E’ il tempo di ricominciare

Mentre è in atto il difficile tentativo di Bersani e mentre ciò che rimane della sinistra radicale sembra sostanzialmente paralizzato ed afono, proviamo – si spera a mente più...

f7f7624bc2dd81c0dc2267e3d6972222Mentre è in atto il difficile tentativo di Bersani e mentre ciò che rimane della sinistra radicale sembra sostanzialmente paralizzato ed afono, proviamo – si spera a mente più fredda – (e tenendo in gran conto ciò che le analisi e gli studi sul voto ci hanno spiegato) a tornare a ragionare sulla situazione politica in cui siamo. Quando nel voto di un Paese si registra – come avvenuto nel voto italiano di Febbraio – uno spostamento così imponente di elettori è difficile ignorare i segni inequivocabili di una crisi di sistema. Le democrazie consolidate raramente vedono una mobilità elettorale così elevata e anche quando spostamenti significativi si determinano di solito premiano una parte politica rispetto ad un’altra ma prevalentemente dentro la continuità di cornice istituzionale.
L’articolazione (più che frammentazione, che mi pare termine meno appropriato a definire il quadro che si è determinato) che invece caratterizza in questo momento il quadro politico italiano è un complesso incastro che ha messo più o meno sulle stesso piano numerico (l’impatto politico è ovviamente cosa ben diversa) ben tre parti politiche, tutte sufficientemente consistenti per rivendicare una propria centralità e ognuna di esse abbastanza incompatibile con le altre due. Inoltre la estrema provvisorietà del consenso che ogni formazione sente di aver ricevuto (e la consapevolezza della possibilità di perdite fulminee di voti e simpatie) spingono le tre realtà politiche ad una prudenza intimorita che ne mina ovviamente ogni margine di manovra e di sostanziale autonomia. Non si tratta, dunque, di forze politiche fedeli ai mandati elettorali ricevuti ma forti e legittimate a muoversi sulle ali di quella fiducia, piuttosto di forze che sono terrorizzate che ogni azione creativa di ricerca di soluzioni allo stallo possa provocare dissensi ed abbandoni elettorali repentini.
Non solo Grillo appare di fatto impossibilitato a mettere in cammino la sua forza (dove, come, se il suo composito elettorato e persino l’area di militanza più ristretta è divisa sulle alleanze più o meno a meta?). Anche il Pd in realtà vive lo stesso problema (al di là del merito la impossibilità per il Pd di ipotizzare un confronto con il partito di Berlusconi, sotto il profilo della manovra politica, equivale esattamente alla impossibilità di Grillo di aprire al confronto col Pd). Per paradosso, in questa condizione politica da “sequestrati”, chi sta meglio è proprio il cavaliere.
Le caratteristiche del proprio elettorato (vuoi perchè meno sensibile al politicismo degli scandali vuoi perché più preoccupato e attento ai problemi del reddito e dell’economia), il dimagrimento di consensi che si è già realizzato nel voto di febbraio, il suo maggior dominio su partito ed elettori rimasti, consentono a Berlusconi un margine di manovra che gli altri non hanno e che potrebbe risultare decisivo sia per “inchiodare” il Pd a una qualche intesa sia ad apparire il più responsabile e interessato a risolvere i problemi in caso di voto.

Che la dimensione politica nel suo complesso risulti così imprigionata e impaurita dai propri stessi elettori, come è evidente, non è un segno di vitalità democratica e rende difficile l’esercizio stesso del compito della politica. Compito della politica che, in ultima analisi, partendo da visioni differenti e tenendo conto dello svolgimento e dell’esito del conflitto politico e sociale, è quello di provare ad avvicinarsi il più possibile a qualcosa che sfiori l’interesse generale.

La crisi odierna dell’Italia registra così un punto drammatico e l’impetuosa ascesa del Movimento di Grillo, almeno da questo punto di vista, più che fattore di sblocco ne è un elemento di ulteriore accentuazione. L’ impossibilità per l’ex comico di fare passi politici di ogni natura oltre che una sua scelta è un comportamento obbligato e mostra che il Movimento cinque stelle è esso stesso in fondo vittima della crisi grave di legittimazione della politica dalla quale ha raccolto linfa. Come se ne esce?

Francamente sul breve sono abbastanza pessimista. Si potrà fare un governo che duri qualche mese o un po’ di più, si potrà registrare il fallimento del tentativo di Bersani, si potranno fare altri passi, resteranno però i nodi strutturali che hanno determinato e che segnano questa situazione. Allora la strada possibile mi sembra si possa scorgere su un tempo un po’ più lungo, non biblico intendiamoci (la partita infatti si gioca anche dentro questo passaggio complicato che può portare nuovamente al voto). E però senza introdurre nel quadro bloccato qualche elemento che smuova qualcosa mi pare difficile ipotizzare varchi.

