La sinistra ha bisogno di biancheria pulita

Il dibattito a sinistra non è novità di oggi, questo è storicamente appurato. Ma attualmente la situazione nazionale e internazionale con i suoi mutamenti scioccanti ma prevedibili in Italia...

Il dibattito a sinistra non è novità di oggi, questo è storicamente appurato.

Ma attualmente la situazione nazionale e internazionale con i suoi mutamenti scioccanti ma prevedibili in Italia e nel mondo ha impresso un’accelerazione alle discussioni.

Saranno gli eventi dei prossimi mesi che ci diranno se tale accelerazione spesso nervosa, istintiva, porterà risultati nella sinistra italiana, comunque essa si definisca e comunque si posizioni. Lo vedremo.

Se la ricerca di una piattaforma comune in tutto il mondo della sinistra – almeno in quella più consapevole e cosciente delle evoluzioni politico-istituzionali in corso – sarà il punto di arrivo allora probabilmente in un futuro che si spera non lontano si potranno riprendere le redini di una soggettività progressista.

Ma in questo percorso che indubbiamente diverrà lungo e tortuoso non devono sfuggire alcune considerazioni di fatto, innegabili per una analisi costruttiva e reale della situazione se veramente il socialismo, l’idea , la prospettiva di una società socialista moderna, più giusta resta l‘obiettivo finale.

Se altrimenti il punto di arrivo è mirato ad una chiusura settaria oggettivamente nobilitata da lotte secolari ma francamente antistorica direi che il tempo di ognuno potrebbe essere meglio impiegato.

Intanto bisogna tener conto della situazione oggettiva della sinistra e del socialismo nel mondo intero, senza vedere questo inutile proseguire, ogni valutazione resterebbe viziata da tale offuscamento della realtà dei fatti.

Nel contesto odierno la situazione della sinistra, del socialismo, non è più quella che si conosce di tanti anni fa, per intenderci degli albori della sinistra, quando per esempio Marx e Engels si rassegnavano scientemente alle parole opportunismo, falsa socialdemocrazia ecc, bisogna farsene una ragione, siamo fuori da questo contesto.

La necessità oggettiva del capitalismo che si trasformò allora in imperialismo generando guerre imperialiste lo abbiamo visto, e molto tempo è stato necessario affinché ciò si attenuasse in parte, ma solo in parte, la guerra che portava e porta profitto ha condotto l’umanità intera sull’orlo del baratro ed è ancora su quella strada, ha contribuito alla rovina di ogni cultura, all’annichilimento di popoli interi, all’abbruttimento e alla morte di milioni di uomini. Tutto ciò sta ancora avvenendo, forse in forme diverse? Forse ma non sempre, in terra e in mare, ed è li sotto i nostri occhi che guardano impotenti i drammi umani e sociali.

E’ soltanto un esempio del nostro mondo, quello più eclatante, molti altri si potrebbero citare e analizzare di altrettanta importanza e gravità, anche e soltanto in Italia, ma come lottare, come contrastare queste derive nazionali e internazionali, senza neppure un forte, consistente, consapevole movimento della sinistra?

Come si può sostenere di avviare un percorso culturale – globale e pressante – di tale portata se neppure in Italia – un paese di poche anime se rapportato al contesto mondiale – si riescono ad incrociare su un terreno ragionevole le mille frammentazioni di un mondo di sinistra disperso in centinaia di rivoli che non comunicano tra loro, sia che si definiscano democratici o massimalisti, rivoluzionari o antagonisti, progressisti o popolari, di lotta o di governo, ma sempre in difesa della propria unica e sola verità, mai disposti a ragionevoli ammissioni su errori compiuti?

Non c’è via d’uscita, è tempo che la sinistra getti via la camicia sudicia e si metta biancheria pulita, servono pionieri per un nuovo modo di costruire e vivere il socialismo, se a questo si vuole arrivare.

Il resto sono chiacchiere da bar o meglio come scriveva Antonio Gramsci è il tempo di una “guerra di posizione”, importante aggiungo io che ognuno si trovi un posto in questa che sarà una vera e propria trincea per i prossimi anni, possibilmente comunicando tra loro.

