I passi da gigante della deriva autoritaria

Il Paese è in fermento e le lotte si incrociano fra loro o, per meglio dire, camminano parallelamente, a volte si incontrano e altre volte invece si scrutano da...

Il Paese è in fermento e le lotte si incrociano fra loro o, per meglio dire, camminano parallelamente, a volte si incontrano e altre volte invece si scrutano da lontano perché hanno come obiettivo comune la critica verso il governo giallo-verde ma partono tanto da antefatti quanto da posizioni politiche e sociali molto differenti fra loro.

E’ il caso delle tre manifestazioni che hanno attraversato la Penisola ieri: da Torino a Roma a tante altre città italiane. Nel capoluogo piemontese 30.000 persone scendono in piazza per dire SI’ alla TAV: la vecchia gazzetta, quella che Gramsci chiama “la Bujarda”, fa una doppia copertina, esalta la mancata presenza dei partiti, delle loro bandiere, quindi una folla che si è quasi autoconvocata mediante i “social” e definisce ciò l’Italia che va ascoltata, quella vera, quella che anche esponenti di Forza Italia vedono come la sola piazza della “gente per bene”.

Brutta gente i NO TAV,  violenti, facinorosi, idealisti, sognatori: non sanno cosa sia il progresso, vogliono solo difendere una vallata e una Regione d’Italia dalla speculazione che sta tutta attorno ad un progetto dannoso per l’ambiente, per la salute, per tutte e tutti noi. Un progetto che ha il solo scopo di aumentare i profitti attraverso una linea ferroviaria ad alta velocità che sarebbe una lunga ferita non cicatrizzabile nel tessuto sociale, urbano e montano di una comunità che resiste da tanto tempo e che ora rischia di essere identificata politicamente con una parte del governo giallo-verde: con la parte gialla. Quindi la parte non innovativa, quella conservatrice, che dice NO alle grandi opere ma che poi, tutto sommato, questo NO lo converte in SI’ in Puglia…

Tutte contraddizioni che si intersecano, si vivono e si attraversano in diversi stadi umorali e quindi la confusione diventa grande e si finisce per scambiare lucciole per lanterne. Volutamente. Dispiace che i sindacati confederali si siano schierati a favore dell’alta velocità: la difesa del lavoro sacrificata ancora una volta sull’altare della salute, dell’ecologia e del benessere comune. Invece di svolgere un ruolo di classe mantenendo unite tutte queste priorità (lavoro, salute, ambiente e beni comuni), i sindacati assumono la stessa posizione dei poteri politici ed economici che vogliono una “grande” opera il cui rapporto costi/benefici sarà a vantaggio dei privati mentre le ricadute negative saranno subite tutte dalla popolazione della Valle di Susa e della cintura torinese.

Ma pare che Torino senza la TAV sia perduta e dunque il gioco serve a tanti: a chi muove da interessi economici fino a chi vuole mettere zizzania negli ambienti di governo e provare a separare Lega da Movimento 5 Stelle.

Nella stessa giornata a Roma si ritrovano oltre 100.000 persone: qui ci sono tutte le bandiere rosse e di mille colori, di partiti, associazioni, sindacati, movimenti. Dicono NO al decreto sicurezza di Salvini, dicono NO a Salvini stesso. Arrivano con treni, pullman, macchine. I pullman vengono fatti oggetto di controlli a tappeto: le forze dell’ordine li fermano prima dell’arrivo nella capitale. Perquisiscono, schedano i partecipanti, controllano zaini, striscioni. Guardano persino dentro ai sacchetti dei panini.

Un trattamento riservato sempre a quei facinorosi, a quella marmaglia rossa che se scende in piazza sicuramente qualche casino lo combina. Invece la manifestazione, come del resto centinaia di precedenti fatte in tutti questi decenni, riesce benissimo, sfila per Roma pacificamente: gli slogan sono a favore dell’umanità, dell’accoglienza, del senso civile perduto in una cultura dell’odio che viene seminata ogni giorno a pieni polmoni e che viene ribadita su Internet con messaggi urbi et orbi.

Il livello di accettazione dei tentativi di contenimento della libertà di espressione e di manifestazione si sta abbassando enormemente: ma agli italiani non interessa molto. Si avvicina la settimana del “black friday” e quello che conta sono gli sconti che le grandi catene commerciali faranno. Delle perquisizioni e delle schedature di chi vuole dire NO ad un decreto che contraddice le libertà costituzionali poco importa.

La gazzetta piemontese lo relega in dodicesima pagina, accanto ad un breve articolo, pari pari per battute, a quello sui “flash mob” organizzati da migliaia di donne e uomini in tutta Italia contro l’idea di famiglia del senatore Pillon, uno degli organizzatori del “Family day”: dalla tendenza (eufemisticamente parlando…) al rendere più complicato il divorzio, quanto meno in termini onerosi, fino alla assurdità del “genitore alienato”, il medioevo avanza prepotentemente e si fa largo tra decreti sicurezza e dichiarazioni sui giornalisti fatte da Di Maio in virtù dell’assoluzione di Virginia Raggi.

E’ il concetto di “editoria pura” che sfugge. O meglio, non sfugge proprio, si mette bene in evidenza che l’editoria oggi è troppo libera di criticare, di agire secondo standard costituzionali e, sebbene dispiaccia a tutti a volte finire nel tritacarne giornalistico che spesso è impreciso nel riportare le notizie: ma un Paese con una stampa addomesticata e resa compiacente alle politiche governative è un Paese dove non può esistere nessuna libertà sostanziale, sociale perché viene negata anzitutto quella civile e morale, quella di esprimere il proprio pensiero e di poterlo fare senza il terrore di un potere che sovrasta le tastiere delle redazioni, le teste dei giornalisti, le penne e i taccuini dei “freelance”.

Dunque, il Paese è in fermento, le lotte si incrociano, si scrutano, percorrono vie parallele ma lontane fra loro. Tutto ciò in un contesto economico laddove la manovra rimane così come è: le critiche dei grandi luoghi dell’economia intercontinentale, della cosiddetta “Europa”, laconicamente ridotta ad una espressione politica, geografica e sociologica in un unico termine dal sapore dello spregio, non sono recepite dal governo. Sono rimandate al mittente. Per ora.

A fine serata il ministro dell’Interno scrive un “post” su Facebook (se ne sentiva la mancanza…), testuale:
“Corteo contro il #DecretoSalvini a Roma: bandiere rosse, centri a-sociali, musica “etnica” e “L’Internazionale”, cori “Odio la Lega”, kompagni “presunti profughi” (speriamo tutti regolari) e insulti di ogni tipo contro di me.
Tutte medaglie, Amici!
Confermo anche agli “amici” in piazza: la pacchia è STRA-FINITA! 😉
#primagliitaliani.

Chissà se De Gasperi, Scelba, Fanfani, Tambroni, Rumor, Restivo, Cossiga, Scotti, Mancino, Ciampi avessero avuto Facebook all’epoca cosa avrebbero scritto… E l’elenco si ferma qui, perché immediatamente dopo inizia il tempo dei Maroni, Scajola, Alfano, Pisanu… per finire con Minniti e Salvini.

Non vi preoccupate: il Paese si sta avvitando in una pericolosa deriva autoritaria, ma intanto distraetevi, non pensateci. C’è il “black friday” e tutto va bene… madama la marchesa!

MARCO SFERINI

11 novembre 2018

foto tratta da Pixabay

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