Era Trump. Anzi è… E un appello per Leonard Peltier

Cominciano a chiamarla l'”era Donald Trump” e, sicuramente, ben presto diventerà un mantra su giornali, teleschermi e Internet. Il cambiamento è indubbiamente notevole, non fosse altro per la differente...

Cominciano a chiamarla l'”era Donald Trump” e, sicuramente, ben presto diventerà un mantra su giornali, teleschermi e Internet. Il cambiamento è indubbiamente notevole, non fosse altro per la differente caratterizzazione anche solo stilistica che denota i due presidenti: Barack Obama è un elegante uomo di mezza età, rappresentante della borghesia affaristica ed imprenditoriale americana, della classe media che tenta e spera sempre nel “sogno americano” del “self made man” (e la sua ascesa alla Casa Bianca otto anni fa ha dimostrato che il sogno del “sogno americano” stesso a volte è possibile… seppur tra mille contraddizioni), mentre Donald Trump è un magnate delle costruzioni, un capitalista a tutto tondo, uno che ama il wrestling e che partecipa, promuove e conduce programmi televisivi.
Se non fosse altro che per la distanza temporale e quella anche politica propriamente detta, ricorderebbe un poco Ronald Reagan nella spavalderia, nella capacità mediatica di imporsi con argomenti estremizzati, estesi all’esasperazione dei concetti: dalle questioni più interne della repubblica stellata, come i rapporti razziali, le assistenze sociali sanitarie, una certa attenzione alla produzione economica legata alle preoccupazioni per l’ipersfruttamento dell’ambiente, fino a quelle di politica estera con minacce esclusivissime al Daesh, all’Unione Europea, alla Nato, alla stabilità creata da un potere dirigente fatto non solo di senatori e deputati del Congresso, ma di sostegni economici enormi: Wall Street attende certamente il discorso presidenziale di Trump per scommettere su vendite e acquisti di azioni d’ogni tipo.
Dunque, una qual certa differenza esiste tra Barack Obama e Donald Trump, ma si tratta sempre e solo di una diversità di metodo, perché già nel merito, dopo la notte elettorale che lo ha consacrato “presidente eletto”, l’amico dei wrestler usava toni pacati e politicamente corretti mentre era circondato dal suo vice, dai famigliari e con davanti una folla di sostenitori esultante per una vittoria, in un certo senso, non troppo sperata, forse un poco inattesa, ma sicuramente galvanizzante un settore di destra sociale, xenofoba e anti-sistema del paese che si è sentita protagonista nelle frasi anatemizzanti del padrone della Trump Tower.
Trump giura che costruirà il muro al confine tra Messico e Stati Uniti; giura che vuole rivedere il ruolo della Nato radicalmente, perché non servirebbe più a niente così come è oggi; giura che Putin gli è simpatico e prima smentisce, poi afferma che hackers russi sono penetrati nel sistema informatico americano per condizionare il voto dello scorso anno. Una storia spionistica degna di Edward Snowden o Julian Assange: intrighi segreti, intromissioni in altri computer, server, poste elettroniche degli staff della comunicazione ora di questo ora di quel candidato… E nel bel mezzo gli scandali elettorali, quelli cioé che vengono creati ad arte per screditare l’avversario. A volte ci si riesce, altre volte sono boomerang.
In questo caso, forse, Hillary Clinton e Donald Trump hanno giocato una partita con poco rispetto del regolamento dettato dalla cosiddetta “democrazia delle elezioni primarie”.
Come non può fare altro stato al mondo che si definisca liberale, democratico in senso lato ed anche in senso stretto, gli Stati Uniti d’America proprio nell’elezione del presidente mostrano tutte le loro contraddizioni interne tuttavia bilanciate abilmente da una Costituzione ricca di emendamenti, quindi di correttivi che si sono resi necessari nella breve storia di una nazione giovane nata sulla conquista e l’assemblaggio di territori un tempo colonie francesi e spagnole dove era tollerata la presenza autoctona dei cosiddetti “indiani”.
Proprio in questi giorni Amnesty International ha rilanciato un’appello che, più o meno in una forma simile, poteva capitare di leggere già venticinque e più anni fa… Un appello per Leonard Peltier, un nativo americano, più nativo certamente di quanto vanti d’esserlo Donald Trump. Accusato di due omicidi mai commessi (come è stato dimostrato dalle prove balistiche e da testimoni che la giustizia americana si è rifiutata di prendere in considerazione), Leonard è in carcere da 41 anni da innocente, così come lo è stata per quasi trent’anni Silvia Baraldini, al pari di Mumia Abu-Jamal. Possono essere solo nomi per molte e molti: allora vale la pena informarsi un attimo e fermarsi sulle loro storie per capire che la “grande democrazia” americana ha commesso “errori” di cui poi nei casi “migliori” (scusate tutte le virgolette ma quando si parla degli Usa sono quasi d’obbligo…) si è arrivati al riconoscimento del torto di Stato settant’anni dopo le condanne a morte (Sacco e Vanzetti) o, come nel caso dei coniugi Rosenberg, mai.
Leonard Peltierm è un “indiano”, un autoctono dunque, un “nativo” e dal 1975 è chiuso in carcere per qualcosa che non ha mai commesso. Ma non gli viene data possibilità di dimostrare tutto questo e non gli viene neppure concessa la grazia. Può darla il presidente.
Noi siamo una piccola voce forse, ma vogliamo oggi spenderla per Leonard e per tutti coloro che sono perseguitati dalla “giustizia” di uno Stato: ormai Barack Obama non può più dare la grazia a Peltier. Se davvero Donald Trump ama i nativi americani, gli americani “veri”, conceda la grazia all’indiano Leonard, ad un uomo di ormai 73 anni a cui è morto in questi giorni il figlio più giovane che non ha mai conosciuto…
Apra la presidenza con un gesto che forse ne contraddicerebbe la fama di duro e puro americano, che sicuramente non ci farebbe cambiare idea su chi e cosa rappresenta Donald Trump, ma che restituirebbe la vita ad un uomo che nonostante tutto quello che ha subìto non ha mai pronunciato una parola contro i “bianchi”, contro quei conquistatori che sono diventati i padroni di una nazione che esporta la democrazia così bene come la amministra in casa propria… Buona era Trump a tutte e tutti, soprattutto agli americani…

MARCO SFERINI

20 gennaio 2017

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foto tratta da Pixabay

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