E saranno anni lunghi, difficili, bisogna farsene una ragione a sinistra, usare il cervello nel modo migliore, il che non significa affatto rinunciare a ideali e prospettive dei singoli, ma mettere a disposizione ciò che si ha rinunciando a ciò che non è più utile in questo momento storico.

A sinistra serve quindi qualcosa di pesante e credibile, un progetto, una pianificazione, un disegno sociale che porti con se non solo il mutamento di alcune forme delle istituzioni in generale, ma un mutamento che estenda come non mai l’utilizzazione di fatto e per tutti di quella democrazia che ovunque, ma specialmente in Italia, sta prendendo strade sbagliate, e in questo penso che tutti a sinistra abbiamo grandi responsabilità, tutti nessuno escluso.

Perché tutti? Perché esiste la contraddizione stridente tra una fraseologia massimalistica urlata nelle piazze alla ricerca dell’applauso, tra la ricerca personalistica della ribalta, e l’inerzia conseguente, l’indecisione, la debolezza nell’azione, il voler proteggere il proprio “particulare”, ed è questo che ha fortemente contribuito a una sconfitta di proporzioni storiche e alle scissioni conseguenti sopravvenute negli anni passati e anche recenti, spianando la strada alla destra che nulla ha fatto se non aspettare l’autodisintegrazione della sinistra, e questo merito tattico – strategico gli va ahimè riconosciuto.

Abbiamo sperimentato le illusioni della “sinistra di governo” degli ultimi anni, non è andata benissimo nonostante le molteplici mediaticità profuse che hanno sparpagliato illusioni, diritti disintegrati, ammiccamenti finanziari, una povertà crescente, diseguaglianze in aumento e molto altro che direi inutile ricordare con la conseguenza dell’abbandono del campo progressista da parte di un popolo numeroso, e la perdita di consenso esponenziale che ha foraggiato a destra movimento diversi.

In sostanza dopo un breve periodo apparentemente dispendioso di speranze e promesse poi stravolte nei fatti legislativi tale sedicente “sinistra di governo” nonostante una fraseologia incendiaria gracchiata sotto i riflettori ha mostrato nella sostanza ciò che veramente è, e per dirla come Pietro Nenni “…null’altro che un grande organismo, una grande macchina per le elezioni…”

Ma quando si tratterà in un domani – che si spera prossimo a venire – di mettere in moto una complicata ma credibile e moderna macchina della sinistra? beh, quando si arriverà a questa svolta della storia una parte di questa sedicente “sinistra di governo” si rivolgerà contro, vorrà frenarne il cammino, bisognerà allora chiedersi se tali posizioni possono avere cittadinanza nella sinistra italiana o se non sia meglio si accasino altrove, magari portando con se gli ultimi spasmi rabbiosi di un meccanismo esaurito

E’ nei fatti la chiusura di una pagina non felice di una branchia della sinistra o sedicente tale, ma è anche nei fatti altrettanto incontestabili dai numeri che si è chiusa una fase di tutta la sinistra, le cui sezioni territoriali sono servite spesso di pretesto per il prevalere dell’opportunismo, per procrastinare ogni occasione che potesse rivoluzionare il quadro politico, per rinchiudersi in un ambito provinciale per attingere prebende varie, incarichi istituzionali, piccoli poteri locali e così via, luoghi dove coscienza e volontà, sembra che non si possano pretendere dai singoli militanti, ma risiedano solo nel collettivo delle dirigenze, restie a strapparsi le mostrine del comando dalle giacche.

Ma tutto ciò non porta a insterilire il contributo critico e decisionale dei singoli? Non porta a considerare infallibili le dirigenze? Non si ritorna nell’alveo dell’aborrito massimalismo?

Sono domande che nessuno si pone, il dibattito è volto a sinistra solo ad affrontare dispute su questo o quel documento, verso un indistinto percorso unitario, confuso, fosco e senza molte prospettive in quanto non sorretto da pilasti forti e condivisi.

