La partita del Ceta è ancora aperta

La firma del Ceta lo scorso 30 ottobre a Bruxelles rappresenta indubbiamente una pessima notizia, ma non la fine dei giochi. La partita è ancora aperta e dobbiamo giocarla...

La firma del Ceta lo scorso 30 ottobre a Bruxelles rappresenta indubbiamente una pessima notizia, ma non la fine dei giochi. La partita è ancora aperta e dobbiamo giocarla fino in fondo, perché è una partita cruciale. I trattati di commercio di nuova generazione (Ttip, Ceta, Tisa in primis, ma non solo: pensiamo al negoziato aperto tra Ue e Mercosur) rappresentano il principale volano della deregolamentazione neoliberista su scala globale. Sono il dispositivo attraverso cui le multinazionali cercano di svuotare i luoghi della rappresentanza e abbattere le cosiddette “barriere non tariffarie”: ossia i diritti del lavoro, il principio di precauzione, gli standard ambientali, la difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici.

L’opposizione del Parlamento della Vallonia ha dimostrato che l’ingranaggio si può fermare, che la connessione fra movimenti, reti, campagne di cittadinanza attiva e istituzioni rappresentative può costituire una resistenza efficace alla creazione di un diritto asimmetrico: quello che sancirebbe che la tutela degli investimenti è prioritaria rispetto ai diritti delle cittadine e dei cittadini.

Le ragioni per dire di No al Ceta sono ancora tutte davanti a noi: la perdita di posti di lavoro (3 milioni entro il 2023 nella sola UE come dimostra lo studio della Tuft University, studio che spiega anche come all’aumento di disoccupazione si accompagnerebbe una ulteriore compressione salariale), la messa in discussione del principio di precauzione, l’istituzione dell’Ics per dirimere le controversie tra multinazionali e stati, il riconoscimento solo parziale delle Ig, i rischi per la salute alimentare e per la produzione agroalimentare di qualità. Inoltre molte multinazionali Usa avranno accesso al mercato europeo attraverso il Ceta o attraverso il Nafta o perché hanno sede legale in Canada.
Sono queste solo alcune delle ragioni per cui il 5 novembre ci mobiliteremo nello StopCetaDay promosso dalla rete StopTtip Italia in tante città. E porteremo avanti una battaglia che possiamo ancora vincere.

Anche al Parlamento europeo porteremo avanti la nostra opposizione al Ceta. Purtroppo la maggioranza del Parlamento europeo (Popolari, socialisti, liberali) sembra orientata a negare che vi sia una risoluzione della Commissione Commercio internazionale e del Parlamento europeo sul Cet. La discussione fa paura ai Signori dei trattati. Con grande probabilità, dunque, il Parlamento europeo potrà dire solo Sì o No. E questo è davvero uno svuotamento ulteriore di quella che dovrebbe essere una delle funzioni principali di una assemblea rappresentativa: discutere.

Dopo la probabile ratifica del Parlamento europeo, il Ceta entrerà in vigore in via provvisoria. Grazie alle pressioni delle campagne di mobilitazione, infatti, la Commissione europea è stata costretta a considerare il Ceta come un accordo misto, cioè non di esclusiva competenza comunitaria e, dunque, da sottoporre alla ratifica dei Parlamenti nazionali. È quindi fondamentale che ci mobilitiamo perché il Parlamento italiano non ratifichi il Ceta.

Una ultima considerazione: in questi mesi di discussione sul Ceta, il Governo italiano (in particolare il Ministro Calenda) ha svolto un ruolo di “avanguardia” nel dire che non fosse necessario il pronunciamento dei parlamenti nazionali. Una posizione sostenuta da Alessia Mosca, che coordina gli eurodeputati Pd in Commissione Commercio Internazionale. È un caso che siano gli stessi che vogliono cambiare la Costituzione? Direi proprio di NO.

ELEONORA FORENZA
Parlamentare europea GUE/NGL

da Left.it

foto tratta da Pixabay

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