Il liberismo colpisce ancora: PD e Cinquestelle disperati ed uniti

La formazione del nuovo governo, come primo elemento rilevabile sulla scena politica italiana, apre una stagione nuova nell’ambito di una stessa legislatura iniziata con la vittoria “di coalizione” da...
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante il giuramento del nuovo governo

La formazione del nuovo governo, come primo elemento rilevabile sulla scena politica italiana, apre una stagione nuova nell’ambito di una stessa legislatura iniziata con la vittoria “di coalizione” da parte del centrodestra, col prevalere su tutte le altre forze politiche del Movimento 5 stelle, con vincitori e vinti che si scambiano dunque il posizionamento rispettivo prima a Palazzo Chigi e in maggioranza nelle Camere e poi all’opposizione (Lega) e il viceversa rappresentato dal PD.

Proprio il ruolo del Partito democratico è quello, a tratti, più interessante in tutta la scena agostana, piena di picche, ripicche e contropicche; fatta di balzi in avanti repentini e di retromarce altrettanto fulminee.

Eppure, per quanto possa interessarci il passaggio di campo del PD zingarettiano (e renziano, anzi molto più renziano rispetto al nuovo presunto corso inaugurato dal Presidente della Regione Lazio), quella che passerà alla storia d’Italia come “la scelta incomprensibile“, quasi per antonomasia, è la completa sottovalutazione fatta dall'”invicibilità” salviniana rispetto ai giochi di palazzo che rientrano perfettamente nella gestione democratica di un potere che deve rimanere “pro tempore” e che mai dovrebbe essere dato per acquisito.

Eppure questo è un altro dato curioso su cui riflettere, che proprio l’impostazione data da Salvini all’interpretazione della politica tanto di palazzo quanto di piazza stava modificando, portando la democrazia rappresentativa, formale, persino il cosiddetto “galateo istituzionale” (che, al di là delle mere forme, pure ha un suo ruolo di decogenstionatore delle ire e delle tensioni: ne è prova un potere come quello fortemente mediatore del Presidente della Repubblica, unificatore e non acceleratore di tensioni, ma di recupero dell’equipollenza tra gli orgnismi dello Stato) ad una disarticolazione accettata, forse anche un poco subita dalla popolazione, ma che rischiava di entrare nell’alveo della “consuetudine” e di una abitudinarietà pericolosa per la stabilità democratica.

Fin qui gli unici meriti di un pasticciaccio estivo causato da Salvini contro sé stesso: “la scelta incomprensibile” resterà un segreto, fino a quando non sarà passata la nottata e, fino a quando una nuova stagione politica non avrà preso il sopravvento. Domeniddio non voglia che, allo “stop” su Salvini messo oggi con un governo liberista, segua – vista la strenue capacità che dimostrerà il Conte 2 nel procedere sulla linea dettata da Ursula von der Leyen (che segue pari pari le linee guida di Mario Draghi) – un malcontento popolare così vasto e facilmente reintercettabile da Salvini e Meloni da far compiere alla politica italiana una torsione antidemocratica ulteriore e peggiore di quella cui abbiamo tristemente assistito per un anno a questa parte.

Riprendendo per un attimo il ruolo del PD in tutta questa vicenda, è del tutto evidente che si è cercata, soprattutto da parte renziana, una stabilità di posizioni facente riferimento al permanere degli attuali assetti dei gruppi parlamentari a maggioranza fedeli all’ex Sindaco di Firenze. Ma l’occasione è stata pure ghiotta perché, effettivamente, nessuno, nemmeno il mago di Monopoli o la conturbante Circe avrebbero potuto prevedere il clamoroso e vero e proprio autogol di Salvini trasformato in una critica alle poltrone, all’Europa che avrebbe concertato il tutto contro quel cattivone del capitano invicibile che stava marciando su Palazzo Chigi in corsa sempre più solitaria.