L’unita senza ideali e obiettivi condivisi non serve a nulla, ma si ascoltano a margine quasi sottovoce da qualche tempo parole antiche, come “fronte unico”, stranamente pronunciate da chi ha contribuito a respingerne anche solo la possibilità di realizzarlo negli anni recenti.

Ma l’interpretazione del novello “fronte unico del nuovo secolo” sparacchiata così a casaccio senza base ideale solo per sommare numeri indicando tale prospettiva come una trappola da tendere alla destra, regalerà invece una trappola in cui ci si impiglierà da soli.

Non si riesce a capire che per finirla con tutte le difficoltà che nessuna sinistra ha recentemente risolto, le persone negli ultimi anni erano pronte ad accettare qualunque via d’uscita, anzi avevano sete di una via d’uscita, l’hanno cercata, qualcuno l’ha proposta e loro l’hanno seguita. E’ questa la dimostrazione che non si tratta né di sentimentalismo né di puntigliosità a scegliere strade diverse, anche se divergenti dalle proprie convinzioni, ma diviene necessità da contrapporre alle delusioni.

Come risalire questa china? Molto complicato, è fuori dubbio, ma va difesa una mentalità politica, i partiti non possono essere ne circoli famigliari ne associazioni di amici, ma organizzazioni di interessi di volontà che dalla realtà traggono origine, e dalle esigenze della realtà sono condizionate.

Ma va anche ricordato che per abitudine a sinistra nessun colpo ricevuto è mortale, anche se realtà vuole che si debba operare su un terreno nuovo, un terreno sgombro da vecchie controversie, più rispondente ad un disegno strategico che in prospettiva – perché no – traguardi anche il “fronte unico” ma sorretto, da impulso unitario reale, ad oggi assente, non percettibile.

Quindi le cose in cui noi, a sinistra almeno, crediamo sono tanto più vere quanto maggiore è la saldezza della nostra convinzione in esse, quanto più grande è la costanza nella quale le affermiamo, lo spirito del lavoro che ci anima, solo così le rendiamo vere, certe, assolutamente certe, come è certo che nessuno sforzo di volontà e passione mai nel mondo può andare perduto.

La fiducia si rinnova ogni giorno e ogni giorno ti fa vedere ciò che non vedi se resti al contatto stesso con le difficoltà da superare, è questo lo spirito che dovrebbe animare la sinistra italiana, l’attuale dovere da assolvere è la paziente, ragionata, silenziosa e non isterica riorganizzazione di tutte le forze di sinistra.

Sarà possibile? Forse ma non è certo, anzi direi allo stato attuale improbabile.

La situazione nella sinistra italiana in ogni caso è veramente complicata, azzarderei un catastrofica, e questo perché personalmente non credo alle funzioni degli eroi, alle elite di uomini eccezionali, ai comandanti da palcoscenico sempre pronti a cavalcare ogni situazione critica che si presenta anche se fino ad un momento prima ne ignoravano anche l’esistenza.

Certo, a sinistra ognuno di noi potrebbe desiderare dei rapporti comodi, istituzionali o personali, ma non ha importanza, ciò che conta adesso è il rapporto di forze tra la sinistra, e sottolineo tutta la sinistra, e gli avversari.

La realtà è che in questo momento siamo degli sconfitti, tutti a sinistra siamo degli sconfitti, e ci troviamo in una situazione di enorme inferiorità, non solo numerica, e non si tratta di appoggiare un’eventuale ripresa organizzativa o ideale su astrazioni rette magari in un vuoto liberalismo, ci basterebbe dire senza spavalderia che si continuerà a lottare per invertire un giorno questi rapporti di forza che ci vedono numericamente oggi soccombere, dire che non tutte le questioni del nostro paese sono state nel tempo ben valutate.

In realtà questa semplicità di intenti non è ancora in vista, non se ne vedono neppure i lineamenti politici, le divisioni del passato mai sopite ritornano, assillanti, logoranti, c’è a sinistra una tensione continua che si trascina da anni, incomprensioni e divergenze tra il passato prossimo e ciò che potrà essere il futuro, dove il primo tende a frenare il secondo, e lo stesso presente se apre a qualche speranza appare gravido di insidie, di ostacoli.

