Divisi su tutto. Il governo gialloverde maionese impazzita

La vendetta lombarda. Dai migranti al reddito di cittadinanza al Tav. E si apre anche il fronte trivelle. La Lega: no all’emendamento del Mise

Tra i gialli e i verdi è guerra su tutti i fronti. Il consiglio dei ministri che ieri avrebbe dovuto varare il decreto su quota 100 e reddito di cittadinanza non è slittato, come previsto, a oggi: il testo definitivo non sarebbe stato pronto comunque. Appuntamento rinviato alla prossima settimana. Lo scoglio sono quei fondi per le pensioni di invalidità senza i quali la Lega giura di essere pronta a fare a striscioline le riforma-bandiera dei 5S.

Di Maio tranquillizza garantendo che quei soldi salteranno fuori, anzi sono già in cassaforte grazie a un «tesoretto» in possesso del governo. In un modo o nell’altro le coperture si troveranno davvero ma la soluzione del problema non eliminerà neppure una nuvoletta dal cielo tempestoso che rende oscuri il presente e il futuro della maggioranza gialloverde. Proprio come non è servito a niente l’accordo-pecetta raggiunto nella notte tra Conte, Salvini e Di Maio sui profughi della Sea Watch e della Sea Eye. Quel vertice, al contrario, ha certificato la profondità di una lacerazione non più ricucibile. Nella migliore delle ipotesi si potrà tenere il governo in vita artificiale ancora per qualche mese, ma neppure il traguardo delle europee è ormai certo.

Ieri fonti anonime ma qualificate del Carroccio spiattellavano alle agenzie che «una situazione così comica non può durare», senza nemmeno più escludere l’eventualità di una crisi dopo le elezioni in Abruzzo anche prima di elezioni europee viste ormai però come ultimo traguardo. Salvini smentisce, giura che non c’è nessun rischio di crisi. Ma a porte chiuse svela umori assai meno rosei. «Questi iniziano ad avere posizioni incomprensibili su tutto», sbotta. Musica per le orecchie di una parte sostanziosa e fondamentale della Lega, ai vertici come alla base. La crescente insofferenza nei confronti di Di Maio accomuna l’ala governista di Giorgetti e Zaia e la base produttiva del nord e del nord-est, che della Lega resta il core business. Dopo lo sgambetto di Conte e Di Maio sui migranti si sono messi in fila in parecchi per chiamare «il Capitano» ripetendo tutti: «Ti stanno fregando».

A determinare l’improvviso precipitare di una situazione comunque fragile sono stati due elementi, il primo prevedibile, il secondo un po’ meno. L’avvicinarsi della campagna elettorale, con i 5S nel panico per l’emorragia di voti, ha imposto una sterzata a sinistra, essendo il campo opposto già tutto occupato da Salvini, e allo stesso tempo ha reso inevitabile un’impennata degli atteggiamenti conflittuali. A esacerbare un problema che si sarebbe posto comunque è arrivato il nuovo ruolo di Conte, che dalla trattativa europea sulla manovra in poi ha deciso di provare a fare davvero il capo del governo. Ma per questo è costretto a fare sponda con Di Maio, sacrificando quel ruolo di «pacificatore» che aveva sin qui agevolato la navigazione della barca gialloverde.

Ora invece i fronti di guerra si moltiplicano. La partita su reddito e Quota 100 proseguirà ben oltre la presentazione del decreto. La Tav si profila ogni giorno di più come terreno minato. La Lega sabato sarà in piazza con i Sì-Tav, Salvini si schiera a favore del referendum in caso di blocco dei lavori e il capogruppo alla Camera Molinari non la manda a dire: «Va realizzata».

«E’ uno schiaffo in faccia all’M5S», replica furibondo il senatore 5S Airola. In effetti è proprio così. Stesso clima sulle trivellazioni. Il Mise ha approntato l’emendamento per bloccare 36 autorizzazioni tra cui tutte quelle nello Ionio. La Lega è di parere opposto: «Non possiamo consentire che la paura blocchi lo sviluppo», sentenzia Vannia Gava, sottosegretaria all’Ambiente.«Si può difendere l’ambiente senza frenare lo sviluppo», commenta lo stesso Salvini.

Restare uniti con questi umori è un’impresa probabilmente impossibile. Ma Salvini frena ogni velleità di ribaltone: «No a un governo con cambia-casacca. Arriviamo alla fine con la stessa squadra, poi gli italiani decideranno». Prima di far saltare il banco vuole essere certo che l’esito della crisi siano le elezioni.

ANDREA COLOMBO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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