Curarsi costa troppo, si allungano le liste d’attesa

Il rapporto cittadinanzattiva-Tribunale del malato: due cittadini su tre denunciano La legge di bilancio aumenterà il fondo per la sanità. Promette la revisione dei tetti di spesa per il personale, ma potrebbero esserci limiti variabili tra una regione e l’altra

Per una cataratta si aspettano quindici mesi, per una mammografia tredici, per una risonanza magnetica dodici, per Tac e protesi d’anca dieci, nove mesi per un ecodoppler e sette per una protesi al ginocchio. E nel frattempo crescono le liste d’attesa: un percorso a ostacoli per oltre un cittadino su tre.

In questa cornice gli interventi chirurgici e per trattamenti anti-cancro come chemio e radioterapia che hanno fatto registrare nel 2017 un aumento di attesa del 100% rispetto al 2016. La conseguenza diretta di questo blocco è la crescita dei costi per i cittadini costretti a ricorrere al sistema privato per rispondere a queste esigenze primarie. Aumenta la spesa per i farmaci e prestazioni in intramoenia, rispettivamente del 4,4% e dell’1,6 per cento. Il costo dei ticket per esami diagnostici e visite specialistiche, pur in diminuzione, resta alto. Considerata la crisi dei redditi, e l’aumento della povertà diffusa, chi cerca la cura è posto davanti a un aut aut: rinunciare o indebitarsi. Sono in molti i cittadini a non potere contare sul sistema di agevolazioni che spesso ammortizzano i costi di analisi e interventi.

Se si desidera comprendere l’aumento della sensazione di abbandono, e di disfacimento progressivo del Welfare in Italia, è necessario leggere i dati del XXI Rapporto Pit Salute presentato ieri a Roma da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva, sostiene che le diseguaglianze ormai strutturali che spaccano il sistema sanitario regionali tra Nord e Sud, e all’interno degli stessi territori, saranno aggravate dall’eventuale entrata in vigore delle proposte di “autonomia differenziata” avanzata anche dalla regione Veneto, guidata dal leghista Zaia, e di recente supportata dal vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio che il primo dicembre scorso ha assicurato: «i veneti avranno l’autonomia in tempi certi». È il modo in cui il governo pentaleghista ha scelto di celebrare i 40 anni dall’istituzione del sistema sanitario nazionale: consolidare i sistemi territoriali forti, rendendo ancora più vulnerabili quelli deboli a Sud. Solidarietà e equità territoriale? Principi costituzionali in crisi conclamata.

Per rimediare a questa situazione Aceti chiede l’abrogazione del superticket, un balzello che ostacola l’accesso alle cure, l’approvazione del pPiano nazionale di governo delle liste d’attesa 2018-2020, l’attuazione di quello sulla cronicità approvato due anni fa, ma recepito solo da sette regioni. Tra le numerose segnalazioni giunte a cittadinanzattiva-tribunale del malato, gli utenti hanno segnalato i problemi dei servizi residenziali e i costi eccessivi della degenza (35%). Crescono i disagi derivanti dalla scarsa assistenza medico/infermieristica, dal 25,7% al 28,9%, e per le lunghe liste d’attesa (dal 20,2% al 24,6%). Pesano i disagi per la mancanza di fondi e di personale, dal 8,2% al 11,7%. Le lungodegenze crescono dal 10,1% al 13,5 per cento. Anche nei ricoveri la scarsa assistenza medica e infermieristica (dal 17,9% al 16,7%) è la problematica più segnalata dai cittadini, assieme al rifiuto del ricovero dovuto ai tagli ai servizi. Un dato che raddoppia dal 6% del 2016 al 12,8% del 2017. «Il ridotto numero di infermieri presenti nelle strutture è la causa di questa situazione – sostiene la Federazione degli ordini degli infermieri (Fnopi) – che non può assolutamente essere sanata dalla buona volontà e dallo spirito di abnegazione che pure moltissimi professionisti mettono in campo». Gli infermieri sono sempre di meno: dal 2009 si sono perse 12.031 unità. E il personale è sempre più anziano. Da quando è iniziata la crisi sulla sanità si sono abbattuti 25 miliardi di euro in taglio, per la maggior parte sul personale. Una situazione denunciata anche dai medici che il 23 novembre scorso hanno dichiarato uno sciopero che ha registrato un’adesione senza precedenti. Mancano ad oggi le premesse per rinnovare i contratti nazionali fermi da una decina d’anni.

Nella legge di bilancio il governo ha aumentato il fondo nazionale (1 miliardo per il 2019, 2 per il 2020 e 1,5 per il 2021), quello per l’edilizia (4 miliardi in più) e ha promesso la revisione dei tetti di spesa per il personale. Si tratterebbe di una rimodulazione della spesa e non è escluso che potrebbero esserci limiti variabili tra una regione e l’altra. La sanità resta diseguale. E rischia di diventarlo sempre di più.

MARIO PIERRO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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