Il Conciliatore dell’alleanza giallo-verde

E’ la giornata delle contraddizioni, quasi in termine, al Senato. Una giornata in cui dai banchi del governo e da quello dei parlamentari vengono fuori frasi che affermano e...

E’ la giornata delle contraddizioni, quasi in termine, al Senato. Una giornata in cui dai banchi del governo e da quello dei parlamentari vengono fuori frasi che affermano e negano rispettivamente sullo stesso piano fatti del recente passato e fatti immanenti col più vivido presente.
Conte parla con un tono pacato, lento, comprensibilissimo. Usa parole semplici, proprio popolari e lo fa scandendo per bene una lista di intenzioni programmatiche legate a specifiche competenze nel governo. E’ una lunga “lista della spesa”, anche una fiera delle banalità che viene persino stigmatizzata dai banchi delle destre pronte ad astenersi per “patriottismo”: è facile enunciare che si è contro la mafia, che si è contro la corruzione, che si avversa il razzismo.
Non saremo mai razzisti“, dice il Presidente del Consiglio: suona molto come una excusatio non petita… perché c’era qualcuno che aveva dei dubbi sul fatto che nel nuovo esecutivo si potessero trovare elementi proponenti politiche volte a differenziarsi a seconda del colore della pelle o dell'”etnia”?
Caso mai a qualcuno fosse venuto questo orrendo dubbio, ecco la rassicurazione banale del capo del governo: giammai loro saranno razzisti.
La senatrice Liliana Segre, deportata ad Auschwitz, incalza il governo, gli concede un voto di astensione, il beneficio del dubbio e ammonisce: non accetterà il ritorno di “leggi speciali” nel nome della sicurezza, della razza, di un passato che deve essere sempre di monito per la difesa dei valori democratici e repubblicani.
Conte apprezza, plaude e replicherà che questo esercizio mnemonico-storico lui lo fa con il figlio undicenne. Salvini è accanto, manda messaggi, forse fa finta di distrarsi.
Un governo attento alla memoria, attento a non scontentare nessuno, a raccogliere il più ampio consenso possibile anche attraverso le astensioni. Un governo di devoti ai princìpi costituzionali, patrioti rimproverati da alcuni senatori di aver scandito troppo poco la parola “Patria”, di averla troppe volte declinata con quella più benemeritamente laica di “Paese”.
Anche qui Conte si corregge in un battibaleno: la fierezza di salire i gradini dell’Altare della Patria c’è. Lui la proclama, con pacatezza, senza l’enfasi che avrebbe messo Salvini.
Del resto Conte sta in mezzo ai due vicepresidenti del Consiglio: li divide e li unisce al tempo stesso. Li compenetra, li separa per renderli meno conflittuali, funziona da figura di garanzia massima, da contemplatore e osservatore degli atti dei ministri per parlare, finalmente, come voce augustea da Primus inter pares, agli occhi dell’Europa e del mondo è lui a capo di Palazzo Chigi, quindi le intemperanze e le inesperienze dei suoi colleghi quasi pari grado passeranno attraverso la sua supervisione.
Un tratto profondamente democratico-cristiano, di pieno rispetto dell’autorità del Parlamento. Ogni formalismo viene rispettato e persino esaltato: quando replica al dibattito e tiene a ringraziare uno per uno, nominandoli, i senatori fa un gesto irrituale, rompe un altro schema consolidato, va oltre il cerimoniale del dialogo tra esecutivo e legislativo. Ogni nome, uno alla volta, viene citato: una fila di trenta e più senatrici e senatori, tutti elogiati per il contributo che hanno portato. Anche Renzi, anche La Russa, anche i più critici come Mario Monti.
Non usa toni “da campagna elettorale”. Conte risponde pacatamente ad ogni obiezione. Il massimo della rabbia lo esprime con: “Questo proprio no!”, quando obietta all’ex segretario del PD che la stipula del contratto e il governo che si è formato non può essere chiamato “inciucio”.
Non cita mai la famigerata “Legge Fornero”, non parla della scuola, ma utilizza le parole del professor Savona per dire che l’Italia rimane in questa Europa, che sarà vigile e critica, ma vi rimane. Nessuna uscita dall’Euro. Nessun timore. Si rassicurino i mercati.
Eppure le preoccupazioni sono tante, perché il programma di governo non è poi così aderente alle figure ministeriali che dovrebbero applicarlo. Le belle parole se le porta il vento… le belle intenzioni le spazza via la tempesta. I diritti sociali sono in pericolo ancora una volta tanto quanto i diritti civili: aborto, unioni civili e questioni relative alla mera umanità verso i migranti sono sul tappeto.
L’incremento delle spese militari fa poco ben sperare: la Nato non viene messa in discussione. Occidentalismo pieno coniugato con una apertura alla Russia di Putin. Contraddizioni in termine che la magia del “governo del cambiamento” sembra mettere da parte, dissipare, rendere innocue almeno per il momento.
Due forze di destra che propongono un cambiamento. Solitamente si è sempre avuto un arretramento sociale, un anti-socialismo da una impostazione simile.
Ma non siamo più nell’alveo del centrodestra classico, berlusconiano. Quello si è appena schiantato contro un muro ed è andato in tre pezzi: al governo con la Lega, all’opposizione diversificata dal voto in Aula con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Patriottismi nuovi crescono, scatolette di tonno si aprono. CasaPound dall’esterno sostiene “criticamente” il nuovo governo del cambiamento. Il termometro politico dovrebbe registrare questo “nuovo che avanza” con tanti pezzi di vecchio apparato politico nero.
Mentre il lato oscuro di una democrazia apparente avanza, la vera assente in questo parterre è l’opposizione. Soprattutto quella di sinistra. Il discorso di Grasso, condivisibile, non è purtroppo una voce incisiva ma puramente di testimonianza.
Del resto, oggi, la sinistra di alternativa, anche quella di cui facciamo parte noi comunisti, è mera testimonianza. Non è inutile. È in stato di passività.
Attenti a Conte. Può riservare delle sorprese. In negativo. Può ampliare il consenso di due forze di destra che si salderanno sempre più se ci sarà il Conciliatore Conte a fare da pontiere con la sua alta carica. E con la sua democratico-cristiana benevola pacatezza. 

MARCO SFERINI

6 giugno 2018

foto di Marco Sferini

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