La vendetta catalana sulla finanziaria, Sánchez al capolinea

Spagna. I partiti indipendentisti, con Pp e Ciudadanos, votano contro. Paese verso le urne, la decisione del governo attesa per domani

Il brevissimo esecutivo Sánchez ha ormai le ore contate. Come previsto, il Congreso de los Diputados ieri ha impedito che il suo progetto di finanziaria 2019 potesse essere discusso. Con 191 voti a favore del blocco, e 158 contrari (1 astenuto), il Partito popolare, Ciudadanos, gli indipendentisti di Esquerra Republicana e PdCat e qualche altro voto sparso (fra cui i baschi di EH Bildu) hanno fermato il cammino della discussione della prima legge di bilancio preparata dal governo socialista che è in sella dall’estate scorsa. Ora è iniziato il conto alla rovescia verso le elezioni anticipate, che Sánchez annuncerà domani dopo il consiglio dei ministri.

Formalmente, la legge non lo obbliga a convocarle: è in vigore il bilancio prorogato del 2018 (l’ultimo approvato da Rajoy) e in teoria Sánchez potrebbe arrivare a fine legislatura (fra più di un anno) a forza di decreti. Ma è chiaro che la fragilissima alleanza, nata dalla mozione di sfiducia a Rajoy, è ormai in pezzi, e neppure la buona volontà di Unidos Podemos, che ha tentato il negoziato con Esquerra e PdCat fino a ieri mattina – e che ormai difendeva la legge più dello stesso governo per le moltissime misure sociali che era riuscita a imporre – ha potuto fermare la «pinza» di indipendentisti e destre.

Niente da fare dunque per i permessi di paternità uguali a quelli di maternità, per l’aumento dell’Irpf ai ricchi (più di 130mila euro), per l’aumento delle spese sociali per casa, salute e dipendenza, fine degli aiuti per l’infanzia, dei sussidi di disoccupazione, stop all’aumento del finanziamento per la ricerca scientifica o alla diminuzione dell’Iva su prodotti di igiene femminili come gli assorbenti o sui libri digitali. Ma addio anche al’aumento degli investimenti in Catalogna (una richiesta storica dei governi catalani che non era mai stata soddisfatta nonostante fosse obbligatoria del 2006).

Si respirava un’aria strana, ieri, in parlamento. La più importante vittoria dell’opposizione suonava come una sconfitta, almeno a giudicare dalla faccia dei principali responsabili, i partiti catalani. D’altra parte, era difficile ormai riattaccare i cocci, tanto più nella settimana che ha visto aprirsi l’ingiusto processo ai politici indipendentisti.

La destra ha soffiato sul fuoco – la forza della narrazione a volte fa a pugni con la realtà, ma è più convincente – accusando il governo di cedere ai ricatti indipendentisti per aver meramente accettato la figura di un mediatore al tavolo delle trattative. Paradossalmente, la manifestazione di domenica scorsa a Madrid, che ha visto insieme in piazza Pp, Ciudadanos e Vox, è stata un enorme flop, eppure è riuscita a indebolire il governo ancora di più. Gli indipendentisti si sono irrigiditi sulla richiesta, irricevibile per il governo, di includere nei negoziati la possibilità di parlare di autodeterminazione della Catalogna.

La debolezza e la scarsa audacia del governo, e la miopia dei partiti indipendentisti, hanno chiuso la legislatura molto prima che potesse far comodo quasi a nessuno: il Pp è ancora fiacco, è dato quasi 10 punti meno che con Rajoy (il suo risultato più basso), e 5 sotto il Psoe; Podemos è alleati hanno perso mordente (sono ora il quarto partito); il PdCat affonderebbe davanti a Esquerra (in Catalogna); ma anche Ciudadanos e i socialisti non crescono quanto vorrebbero. L’unico vincitore di questa partita rischia di essere Vox, dato a un solido 10%. Se si votasse oggi, dice un’inchiesta di eldiario.es, le tre destre avrebbero la maggioranza: e di certo questo non aiuterebbe a risolvere il problema catalano.

Intanto a Madrid il processo ai leader indipendentisti va avanti. Le accuse hanno respinto tutte le critiche sul mancato rispetto dei diritti processuali degli imputati, hanno dipinto a fosche tinte i giorni convulsi prima e dopo il referendum dell’1 ottobre, e hanno ridicolizzato il tribunale tedesco che non ha ravvisato alcun elemento di ribellione violenta, definendo anzi la risposta della polizia come «legittima e proporzionale». Oggi inizieranno a dichiarare gli accusati, cominciando dall’ex vicepresidente catalano Oriol Junqueras. Il tribunale ha respinto la richiesta dell’accusa popolare, esercitata da Vox, di impedire agli accusati di portare il «laccetto giallo» che simbolizza da mesi la protesta catalana a favore dei prigionieri politici.

LUCA TANCREDI BARONE

da il manifesto.it

foto tratta da Wikimedia Commons

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