Il PD torna a rappresentare il ruolo di referente di una borghesia italiana che s’era in qualche modo un po’ smarrita nel cercare di capire quale fosse il suo nuovo punto di contatto con la politica e che solo ultimamente, visti gli screzi tra Lega e Cinquestelle, stava trovando perfettamente nel ruolo da vero democristiano rappresentato da Giuseppe Conte.

Accanto alla grettezza di certe espressioni e di certi comportamenti balneari persino il più sgraziato dei politici avrebbe fatto la figura del grande statista. Va dato atto al Presidente del Consiglio di aver saputo cogliere l’attimo e di aver coniugato una sacrosanta reprimenda nei confronti dell’ex ministro dell’Interno leghista con una compassata e rassicurante disposizione ad essere questa volta non una pedina da muovere a seconda degli umori e degli interessi di due stipulanti un contratto di governo; ma, semmai, proprio il tertium non datur che era stato escluso dalla scena dei protagonisti.

Il PD ha ritrovato infatti la sua unità politico-organizzativa non attorno ad un progetto di sinistra, come viene impropriamente sbandierato dai giornali e dalle televisioni che definiscono “giallo-rosso” un governo che al massimo può essere chiamato “giallo-rosa pallido“, ma attorno ad una uscita dall’angolo dell’opposizione, di un ricollocamento al governo con una forza che ha certamente numeri importanti in Parlamento ma che nel sentire comune del Paese vale tanto quanto il PD stesso, se non un po’ meno.

Certo, si tratta sempre di rilevazioni statistiche che hanno margini enormi di errore se si valutano i veri sondaggi: le schede tirate fuori dalle urne e contante una per una. Eppure se c’è da ricercare oggi un vincitore in questa fase di riposizionamento della rappresentanza borghese e padronale al governo, è proprio il PD di un Zingaretti che non ha potuto fare altro se non piegarsi allo stato dei fatti, a contraddizioni inimmaginabili, frutto di un surrealismo del reale che spinge a darsi tanti pizzicotti ripetuti per verificare se si è davvero desti o se si è parte di un sogno che per i lavoratori e per tutti gli sfruttati sarà il solito sonno della coscienza sociale, il solito intorpidimento dei sensi critici sotto la coltre di parole d’ordine come: “il benessere nazionale“, “l’interesse comune“, “la stabilità del Paese“.

Vi sono più colpi di scena nelle telenovelas e negli sceneggiati che durano da trent’anni su Canale 5 rispetto alle novità delle parole di esponenti di primo piano del PD e dei Cinquestelle.

Dunque, l’impossibile è stato fatto. Il governo Conte 2 ha giurato stamane nelle mani del Capo dello Stato. Ora, se noi fossimo davvero dei comunisti pronti all’azione, dovremmo riunirci, vederci, parlarci in ogni dove sia possibile per organizzare una seria opposizione politica e sociale, visto che sarà difficile poter contare su chi si dichiara di sinistra, anche “di alternativa“, ma poi finisce per far parte direttamente o indirettamente del governo appena nato.

Non possiamo più contare su chi si ciondola tra “tenuta democratica” e “stabilità economica” barattando la prima con un appoggio a misure che nuoceranno ennesimamente a precari, disoccupati, lavoratori e lavoratrici sempre meno consapevoli di essere una classe sociale, sempre più facili prede del sovranismo parolaio, crudelista e cattivista di chi già ora preannuncia che ad ottobre riunirà tutti gli italiani (che comunque, sia chiaro!, devono venire sempre prima!) perbene.

E visto che non possiamo far più conto sulla sinistra moderata che pareva invece voler diventare nuovamente “di alternativa“, tocca a noi, pochi, ramenghi, disperati e inadeguati rappresentare ed essere la rinascita del movimento comunista, della coscienza critica e di classe di grande parte di un popolo che scambia la destra per sinistra e la sinistra per destra. Con “qualche” valida ragione. Che ne dite?!

MARCO SFERINI

5 settembre 2019

foto: screenshot

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