LA CRISI SOCIALE DELL’ITALIA

La crisi sociale del Paese sembra davvero profonda. La crescita complessiva di cui l’Italia è stata capace più o meno per un cinquantennio sembra un ricordo. C’erano problemi ed errori (a volte anche orrori) ma la nave andava. Ma quello era un altro mondo. Nella composizione della società, nei modelli produttivi e dell’economia, nel rapporto tra le città e le campagne, nell’assetto degli stati nazionali, nella legittimazione di classi politiche pur in conflitto asperrimo tra loro. Da tempo il Paese ha mutato il suo profilo. E’ avvenuto anche altrove, e dunque anche negli altri principali Paesi europei nostri partner. Da noi è avvenuto in forme meno dirompenti di quelle che investirono l’Est europeo e, più di recente, l’area nordafricana, ma senza tenere il passo , però,con Paesi come Germania e Francia.
Lì, pur alle prese con cambiamenti in parte simili ai nostri (il modello economico trans nazionale e la rivoluzione della comunicazione che hanno reso più debole la sfera pubblica del potere e della politica, la crisi finanziaria che prima che nei conti correnti ha inciso nella psicologia delle persone) almeno per ora reagiscono meglio grazie alla loro maggiore propensione alla coesione nazionale. Il nostro Paese di fronte a questi fatti inediti sembra essersi smarrito, ripiegato in se stesso, perfino mescolato nelle sue caratteristiche sociali (dirà pure qualcosa il fatto che lavoro dipendente ed imprenditoria diffusa negli ultimi vent’anni si siano ritrovati prevalentemente a destra o, oggi, con Grillo, e che alle sinistre restano i dipendenti pubblici, i liberi professionisti e un po’ di intellettualità diffusa). Sui tempi brevi occorrerà pur fare qualcosa, ma sono convinto che senza una riarticolazione politica e sociale che riposizioni in forme diverse blocchi sociali e offerte politiche difficilmente usciremo dal tunnel in cui siamo. Anche per questo credo sia un delitto l’immobilismo delle aree che costituirono la vecchia sinistra radicale o peggio ancora il patetico tentativo di alcune loro frazioni di rilegittimarsi ai margini di operazioni di radicalizzazione separata (e insensata) tipo le cose in cui sono soliti esercitarsi (sempre allo scopo di fatto realizzato di dividere e indebolire a sinistra) i Flores D’Arcais, i Furio Colombo o i Marco Travaglio.

UNA NUOVA COMPOSIZIONE DÌ CLASSE

E’ invece tempo di rimettersi in cammino, provare a trovare percorsi insieme più inediti e più tradizionali, rileggere i processi che stanno cambiando e rideterminando la composizione sociale del Paese, avere un ragionamento limpido sulla necessità di una dimensione europea per far fronte al nuovo assetto del Mondo (senza la quale da qui a una ventina d’anni né l’Italia, né la Francia, né la Germania, sarebbero neppure più parte del G8), ma dire anche con altrettanta chiarezza come e in che direzione questa integrazione deve andare per cessare di apparire ai popoli una minaccia ed essere invece vista come una grande possibilità sociale. Non è facile è ovvio, ma non c’è altra via. Riguarda tutti a sinistra, e per la parte che compete loro riguarda, ne sono convinto, anche le forze del cattolicesimo politico che, come dimostra la transizione feconda in atto nella chiesa, se escono dal politicismo e reincontrano La società reale e la fede, possono ancora pesare in Italia.
Questo, in fondo, significa prendere atto, io credo, che ormai nulla sarà come prima. Può apparire contraddittorio un discorso che da un lato guarda (è questo che, come si sa, da tempo propongo) all’assetto politico istituzionale tutto sommato novecentesco delle socialdemocrazie, verso cui penso occorra orientare l’impegno a sinistra nell’immediato, e che dall’altro segnala la necessità di leggere i processi strutturali profondi che cambiano tutto. Ma in realtà le due cose si tengono. L’ancoraggio al socialismo europeo serve a stare, almeno idealmente, “vicini” al lavoro e a resistere alle sirene del radicalismo liberaldemocratico. La tensione a indagare ed esplorare i processi sociali profondi aiuta, invece, a comprendere che la rimessa in connessione tra sinistra e ceti più deboli non è operazione politicista e neppure scontata.
Saranno forse in realtà i processi storici (in tutto il globo) a produrre via via le condizioni di un nuovo movimento del lavoro, inedite forme di rappresentanza sindacale, una nuova consapevolezza di se delle forme odierne del lavoro dipendente. Non è che il precariato che si è diffuso in Europa, i rapporti di lavoro dispersi e a volte invisibili, le mille tipologie contrattuali, la compresenza in uno stesso soggetto in molti casi della condizione di sfruttato e di sfruttatore (bellissimo e istruttivo quel film di Ken Loach in cui quella ragazza inglese dopo vari lavori subordinati e super sfruttati si mette in proprio e diventa un “caporale” che a sua volta seleziona con cinismo mano d’opera a bassissimo costo soprattutto immigrata), che delinea una condizione disperatamente frantumata del nuovo proletariato europeo, l’affronti perché predichi la rivoluzione o perché ti accanisci contro Berlusconi in piazza con Padellaro e la De Gregorio,e con la signora viola (o arancione) che arriva lì con bicicletta alla moda e cane di razza al guinzaglio.
Prima di nuove rappresentanze efficaci serviranno altri passaggi, compresa la sedimentazione nei Paesi economicamente emergenti di strumenti, oggi assenti, di tutela del lavoro vivo che alzando il suo prezzo e il suo valore può avere un effetto sullo squilibrio prodotto dalla globalizzazione.
I minatori barricati in miniera o gli operi disperati sulla gru non sono il segno (come qualcuno, anche tra quegli stessi lavoratori, pensa di una insensibilità sindacale, per cui basta andarli a trovare e il problema è risolto). Quei gesti disperati segnano una condizione dell’epoca nuova (non tutto il nuovo dunque va bene). Per questo servono insieme le due cose. Attivare tutti gli strumenti residui per fare protezione sociale (a questo serve la socialdemocrazia e una diversa idea dell’Europa) e spingersi sul terreno più ambizioso di una nuova inchiesta di classe.

