Il papa perdona, noi no

Non possiamo perdonare. Almeno io non posso, pur essendo nato trent’anni dopo la seconda guerra mondiale e non aver assistito in prima persona all’orrore del conflitto provocato dalle dittature...

Non possiamo perdonare. Almeno io non posso, pur essendo nato trent’anni dopo la seconda guerra mondiale e non aver assistito in prima persona all’orrore del conflitto provocato dalle dittature totalitarie nazifasciste.
Comprendo benissimo che il papa debba pronunciare la parola del perdono e la riferisca a dio e che lo faccia proprio varcando il cancello del campo di sterminio di Auschwitz.
Il papa è certo un essere umano, ma è anche un uomo che esercita un ruolo: da dove questo ruolo gli derivi può essere oggetto di diverse interpretazioni, legate o meno alla fede o alla visione laica di ciascuno di noi, e rientra proprio nel suo ruolo la proclamazione del perdono anche per i peggiori carnefici, per i più spietati assassini.
Tutto deve rientrare nell’amore di dio e, quindi, in un concetto assoluto di amore non può esservi spazio per odio, risentimenti, rancore e voglia di vendetta. Nemmeno per l’assenza del perdono.
Penso, però, che Francesco non abbia voluto significare che non si deve condannare la violenza, la crudeltà e l’insieme del mondo di orrore voluto e provocato dal nazismo e dalla cerchia di fanatici hitleriani con alla testa la megalomania del capo.
Penso che Francesco non abbia nemmeno voluto fare del revisionismo storico o politico: non ha tracciato una linea di demarcazione tra memoria e presente. Ha, con la sua visita ad Auschwitz, invece ben espresso l’indissolubile legame che deve esistere tra ciò che avvenne e ciò che oggi è.
Ma qui inizia la mia critica benevola: siccome io non sono il papa e non penso che il perdono sia sempre necessario ad un’etica, soprattutto se religiosa, non me la sento di perdonare quella “tanta crudeltà” che si consumò nello sterminio degli ebrei, degli zingari, degli apolidi, dei Testimoni di Geova, dei comunisti, degli asociali, degli omosessuali… Di tutte quelle “categorie” di persone che i nazisti avevano messo al bando come “inferiori”, come indegni di vivere, soprattutto nel loro sogno millenario legato al Terzo Reich.
Non si può perdonare dentro ad un contesto laico: perdonare significherebbe mettere in atto una macchina di assoluzione postuma di quei crimini. Il perdono del papa e delle divinità è un perdono diverso da quello dei laici, dei non credenti perché non ha un valore ultraterreno ma molto, troppo terreno, che non si può divincolare dalla storia e, quindi, dal continuum temporale che ci lega, lo si voglia o no, al recente passato risalente a settanta anni fa.
Così il papa può pregare dio perché perdoni tanta malvagità ed autodistruzione umana.
Noi possiamo invece impegnarci ogni giorno per costruire una rete di solidarietà sociale sempre più vasta che sconfigga il ritorno dei fascismi sotto le più diverse forme: dalla xenofobia all’omofobia, dalle nuove forme di esclusione che vogliono erigere muri alle frontiere per respingere la disperazione dei profughi che fuggono per trovare una sopravvivenza degna di questo nome, fino allo sfruttamento della forza lavoro e della natura in nome di un profitto sempre più concentrato in poche mani.
Il perdono per i nazisti non può esserci per noi. Mai. La migliore vendetta è vivere felicemente e con sempre meno differenze sociali, sfruttamento, pregiudizi e razzismo.

MARCO SFERINI

30 luglio 2016

foto tratta da Pixabay

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