Inizia la grande battaglia del Lavoro, in piazza contro Macron

Al centro le «ordinanze» per la nuova riforma del lavoro in Consiglio dei ministri. Discussione in Parlamento a fine luglio, 48 incontri con le parti sociali, poi la legge «con applicazione immediata» entro il 20 settembre. La Cgt: il 12 settembre giornata di lotta. Le indiscrezioni e le preoccupazioni dei lavoratori

Gli eserciti cominciano a schierarsi per la grande battaglia sulla riforma del lavoro. Dal suo esito dipende il destino della presidenza Macron. La Loi travail El Khomri, dei tempi di Hollande, è stata varata solo nell’agosto dell’anno scorso, ma non basta ancora. Emmanuel Macron ha promesso una nuova legge in campagna elettorale e vuole fare in fretta.

Ieri in Consiglio dei ministri è stata annunciata la decisione sul progetto di legge «Per il rafforzamento del dialogo sociale attraverso le ordinanze». Ordinanze significa iter accelerato, che evita i passaggi tra le due camere. Il Parlamento, che martedì ha concluso la fase di elezioni dei capigruppo con la scelta del presidente dell’Assemblée (François de Rugy, ex verde passato per le primarie del Ps e eletto deputato En Marche), discuterà dell’approvazione del ricorso alle ordinanze tra il 24 e il 28 luglio. La legge sarà approvata entro il 20 settembre.

Nel frattempo, la ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, avrà presieduto 48 «incontri» con le parti sociali, padronato e sindacati dei lavoratori. La legge avrà «applicazione immediata». Questa legge è il primo di sei capitoli, che in 18 mesi dovranno riformare le relazioni di lavoro, con una parte successiva dedicata alle «garanzie di protezione».

La Cgt ha già annunciato una giornata nazionale di protesta per il 12 settembre. La Cfdt non vi parteciperà. Force ouvrière considera che la «concertazione» prevista attraverso i numerosi incontri con i sindacati «va sulla strada giusta». Lo schieramento opposto al governo, per ora, schiera già sul campo la Cgt, secondo la quale la nuova legge non è altro che «lo smantellamento del codice del lavoro», la «fronda» del Ps, il Pcf e France Insoumise (Fi). Jean-Luc Mélenchon ha parlato di «opposizione totale»: per il leader di Fi, il grande rifiuto «non può limitarsi a un’opposizione parlamentare». Fi «riunirà tutte le popolazioni, i quartieri, chi cerca lavoro, i disoccupati, le persone in formazione, gli studenti».

L’obiettivo della nuova riforma è dare maggiore flessibilità alle imprese. L’assioma di partenza è che se i datori di lavoro hanno meno lacci e lacciuoli per licenziare si decideranno più facilmente ad assumere. La disoccupazione è ora al 9,7%, Macron ha promesso di ridurla al 7% a fine mandato (2022). L’assioma è indimostrabile, i fatti non dimostrano la correlazione certa tra un codice del lavoro ridotto e un più alto tasso di occupazione. Ma il padronato crede ciecamente in questa ricetta. La Germania (e Bruxelles) chiedono le «riforme» alla Francia dei deficit (è uno dei pochi paesi della zona euro a superare ancora il fatidico 3%). Poi, promettono, ci saranno i tanto agognati investimenti per il rilancio, l’Europa dell’energia ecc. Macron si gioca la credibilità.

Lo scontro porta a un’eccessiva semplificazione della posta in gioco. La Cfdt, sindacato maggioritario nel settore privato, aveva accompagnato la Loi Travail invece di opporsi frontalmente, come la Cgt (e Fo). Adesso è più circospetta: «Non abbiamo chiesto una nuova riforma – ha affermato ieri il segretario Cfdt, Laurent Berger – molte riforme sono state messe in atto da 4-5 anni nell’ambito del codice del lavoro e sarebbe stato il caso di valutarle» prima di avventurarsi in una nuova legge. Mentre la Cgt rifiuta tutto in blocco, per la Cfdt ci sono alcune «linee rosse» da non oltrepassare: no al referendum di impresa deciso dal datore di lavoro (che serve a by-passare un rifiuto sindacale); no al tetto agli indennizzi in caso di licenziamenti abusivi (è una vecchia richiesta del padronato); no alla fusione delle istanze rappresentative del personale, che la legge vorrebbe imporre in nome della necessaria «semplificazione», requisito ritenuto indispensabile per la «modernizzazione».

Il testo definitivo non è ancora stato scritto, ma molte fughe di notizie stanno alimentando le preoccupazioni dei lavoratori: soprattutto, torna in primo piano «l’inversione della gerarchia delle norme» – gli accordi di impresa più importanti di quelli di categoria – che aveva fatto scendere in piazza milioni di persone nel 2016. E è stato anche evocato il più flessibile «contratto a progetto».

ANNA MARIA MERLO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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