Gli interessi convergenti degli investimenti italo-cinesi

Dal 2017 la frenata cinese per controllare meglio il processo degli scambi commerciali. L’Italia è al terzo posto dopo Gran Bretagna e Germania per le somme ricevute
L'"esercito di terracotta" nella tomba del primo imperatore cinese Qin a Xi'an

È un discorso di Teng Tsiao Ping del 1978 a dare il via ad uno dei più grandi sommovimenti economici della storia. Ripercorriamone l’andamento e i cambiamenti.

Nell’ambito di una crescita impetuosa, il ruolo degli investimenti esteri delle imprese del paese è molto mutato nel tempo. Dal 1979 al 2010-2011, sono stati gli investimenti in entrata ad essere privilegiati dal governo e le imprese Usa, europee, asiatiche hanno fatto a gara per entrare nel paese. Poi, tra il 2012 e il 2016, consolidate ormai le basi dello sviluppo, le imprese cinesi hanno cominciato a investire fortemente all’estero. Accanto al settore delle materie prime, si è poi affermato quello verso l’acquisizione di tecnologie e lo sviluppo delle infrastrutture. Così, mentre nel 2010 in totale le aziende del paese avevano impegnato 2 miliardi nel nostro continente, nel 2016 la cifra era salita a 36 miliardi.

L’Italia figura oggi al terzo posto, dopo Gran Bretagna e Germania e prima della Francia, per le somme ricevute. Ma dal 2017 ad oggi stiamo assistendo ad una riduzione, una frenata imposta dalle autorità da collegare al fatto che lo sviluppo del periodo precedente era stato in molti casi disordinato e affannoso; il governo vuole ora controllare meglio l’intero processo.

L’interesse verso il nostro paese riguarda alcune imprese grandi e medio-grandi, ma anche aziende di piccole e medie dimensioni, che presentavano però un qualche interesse nel campo delle tecnologie. Tra i casi più rilevanti ricordiamo, nel 2015, l’acquisizione da parte della ChemChina della quota di maggioranza della Pirelli, costata più di 7 miliardi di dollari. Nel 2014 è stato acquistato il 40% dell’Ansaldo elettrica. China State Grid ha rilevato il 35% di Cdp Reti per quasi 3 miliardi di euro. Ricordiamo ancora l’acquisizione dei cantieri Ferretti, i più importanti d’Europa nel loro settore. E l’acquisto della Esaote Biomedica alla fine del 2017; infine qualche acquisizione nell’agroalimentare (marchio Berio), nella moda (Krizia), negli elettrodomestici (Candy), nello sport (l’Inter).

Al di là di qualche situazione problematica, gli investimenti cinesi in Italia hanno dato sino ad oggi risultati più positivi della media per quanto riguarda l’andamento post-acquisizione dei ricavi, degli investimenti, degli utili, dell’occupazione. In ogni caso, anche la Cina ha potuto così partecipare alla magnifica vendita all’asta, in corso da diversi anni, dei pezzi più pregiati del nostro sistema economico.

Forse altrettanto importante è l’elenco delle imprese nelle quali la Cina è entrata è quello delle società che non è riuscita ad acquisire. Qualche anno fa la Haier avrebbe voluto conquistare la Ariston (elettrodomestici), ma la sua offerta fu respinta a favore degli statunitensi della Whirlpool, anche se quella asiatica era migliore. Anche nel caso della cessione dell’Ansaldo ferroviaria, all’offerta cinese fu preferita quella di un’impresa giapponese.
Immaginiamo anche l’interesse presente da tempo dei cinesi per il gruppo Fiat-Chrysler, ma in questo caso c’è l’ostilità di Trump; forse l’investimento si potrebbe limitare alla parte Fiat, ma in questo momento sembrano prevalere le azioni della francese Psa (a partecipazione anche cinese). Nell’ambito automobilistico va segnalato un forte interesse per l’acquisizione del Comau, ma la questione appare delicata.

Ricordiamo infine la storia eterna dell’Alitalia, a cui nessun vettore sembra oggi veramente interessato. Anche in questo caso pensiamo che un’impresa cinese potrebbe essere la scelta migliore.

Con la venuta del presidente cinese in Italia si parla di una trentina di accordi che dovrebbero essere firmati in questi giorni e che riguardano diversi settori.

Ricordiamo intanto che la marea delle merci cinesi che arriva in Europa e quella meno rilevante, ma sempre importante, che parte per il continente asiatico, passa per la gran parte per i porti del Nord Europa. Questo nonostante che l’imbarco-sbarco in quelli italiani porterebbe a minori costi e a tempi più rapidi. Il fatto è che sino a oggi il nostro paese ha colpevolmente evitato di occuparsi della vicenda.

Ora la Cina manifesta un forte interesse in particolare verso Trieste e Genova e questa via dovrebbe essere imboccata con più decisione per le grandi ricadute che essa potrebbe avere. L’accanimento dell’Unione Europea verso il nostro accordo con la Cina ha molto a che vedere con l’obbedienza a Trump, con la paura della perdita di quote di mercato per i porti tedeschi ed olandesi.

L’altra grande questione riguarda l’emissione da parte della Cdp dei “panda” bond, attraverso i quali i cinesi contribuirebbero a finanziare un rilevante programma di infrastrutture nell’ambito della Belt and Road Initiative.

Mancano informazioni invece sul settore turistico, ma ricordiamo che quest’anno i turisti cinesi all’estero dovrebbero essere intorno ai 150 milioni e che ancora oggi pochi fra di essi scelgono i nostri lidi. Di nuovo soprattutto per il nostro disinteresse.

VINCENZO COMITO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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