UNAPROPOSTA POLITICA DI DISCUSSIONE

Ciò che davvero non serve è proprio quel terreno intermedio che ha provato ad occupare la sinistra radicale negli ultimi anni, fatalmente ridottosi e risucchiato dal radicalismo liberaldemocratico. Arrogante nella sua pretesa di distinzione a sinistra ma al tempo stesso incapace di uno sguardo lungo sulla nuova composizione di classe che potrà col tempo prodursi nel mondo. Parlo di noi ma il nodo riguarda anche il Pd, o almeno alcune sue parti.
Al di là del contingente (nel quale pure bisogna attrezzarsi per dare risposte) è questa riarticolazione sociale e politica che può essere obiettivo serio a sinistra. Vedremo col tempo che cosa vien fuori. Intanto occorre sgombrare il campo dagli equivoci che hanno paralizzato forze di classe su un campo rissoso e aclassista, pensare anche nell’immediato ad una inedita offerta politica più segnata dalle preoccupazioni e culture che ho qui richiamato.
Oggi, se necessario, per concorrere nelle scadenze immediate al fianco di Vendola e Pd per strappare terreno a Grillo e alle destre, ma con l’ambizione di attraversare e trasformare tutto il campo della sinistra italiana. Culture critiche e del lavoro attraversano ancora i soggetti politici e sociali esistenti (Pd e Cgil soprattutto) ma la gran parte di un moderno proletariato diffuso va ricercato e ricomposto, senza soggettivismi impazienti dentro il processo naturale e profondo accennato.
Un impegno di lunga lena quindi. Che non viva la frustrazione di chi si sente scippato di qualcosa dall’irrompere di Grillo e che non pensi di scimmiottarne i metodi né, al contrario, di individuare lì solo un nemico. A questo impegno sono tante le energie (dentro e fuori le forme politiche odierne) che possono essere interessate. Un percorso che attraversi, con la forza persuasiva della nuova ricerca del lavoro per farne l’ossatura materiale su cui ricostruire una identità comune del Paese, tutti i soggetti politici e sociali che oggi sono più o meno in campo.
Un impegno profondamente unitario che eserciti la sua radicalità e irriducibilità di classe non sul terreno della distinzione politicista ed elettoralistica ma su quello della ricerca delle nuove forze del lavoro contemporaneo. Sapendo che nessuna predicazione testimoniale è consentita. Uso, quando possibile, delle leve anche minime del governo (cassa integrazione in deroga da rifinanziare ed esodati non aspettano) progettualità chiara sull’Europa che ne pieghi in tempi politici la curvatura rigorista che alimenta populismi di ogni segno, esplorazione della composizione sociale del Paese, e del lavoro, per ricostruire intrecciata ad essa il rinnovamento delle rappresentanze e delle offerte politiche che non può essere solo un rinnovamento generazionale ed anagrafico pure necessario. Da tempo, come si sa, penso queste cose.
Non credo siano il vangelo ma una traccia di lavoro interessante si. Il gruppo raccolto intorno all’esperienza sindacale del movimento per un partito del lavoro sta approfondendo il tema ( ho seguito da osservatore la loro assemblea nazionale tenuta nel fine settimana ). Appare evidente che forze importanti dentro la Cgil e il Pd non sono molto distanti da questa ispirazione, aree di quadri ancora vitali dentro il Prc e i comunisti italiani (da Essere Comunisti a frange del PdCI) sembrano riflettere con la stessa acutezza e responsabilità. Anche l’area di Sel, meno attenta al lavoro, malgrado Landini, è comunque in questo solco. Nell’immediato questo insieme di forze deve trovare il modo di convergere insieme, con un’unica coalizione, per fare massa critica da contrapporre (anche nei numeri elettorali se si andrà al voto) e deve, certo, occuparsi anche dell’umore del Paese sul tema emergente della critica alla politica e ai suoi costi e ai partiti. Tenendo bene la barrà, però, nella direzione delle innovazioni future che la crisi sociale e quella economica renderanno improcrastinabili di fonte alle diseguaglianze radicali che attraversano il mondo.

VITO NOCERA

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