La giusta stanchezza dei popoli

Ci troviamo nei pochi giorni che intercorrono tra l’esito del referendum britannico circa la permanenza nell’Unione Europea e le (incertissime) elezioni spagnole, a poca distanza dalle elezioni amministrative in...

Ci troviamo nei pochi giorni che intercorrono tra l’esito del referendum britannico circa la permanenza nell’Unione Europea e le (incertissime) elezioni spagnole, a poca distanza dalle elezioni amministrative in Italia mentre in Francia si sta sviluppando un ciclo di lotte sociali e sindacali molto forti.

Un filo lega questi importanti avvenimenti ed è quello che segnala la “stanchezza dei popoli”.

I partiti di tradizionale governo, il blocco popolari – socialdemocratici che, in alternanza o attraverso il meccanismo della “solidarietà nazionale” (come in Germania, paese nel frattempo apparentemente ancora fuori da questa ondata di dissenso) hanno governato almeno dal secondo dopo guerra in avanti.

I popoli sono stanchi ed esprimono questa loro condizione in vario modo.

Perché sono stanchi?

Perché sono stati governati sostanzialmente male, attraverso l’adeguamento a politiche liberiste che hanno tranciato i diritti sociali, travolto il welfare, affidato l’economia alla tecnica (in particolare a quella bancaria) sulla base delle cui opzioni è stata costruita l’estraneità sociale dell’Unione Europea: nel frattempo si sono allargate a dismisura le disuguaglianze di reddito e di “status”, si è fermato l’ascensore sociale che, attraverso lo studio e sia pure con grandi difficoltà si era mosso in alto almeno fino agli anni’70, perché politiche fondamentali come quelle di vicinato con il Mediterraneo sono state condotte pessimamente portando all’esplosione di guerre locali e all’inarrestabile flusso dei migranti.

Si è scambiata la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS come l’apertura del regno del Bengodi e di mercati inarrestabilmente ricchi da sfruttare senza riserve; si sono assecondati gli USA nel loro ruolo di unico gendarme del mondo nell’opera scellerata di “esportatori della democrazia” attraverso la guerra, causando così reazioni incontrollato che hanno portato intere zone del mondo a situazioni drammatiche, di vero e proprio scioglimento di identità statuali, in mano a pericolosissimi signori della guerra capaci di esprimere vere e proprie faide terroristiche a livello globale.

In questo quadro di malgoverno si sono affermate tensioni rivolte verso l’instaurazione di domini personali, si è mandata in crisi la democrazia rappresentativa, hanno perso identità e struttura i partiti politici, non si è espressa alcuna capacità di seria innovazione, anche rispetto alle nuove forme del comunicare a livello di massa e interpersonale, sul tema della partecipazione democratica, vieppiù soffocata da logiche astrattamente governativiste

Si sono così aperti varchi per veri e propri ritorni all’indietro sul piano politico, sono comparsi fantasmi che avevamo pensato di aver debellato per sempre: attecchiscono sulle macerie delle perdute istanze democratiche fenomeni isolazionisti, xenofobi, razzisti che alla fine potrebbero condurre a percorrere pericolose avventure.

Tutto questo è avvenuto per precipua responsabilità di forze politiche omologate tra loro nel credo dell’ossequio ai padroni del vapore e nella logica della spartizione del potere: i grandi mezzi di comunicazione di massa, sempre pronti a legare il carro dove vuole il padrone, hanno in questo colpe enormi e non dovrebbe essere loro permesso svegliarsi tranquillamente “nella comica”.

Ci si appella ai giovani, lasciati nella situazione italiana al 40% di disoccupazione: altro che, come scrive l’ineffabile Calabresi, voli low- cost per assistere a concerti.

La soluzione però non può essere quella del moderatismo perbenista, della logica prudente della difesa dello “status quo”, dei Corbyn e dei Cofferati “dell’Europa da cambiare da dentro”.

La soluzione non sta neppure nell’appello generazionale ai giovani “coraggiosi” di rivolgersi contro gli anziani “paurosi”, come scrive oggi il direttore di Repubblica in un editoriale davvero offensivo rispetto all’intelligenza delle sue lettrici e dei suoi lettori.

Servirebbe una svolta, prima di tutto a livello nazionale, dal punto di vista della considerazione della politica rispetto alle contraddizioni sociali, oggi ignorate da elite presuntuose e arroganti, indipendentemente dal loro certificato anagrafico.

Attali scrive di mancata autocritica: questo è forse il punto da toccare sul serio, ma probabilmente lo è ancora di più l’avvenuto abbandono del senso della storia da parte dell’intellettualità e delle forze politiche, ormai sganciate dalla dura realtà quotidiana.

FRANCO ASTENGO

redazionale

25 giugno 2016

foto tratta da Pixabay

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