La Giornata della Memoria tra razzisti, xenofobi e pressapochismo revisionista

La Giornata della Memoria, i razzisti, i buonisti, i migranti, la xenofobia, il terrorismo. Un miscuglio di tanti argomenti messi insieme per confondere le idee di chi non ha...
Auschwitz

La Giornata della Memoria, i razzisti, i buonisti, i migranti, la xenofobia, il terrorismo. Un miscuglio di tanti argomenti messi insieme per confondere le idee di chi non ha approfondito molto la storia dell’umanità e ha vaghi ricordi scolastici su i tanti cambiamenti che si sono succeduti nel tempo e che, a velocità doppia, in una cartina storica in movimento sembrerebbero impossibili da fermare nella nostra mente.

Invece è possibile tracciare una linea di continuità coerente nella difformità del cammino umano: la storia è sempre un composto di tante storie e queste di altre ancora. Si frammenta, si sminuzza, e più si particolarizza, più si dettaglia il grande riducendolo al piccolo, più si scopre che ciò che si riteneva incommensurabile per la mente umana, impossibile da assimilare perché ricco di sfaccettature, invece è sempre un elemento di conoscenza in più che consente di parlare con cognizione di causa di tutto un insieme di fatti che non possono essere separati ma che vivono in un coordinato senso logico proprio in questa interconnessione indistruttibile.

O meglio, esiste un modo per provare a disarticolare tutto ciò e a renderlo terreno di fantasia: riscrivere i fatti stessi, mettere in forse proprio i fatti e creare quel revisionismo che da innocua teoria diventa troppo spesso una “altra storia” spacciata per veritiera ma fondata sul niente; perché il revisionismo non commenta mai i fatti ma li trasforma, quindi informa i fatti stessi e prova a relativizzare la verità per l’appunto storica.

Fatta questa lunga premessa un po’ filosofica e un po’ politica, è bene venire al dunque: poiché siamo vicini alla Giornata della Memoria, viene da chiedersi quanto sia concretizzabile il sogno del revisionismo di vecchia e soprattutto di nuova generazione. Quanta voglia vi sia di riscrivere i fatti e di “dimostrare” al mondo che la storia è una menzogna, una bugia, qualcosa che è stato costruito dai vincitori della Seconda guerra mondiale (per quanto riguarda almeno tutto il periodo pre-bellico a partire dalla nascita dei nazionalismi novecenteschi fino al dopoguerra immediato) e che, pertanto, risponderebbe al vecchio detto secondo cui per l’appunto i fatti storici sono tali perché sono una scrittura dei trionfatori…?

La domanda è sulla “voglia” intesa come potenzialità anche sociale che è propulsione sociale, politica, culturale, storica e che, a sua volta, spinge i revisionisti – in un perverso circuito di pergiudiziali che sono l’antitesi del lavoro dello storico vero – a mettere su piazza articoli, libri e saggi atti a dimostrare che la realtà della tragedia del “secolo breve” è ridimensionabile tanto nei numeri che riguardano gli stermini di massa quanto nella disposizione degli eventi che hanno condotto interi popoli a seguire, sostenere e fomentare l’ascesa di dittature e totalitarismi spietati.

Da dove nasce, dunque, il “potere” del revisionismo storico? Di cosa si alimenta questa possibilità che nasce e cresce in seno ad una umanità stanca della verità? Nasce e cresce laddove lo studio minimo delle nostre origini si ferma a nozioni superficiali che la scuola deve contendersi con il pressapochismo di fonti spesso non confermabili, su testi reperiti dai giovani su Internet, su una capacità di apprendimento largamente condizionata da tantissimi pregiudizi ascoltati attraverso messaggi televisivi dove il confronto è abolito: ci si scontra soltanto, si urla, si impreca e si dà sulla voce al proprio interlocutore che, quindi, non interloquisce un bel niente e che diventa un nemico.

Non era per niente questo il protagonismo culturale e intellettuale di massa che ho immaginato potesse sempre rigenerarsi dopo gli anni ’80. Ma tant’è, ci troviamo anche a sinistra a fare i conti con una superficialità nell’acquisizione delle informazioni che finisce per formare opinioni del tutto prive di fondamento storico.

La lotta sociale deve avere come compagna di strada anche una lotta culturale, per una riappropriazione del diritto non solo allo studio ma all’approfondimento del medesimo per chiunque voglia liberamente indagare i fatti avvenuti tanto dieci quanto cento anni fa.

Il 27 gennaio celebriamo la Giornata della Memoria. Lo facciamo per ricordare cosa accadde in quella data in territorio polacco annesso al Reich della Grande Germania dal 1942. Siccome la tragedia del ‘900 bellico deve essere messa sotto le più ampie lenti di ingrandimento per essere compresa appieno, è bene farsi solleticare dal dubbio, dalla curiosità e aprire non Wikipedia (che rimane comunque un utile strumento di primissimo approccio con la storia) ma semmai fare una ricerca sui testi che si possono leggere per sapere come nacque e si sviluppò il fascismo in Italia, il nazismo in Germania e il franchismo in Spagna.

In questa chiave, una lettura consapevole delle opere di Antonio Gramsci è già un ottimo viatico per poi, dopo il 1937, proseguire per l’appunto con altri approfondimenti. Approfondiamo. Sempre. Non fermiamoci alla superficie dei concetti, delle descrizioni sommarie, dei brevi titoli. Non raccontano mai la verità completa per necessità di sintesi. E la sintesi estrema fa sempre dei disastri se si pretende, alla fine, di renderla unica spiegazione del tutto.

MARCO SFERINI

26 gennaio 2018

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli