politico: ma non può essere un traguardo politico a fini elettorali.
Quest’ultima formulazione l’abbiamo vista applicata molte volte e molte volte ha terribilmente fallito: la Sinistra – l’Arcobaleno, Rivoluzione Civile… E anche, ultimamente, esperimenti regionali che erano scollegati fra loro e rappresentavano a macchia di leopardo esperienze troppo difformi per poter parlare di una ricerca anche solo tentata di una unità a sinistra.
Ciò che i comunisti e le comuniste di Rifondazione possono fare (e devono fare) è in prima battuta mettere tutto il loro impegno nella ricostruzione paziente del Partito che deve iniziare da un percorso culturale non fatto di citazioni di questo o quel testo di Marx, Engels, Gramsci, Lenin o Luxemburg. La nostra sfida culturale è una necessità prima di tutto politica, una impellenza che l’attualità ci impone: senza le basi di una conoscenza del mondo in cui si è costretti a vivere non può esservi vera convinzione nell’azione politica quotidiana.
Senza tutto questo ogni tentativo di rilancio, ricostruzione e ridefinizione della sinistra italiana è un volo di Icaro, un salto nel vuoto senza alcuna speranza di atterraggio sicuro.

MARCO SFERINI

5 settembre 2015

foto tratta da Pixabay

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