Ciò è dovuto in parte alla depressione delle volontà e alla disgregazione delle energie, in altra parte tutto si aggrava quando l’occhio torna ai risultati elettorali, ma a sinistra bisogna esserci per convinzione e con occhi aperti, guardare e capire, comprendere i perché del consenso mancato, saper lanciare “parole d’ordine” adattate alla situazione in cui ci troviamo e ai rapporti reali di forze che troviamo davanti a noi, sperando che non sia tardi per riprendere il filo di un discorso che sembra strutturarsi giorno dopo giorno, irreversibilmente lontano dalla sinistra, e se questo accadrà per la sinistra sarà impossibile.

Alcuni a sinistra tendono ad assumere o mantenere una posizione autonoma, indipendente, a non farsi contaminare, anche consci della residualità del consenso, tutto ciò può essere un bene o un male, ma bisogna capire che la crisi è profonda e resta aperta, inoltre le grandi battaglie politiche non si improvvisano mai, tantomeno sventolando interezza dottrinale e ideale ponendosi su un sentiero che pochi seguiranno, le grandi battaglie politiche vanno preparate materialmente e organizzativamente ma soprattutto spiritualmente, culturalmente, credibilmente.

Ciò che è avvenuto negli ultimi anni in Italia in cui si propaganda la “sinistra al governo” ha dimostrato che non basta darsi un nome generalmente accettato o gradito perché espunto da estremizzazioni, serve altro, servono fatti legislativi concreti che vadano in direzione dell’uguaglianza, della giustizia sociale, non basta trincerarsi dietro una stabilizzazione monetaria o debitoria pur importante come scusa per la non realizzazione di qualcosa, ed è innegabile che non sei più riconosciuto come sinistra quando elementi di vertice democratici e anche socialdemocratici si spostano anche molecolarmente verso un terreno prettamente capitalistico, vedi Job Act, o di significato puramente individuale vedi viaggio ad Arcore, tale spostamento non può essere casuale. Particolari sfuggiti alla sinistra? sicuramente si o almeno trattati senza la giusta attenzione nella speranza vana di poter in seguito modificare le cose.

Gli strati più disagiati del nostro paese, e sono molti, hanno oggi un peso minimo nella lotta sociale, nella politica italiana, sia per le conseguenze dell’emigrazione obbligata di moltissimi giovani più audaci, più battaglieri, sia per lo spettro della disoccupazione e di un futuro grigio, ma anche perché la divisione a sinistra – inevitabile per circostanze contingenti – allontana molti e consuma le poche energie in lotte intestine.

Il punto da cui partire per una corretta valutazione credo sia comunque questo : il capitalismo è l’elemento predominante nella società italiana, è la forza che prevale nello sviluppo di essa, ma quello nostrano è un capitalismo debole, con un industrialismo incapace di camminare con le proprie gambe, sempre in cerca di appoggio politico e legislativo internazionale o casereccio che sia, per sopperire alle sue manchevolezza, alla sua debolezza, e da qui nasce il compromesso tra il potere e l’economia che sfocia nello sfruttamento di masse di uomini e donne, italiani o stranieri non importa, ma ha trovato sponda politica anche dove non doveva trovarla, da questo dato fondamentale deriva la conseguenza che non esiste in Italia la possibilità di alcun tipo di “rivoluzione nelle urne” che non sia rivoluzione socialista, di sinistra, compito arduo, impegno improbo allo stato attuale, e iniziare questo lungo cammino è compito decisivo.

Non esistono soluzioni intermedie, a sinistra non si sa dove comincia e dove finisce un partito, dove comincerà e dove finirà domani, si è persa la capacità di rappresentanza collettiva e alla prova dei fatti si è persa l’influenza sul popolo rinchiudendosi tra pochi visto il non ascolto dei molti.

DOMENICO MAGLIO

9 ottobre 2018

foto tratta da Pixabay

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