Fascismo e neofascismo: la chiusura del cerchio?

La lettura di molte rievocazioni e analisi che sono state dedicate, in questi giorni, al centenario della fondazione dei fasci di combattimento ha suggerito una riflessione sulle “linee di...

La lettura di molte rievocazioni e analisi che sono state dedicate, in questi giorni, al centenario della fondazione dei fasci di combattimento ha suggerito una riflessione sulle “linee di faglia” che hanno attraversato il sistema politico italiano nel corso di un secolo.

Una riflessione in conclusione della quale ci si può rivolgere una domanda: ci troviamo forse nella condizione di una sorta di “chiusura del cerchio” rispetto alla fase di origine del fascismo?

Riassumo brevemente il filo di un ragionamento che pure appare molto complesso da sviluppare e che forse meriterebbe maggior livello di argomentazione.

Andando però per ordine e per sintesi.

Il fascismo nasce sulla frattura interventisti/neutralisti verificatasi sul piano europeo all scoppio della prima guerra mondiale.

Il PSI italiano, al contrario dell’SPD e del PSF (l’Italia entra in guerra un anno dopo la Francia e la Germania), non vota i crediti di guerra e non entra in alcuna “union sacrée”.

Il PSI porterà questa sua posizione avanti fino a partecipare ufficialmente alle conferenze pacifiste di Zimmerwald e Kienthal egemonizzate dai rivoluzionari russi che nel 1917 riusciranno a dare vittoriosamente l’assalto al “Palazzo d’Inverno”.

Alla posizione dei socialisti ufficiali si opposero forze disomogenee tra socialisti interventisti, sindacalisti rivoluzionari, futuristi, decadentisti dannunziani in nome del “vitalismo”, della “giovanilismo”, della necessità di “non perdere l’appuntamento con la storia”.

Saranno questi soggetti a guerra finita, in nome dell’antipolitica da esercitarsi rispetto ai partiti in allora esistenti (e in particolare rispetto al PSI), della “vittoria mutilata”, dell’arditismo cresciuto nel corso degli eventi bellici a dare origine al fascismo: forze tra loro contraddittorie, confuse, prive di un ordine strategico preciso.

Si potrebbe riassumere che, alla fine, con il fascismo trionfa una sorta di “antipolitica situazionista” che rapidamente mette radici e si trasforma in regime approfittando una fase di fortissimo sbandamento sociale.

Mi rendo ben conto delle semplificazioni e me ne scuso ma non si può non evitare, leggendo questi passaggi appena enunciati nella loro schematicità, ad avere di fronte nell’attualità uno stato di cose che sembra quasi chiudere il cerchio con gli esiti degli avvenimenti di allora.

Troviamo indubitabili analogie nella velocità della presa del potere e della rozzezza delle argomentazioni con cui M5S e Lega si sono misurati con l’attualità.

Attualità contraddistinta da uno scompaginamento sociale dal quale emerge una forte richiesta di “democrazia del pubblico” che i mezzi di comunicazione di massa hanno presto mutato in “democrazia recitativa”.

Renzi aveva avuto l’intuizione del muoversi delle cose in questa direzione ma non era riuscito ad adeguarsi al trend limitandosi a un buffo populismo.

In questo contesto non registriamo forse un ritorno proprio a quell’antipolitica situazionista sulla base della quale il fascismo prese le mosse e consolidò il proprio modo d’essere ponendosi direttamente come elemento di semplificazione del potere di fronte alle masse?

Abbiamo avuto nel tempo altri punti di divisione verticale nel nostro sistema: dagli anni’50 quella riferita alla divisione del mondo in blocchi; poi quella segnata da provincialismo nel momento del rapimento Moro fra trattativa e fermezza che pure aveva dentro elementi di contrapposizione nella concezione dello Stato.

Questo soltanto per fare degli esempi.

Poi alla caduta del Muro di Berlino si è aperta una situazione affatto diversa da quella segnata dalle linee di faglia: trionfò, infatti, il “pensiero unico”.

L’idea vincente negli anni’90 era quella che si fosse alla “fine della storia” e che ormai non vi fosse altra strada che quella dell’appoggio al solo gendarme rimasto al mondo e all’espansione dell’Unione Europea come sede di un grande indistruttibile mercato, compiendo il destino di un capitalismo dalle “magnifiche sorti e progressive”.

Le reazioni a questo “pensiero unico” poteva essere diverse e anche alternative ma la replica più forte, nel reiterarsi del provincialismo italiano, è stata proprio quella del “ritorno all’indietro”.

Sembra aver vinto proprio la replica lanciata dall’antipolitica.

Una replica capace, nelle sue espressioni più forti, di afferrare la situazione dettata dalle contraddizioni emergenti ponendosi come riferimento di una semplificazione nelle idee e negli atti sulla base della quale affermare un’egemonia e in prospettiva un regime.

Tutto questo si è verificato in un quadro generale di mutamento sul piano internazionale attraverso quello che, sempre schematizzando, è stato definito “ritorno alla geopolitica” all’aprirsi di un nuovo livello di competizione tra le grandi potenze verificatosi in coincidenza di un apparente ritrarsi degli USA che avvertono il declino del cosiddetto “ciclo atlantico”.

Ci troviamo quindi schiacciati tra il persistere dell’opzione liberista fino a ieri frutto del “pensiero unico” e dell’egemonia della democrazia occidentale e l’avanzare di un pericoloso situazionismo di regime che sembra aver raccolto tutti gli “ismi” che avevano caratterizzato il 1919 (in particolare quello più pericoloso: il fascismo).

Così sembra chiudersi il cerchio aperto a suo tempo dall’interventismo del “carpe diem” e del “bel gesto romantico”.

Sarà possibile ancora avviare una riflessione su di una possibile “terza via”?

FRANCO ASTENGO

24 marzo 2019

foto tratta da Pixabay

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