La roulette della cultura e dell’informazione

Come si costruisce nell’era digitale un nuovo sistema di relazione tra cultura e informazione? Appare essere questo l’interrogativo che sorge dal testo “La cultura orizzontale” scritto da Giovanni Solimine...

Come si costruisce nell’era digitale un nuovo sistema di relazione tra cultura e informazione? Appare essere questo l’interrogativo che sorge dal testo “La cultura orizzontale” scritto da Giovanni Solimine e Giorgio Zanchini (Laterza) e discusso nel corso di un seminario svoltosi presso la stessa casa editrice, di cui dà conto Simonetta Fiori sulle pagine culturali de “la Repubblica” del 20 febbraio.

Si tratta di un tema di estrema attualità che può essere però analizzato soltanto per interrogativi successivi.

Una serie di quesiti forse riassumibili però all’interno di un’unica domanda: è possibile affrontare la casualità nella diffusione delle notizie? Quella casualità cui ci si sottomette oggettivamente nel momento in cui si utilizzano i nuovi strumenti di comunicazione al di fuori da una qualsiasi espressione di capacità critica ?

La conseguenza è quella di una vera e propria “roulette dell’informazione” che si verifica attraverso il girovagare per il web. Così ci si addentra tra le diversi fonti indirizzati dagli algoritmi e non attraverso il compimento di scelte soggettive.

In sostanza il dato dominante è quello del “disordine” nell’attingere alle notizie e conseguentemente dell’assenza di costruzioni gerarchiche nell’ordine delle notizie stesse e quindi nei relativi riferimenti culturali.

E’ così saltata la mediazione tipica svolta dagli organi classici dell’informazione, giornali, riviste, libri: si può così affermare che “la preghiera dell’uomo moderno” non è più la lettura mattutina dei giornali ma l’apertura del PC e l’osservazione delle domande e delle risposte che si possono formulare o fornire attraverso Facebook, Istagram, Linkedin, ecc,ecc.

Quello che si legge e si scrive sulla nostra chat diventa ciò che è importante apprendere e/o comunicare sopravanzando quanto “strillato” dalle prime pagine dei giornali oppure che si potrebbe leggere come riflessione sulle riviste, anche le più impegnate culturalmente e politicamente

A questo modo, almeno secondo il libro analizzato nel seminario, siamo di fronte ad una espressione di “cultura orizzontale”.

Si potrebbe aggiungere che si tratta anche di una sorta di “individualismo solitario” che ci lascia inermi davanti al grande mare di una presunta conoscenza che la “rete” ci sta offrendo.

Mi permetterei di aggiungere un elemento che non emerge dalla riflessione di Simonetta Fiori: tutto questo non ha effetto soltanto sul meccanismo di ricezione delle notizie e di conseguenza sulla volontà di ricerca delle fonti ma soprattutto incide sulle forme dello scrivere.

Lo “scrivere” è ormai già ridotto all’osso del superamento di regole ormai antiche ma potrebbe ancora ridursi ad attività di puro “accompagnamento” della sicura ascesa di quel fenomeno definito dell’analfabetismo di ritorno.

Beninteso: non siamo alla nostalgia del ritorno alla “Lettera 22”, al “fuorisacco”, al solo giornale radio delle 19 quando si diceva “l’ha detto la radio”.

Ci troviamo invece impegnati nella ricerca di un nuovo mediatore che, nel corso del seminario già citato, è stato individuato in un soggetto capace di fornire collegamenti e connessioni nella più vasta cultura digitale.

Un mediatore che dovrà però muoversi nel senso del ritrovare la dimensione della complessità, della capacità di riflettere, di tracciare analogie, di definire percorsi cognitivi.

Il clima generale in cui ci troviamo immersi è quello descritto da Bauman: “nella modernità liquida la cultura non ha più un volgo da illuminare ma clienti da sedurre”.

Tutto questo quadro fin qui descritto ci interessa particolarmente perché è direttamente collegato con il mutamento nelle forme dell’agire politico e nella sua relativa organizzazione.

L’era digitale ha trasformato l’agire politico. “L’agire politico”si è infatti ristretto in un confronto tra l’etica e l’estetica.

Da un lato oggi, almeno nell’Occidente capitalistico sviluppato, appare, infatti,ormai egemone il rapporto tra l’estetica e la politica. Ne abbiamo già scritto anche recentemente ma è il caso di ritornarci.

L’egemonia nel rapporto tra estetica e politica trova il suo fondamento in relazione allo sviluppo nell’utilizzo di una certa innovazione tecnologica destinata a stravolgere la funzione dei mezzi di comunicazione.

L’estetica è ormai intesa come “visibilità” del fenomeno politico portato nella dimensione pubblica. Meglio ancora, nell’esercizio di riti collettivi e consensuali portati alla mostra della scena pubblica. La prospettiva è quella della teatralità della scena politica e il ruolo di “attori” degli agenti politici.

Si è così valorizzato l’agire comunicativo in luogo di quello strategico ed è questo il vero punto di contatto con la dimensione “orizzontale” nel rapporto tra cultura e informazione.

Una “forma del politico” armoniosa e composta dentro la cornice da un conflitto al più agonistico: laddove anche la più stridente contraddizione rimane “sovrastruttura” e il pubblico può essere oggetto soltanto di un processo di una gigantesca  “rivoluzione passiva” mascherata da “democrazia del pubblico” .

Una “democrazia del pubblico” (da qualcuno mistificata da democrazia diretta) che viene esercitata in gran parte in agorà virtuali nelle quali si sta proprio imponendo una “egemonia della sovrastruttura”

E’ stato anche detto:un’estetica utilizzata da una politica il cui obiettivo è quello dell’anestetizzazione del “dolore sociale”.

Il “dolore sociale” ha però bisogno di essere rielaborato partendo da quella che storicamente abbiamo definito come “contraddizione principale” e che adesso come adesso deve essere intrecciata da altri due elementi:quello del limite che incontra il dominio umano sulla natura e quello del nuovo tipo di esercizio dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, comprensivo anche dell’ulteriore livello dello sfruttamento di genere.

Lo sfruttamento è comunque agito nella società in una dimensione ben più vasta dello sfruttamento esercitato a suo tempo sul “lavoro vivo” e classificato – appunto – come “contraddizione principale”.

La domanda finale è questa: nell’era digitale è forse quello dell’egemonia della sovrastruttura il solo orizzonte possibile e occuparsene in quei termini diventerà la forma esclusiva dell’azione politica all’interno della logica dominante della ricerca di un “potere sull’estetica”?

Sarebbe necessario essere capaci di esprimere con semplicità un secco “NO” ma la replica appare invece quanto mai difficile e complicata.

La deriva che sta assumendo la riflessione culturale posta sotto il dominio della tecnica della casualità intesa come solo strumento di accesso al nodo vitale dell’informazione pare essere il punto di una riflessione che avrebbe bisogno di recuperare antiche categorie e inventarne di nuove.

FRANCO ASTENGO

21 febbraio 2020

Foto di PIRO4D da Pixabay

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