“Insieme”, per dare una speranza al liberismo

Parole e compatibilità Alla fine del pomeriggio romano di Giuliano Pisapia, Bruno Tabacci, Pierluigi Bersani, Roberto Speranza e Massimo d’Alema, insieme alla Presidente della Camera Laura Boldrini, restano tutte...

Parole e compatibilità
Alla fine del pomeriggio romano di Giuliano Pisapia, Bruno Tabacci, Pierluigi Bersani, Roberto Speranza e Massimo d’Alema, insieme alla Presidente della Camera Laura Boldrini, restano tutte belle parole, nobili concetti slanci di volontà da mettere in pratica con la fondazione del nuovo movimento o partito che dir si voglia dal nome evocativamente unitario: “Insieme”.
Ma sono tutte parole compatibili col sistema in cui sopravviviamo, col sistema capitalistico: lo criticano, provano a ridurne la carica di distruttività sociale che da sempre si porta dietro come scia di morte e miseria che si fa sentire nell’annichilimento dei diritti sociali, nel non riconoscimento di quelli civili, nel provare a fare dei governi della Repubblica delle sentinelle a guardia dell’espansione dei profitti e di una economia che, dolenti o nolenti, privilegi sempre e soltanto lo “sviluppo” e che, come ha ripetuto Giuliano Pisapia nel suo intervento finale, rilanci le imprese con “investimenti sia pubblici sia privati”.
La vecchia commistione tra denaro pubblico e imprese private dunque viene riproposta nell’architettura per nulla nuova del sogno di una rinascita del centrosinistra che non è oggi rappresentato da Renzi e dal suo Partito democratico ma che si spera di far rinascere, come asserisce D’Alema “andando da soli alle elezioni”, ottenendo un grande risultato per “poi tornare a dialogare con il PD”.
La strategia è, dunque, muscolare: contarsi elettoralmente e, sulla base della forza percentualistica e sulla base di quella dei voti assoluti andare a bussare alla porta del PD per cercare il Parlamento una convergenza vasta e rifare così, chissà in quale modo non si sa bene visto che non esiste una volontà comune di ricostruire l’Ulivo o l’Unione prodiani, il moderno centrosinistra.
Quando Bersani accenna poi ad una “globalizzazione dal volto umano”, si supera in qualche modo il vecchio riformismo “ben temperato” lanciato proprio da Romano Prodi: si va oltre la critica del liberismo. Lo si accetta proprio come schema di lavoro politico sul sociale. E lo si fa pensando di poter condizionare “da sinistra” processi economici che sono, secondo un elementare studio di testi scientifici dell’economia studiata da Marx, ma anche da altri autori celebri, meno “radicali” del Moro di Treviri, loro i veri dominatori di politiche portate avanti da chi è disposto al compromesso, alla gestione della fase presente, alla ricomposizione della pace sociale come elemento su cui poggiare la sicurezza della difesa di punti di crisi del modello capitalistico italiano.

L'”operazione D’Alema” e l’opposizione di classe
Nella riorganizzazione complessiva del fronte padronale, laddove Confindustria è pronta a sostenere chi si mostrerà il miglior erede del renzismo, caso mai Renzi dovesse non superare la prova della politiche, può rientrare anche un progetto “ulivista”: poco importa che sia frutto di una illusoria proiezione mentale volta a trovare uno spazio di rilancio di un gruppo dirigente escluso dal partito di cui faceva parte e che ora prova a mettere insieme i cocci di un riformismo socialdemocratico completamente fallito; forse peggio ancora del ridimensionamento della sinistra di alternativa che non ha avuto velleità di governo della crisi economica dal punto di vista del mercato ma, proponendo una uscita dalla crisi proprio dal versante opposto, quello degli sfruttati, dei disoccupati e dei precari, dei lavoratori insomma, ha capito che i rapporti di forza erano dispari e a favore di chi si dichiarava di sinistra (e tutt’oggi prova a farlo con sempre maggiore insolenza e arroganza – e qui, solo in questo punto, Bersani qualche ragione ce l’ha -) ma praticava e pratica politiche liberiste, quindi antisociali alla massima potenza.
Questa comprensione della fase in cui è impossibile governare su princìpi egualitaristici di sinistra vera non esclude la riorganizzazione della sinistra lanciata al Teatro Brancaccio: là abbiamo ascoltato anzitutto l’individuazione di confini ben precisi del perimetro comunque inclusivo proposto per dare vita ad un soggetto plurale ma nettamente indipendente dal PD sia prima, sia dopo le elezioni. Non un rassemblemant che poi tenta un’opera di riforma del riformismo liberista stesso. Non una “operazione D’Alema”: avere quel buon risultato e poi trattare col PD in Parlamento.
Il contrario: andare a chiedere i consensi ai lavoratori, ai cittadini tutti per un polo di sinistra di alternativa che in Parlamento, se non avrà la maggioranza, farà una cosa sola, netta e distinguibile sempre. Farà tornare nelle aule della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica una opposizione ingestibile dal governo che si troverà a palazzo Chigi: una opposizione di classe, una opposizione che metterà tutti i valori della Costituzione al centro del suo agire, partendo dal NO del 4 dicembre dello scorso anno.

Le strade molto, molto diverse
Ed è per tutto questo, cari amici di “Insieme”, che sapete qual’è il problema: il punto di vista vostro è quello di chi non mette in discussione il mercato, il sistema capitalistico, ma pensa di riformarlo andando a palazzo Chigi.
Questa è una nemesi che si ripete da decenni e che ha distrutto l’anima della sinistra: l’alternativa anticapitalista, quanto meno antiliberista che sono necessarie per suscitare nuovamente il riconoscimento del classismo da parte della classe degli sfruttati.
Voi parlate della rinascita di un “popolo del centrosinistra” quando spazio per il centrosinistra ne esiste meno che per la sinistra stessa, vera, concreta, quindi alternativa a tutti gli altri partiti e movimenti.
Mi dispiace, io ho provato ad ascoltarvi attentamente. Ma ho rivissuto discorsi di trent’anni fa, quando nacque il Partito democratico della sinistra e poi si formarono i Democratici di sinistra.
La mia strada, lo dico con un po’ di amarezza ma con un profondo senso di liberazione, non incontrerà mai la vostra, perché ciò che portò alla nascita di Rifondazione Comunista oggi è ancora moderno e attuale e lo viviamo in un processo di aggregazione a sinistra che include lo stesso PRC: autonomia e unità nell’antiliberismo, da comuniste e comunisti.
Perché il capitalismo noi lo condanniamo senza appello. Voi una speranza gliela volete invece dare.

MARCO SFERINI

2 luglio 2017

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli