Comunistes de Catalunya: “Unità a difesa delle istituzioni catalane”

La Catalogna in questi ultimi giorni ha vissuto una mobilitazione senza precedenti in difesa della democrazia e del diritto all’ autodeterminazione. Ê stata una mobilitazione di dimensioni gigantesche, assolutamente...

La Catalogna in questi ultimi giorni ha vissuto una mobilitazione senza precedenti in difesa della democrazia e del diritto all’ autodeterminazione.

Ê stata una mobilitazione di dimensioni gigantesche, assolutamente unitaria e trasversale, che ha unito persone di settori sociali più svariati, organizzazioni sociali e politiche molto diverse, persone a favore dell’indipendenza e molte altre che, senza esserlo, si sono sentite chiamate a mobilitarsi in difesa di valori fondamentali e come segnale di rifiuto dell’intransigenza e della repressione dello Stato.

La vittoria dell’organizzazione popolare

La giornata del 1° Ottobre e lo sciopero del 3 segnano un importante sfida della società catalana, dopo la quale niente tornerà uguale a prima.

Certamente la pluralità e diversità di questa mobilitazione sono state determinanti per la sua riuscita. Tutte le persone e organizzazioni che hanno partecipato, lo hanno fatto partendo dalla legittima soggettività delle loro convinzioni, nel quadro di strategie politiche molto diverse e incluso, per certi aspetti centrali, opposte. Ma tutte, senza dubbio, condividevano un insieme minimo di principi su cui è stato possibile forgiare questa positiva unità.

Il successo della mobilitazione presuppone una vittoria del popolo catalano nel suo insieme, una vittoria morale, però anche organizzativa e politica.

Suppone il riconoscimento internazionale dell’esistenza di una “questione catalana” e mette in evidenza la scarsa qualità democratica del sistema istituzionale spagnolo. Ha significato mettere la Catalogna come avanguardia e riferimento delle lotte popolari e democratiche del mondo, una posizione che va amministrata con attenta responsabilità.

La reazione dello Stato è stata solo la repressione

In risposta a questo movimento, la Spagna ha reagito solo con la repressione. Dapprima con la strumentalizzazione dei tribunali e dei mezzi di comunicazione di massa, in seguito con l’utilizzazione delle forze di polizia per la repressione della cittadinanza organizzata. Questa è stata la risposta non solo di un governo puntualmente reazionario, ma di tutto l’apparato di uno Stato assolutamente coeso nelle sue posizioni contrarie al dialogo.

E’ stato il governo del Partido Popular a dare l’ordine di reprimere, ma l’ha fatto con l’appoggio di una parte importante dell’opposizione parlamentare e con l’assoluta complicità del resto dei poteri. Il PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) fino ad ora, è stato solo capace di mettere in discussione la convenienza e la proporzionalità della repressione e le uniche posizioni contrarie sono arrivate da Izquierda Unida e da Podemos, così come dalle forze politiche nazionaliste basche e della Galizia.

Il conflitto ha esplicitato e messo in evidenza la latente estrema destra franchista. Se tutto questo fosse poco, il ciclo repressivo è culminato con il discorso di Felipe VI chiuso per completo a qualsiasi dialogo, che nega l’esistenza della Catalogna come soggetto politico e legittima qualsiasi repressione utile a garantire il quadro istituzionale del regime.

La fredda reazione di una UE in decomposizione

Nonostante i mezzi di comunicazione internazionali abbiano dato un amplio risalto alla repressione della polizia durante la giornata del 1° ottobre e che questa sia stata rigettata in modo unanime, ciò non ha fatto variare minimamente la posizione della UE e della maggior parte degli Stati della comunità internazionale. Questo continua ad essere un problema interno alla Spagna che deve risolversi nel quadro costituzionale, per l’imperialismo “otanista” (OTAN-NATO).

Non si è vista soddisfatta la speranza che la repressione scatenasse una condanna alla Spagna e forzasse un intervento della UE in difesa del diritto all’autodeterminazione della Catalogna. La UE si è rivelata quella che è, uno strumento dell’imperialismo finanziario per l’oppressione dei popoli.

Non c’è da sperare che questo atteggiamento cambi, nemmeno se aumentasse la repressione.

La UE attualmente conta, tra i suoi membri e tra i suoi alleati preferiti,  su numerosi Stati con scarsa qualità democratica, caratterizzati per il loro spirito repressivo, come la Polonia, la Repubblica Ceca, la Turchia o l’Ucraina.

Per l’imperialismo è preferibile una Spagna repressiva che dia garanzie di sviluppo del sistema capitalista e la corretta applicazione delle politiche speculative.

La posizione della UE si spiega anche per la sua crisi interna, avviata verso una fase di decomposizione difficilmente reversibile. La Brexit, l’ascesa dell’estrema destra e dell’euroscetticismo sono solo alcune manifestazioni visibili di questa dinamica che è già in marcia. L’emancipazione nazionale della Catalogna, in un processo di approfondimento democratico e sociale, accelererebbe questa decomposizione e potrebbe avere altre conseguenze indesiderabili per la UE. Nello stesso tempo la crisi della UE è sintomo di una profonda trasformazione: lo sprofondamento dell’egemonia occidentale e l’avanzamento di una nuova multipolarità, che ha il suo asse principale nel continente asiatico.

Unità in difesa delle istituzioni Catalane

La situazione attuale ha una uscita complessa. Da una parte abbiamo lo Stato spagnolo, non il popolo spagnolo, bensì lo Stato come struttura, un regime tirannico e corrotto, nato dalle briciole della dittatura franchista, che non è mai arrivato ad essere autenticamente democratico, che cammina con stivali militari, e che sostiene la sua legittimità con la violenza e l’oppressione. Uno Stato diretto da un governo reazionario e corrotto, che non crede nella democrazia e strumentalizza politicamente, con totale impunità, tutte le istituzioni. Uno Stato che lancia, con brutalità, un corpo di polizia contro la popolazione civile e pacifica.

Dall’altra parte abbiamo la Catalogna, un popolo lavoratore composto da persone lavoratrici. Un popolo sfruttato da secoli da regimi tirannici e corrotti, un popolo unito da una lingua, se non da due, da una cultura e da una coscienza collettiva. Un popolo che ha a disposizione un proto-Stato: con un parlamento sovrano, con un proprio governo, con un tribunale supremo, con uno specifico codice civile, con un corpo di polizia nazionale, con un ricco e attivo tessuto sociale. Un popolo con volontà di essere. Un popolo indignato, un popolo sollevato, un popolo che si è ribellato, che ha scelto come guida la persistenza. Un popolo che in fondo non rimane solo nella lotta perché conta su una grande solidarietà tra le classi popolari di tutto lo Stato, vittime della stessa oppressione.

Tutto sta ad indicare che la volontà dei poteri dello Stato è di attaccare l’insieme delle istituzioni catalane. Poteri protetti da una legislazione che è specialmente disegnata per evitare qualsiasi tentativo di secessione e grazie al pretesto che gli mette a disposizione, a suo piacimento, il movimento sovranista catalano. Non ci sono elementi per pensare che siano disposti a negoziare un’uscita concordata o un referendum, nel momento in cui sono perfettamente coscienti che i rapporti di forza, esterni e interni, lasciano loro un largo margine per l’offensiva e per la repressione. Anzi hanno dimostrato di essere convinti che l’unico perdente di questa battaglia possa essere il popolo della Catalogna.

In questo senso la possibilità di una Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza che cercasse di legittimarsi basandosi sulla validità del referendum del 1° ottobre, offrirebbe al regime un pretesto perfetto per aumentare il livello della sua offensiva repressiva. Gli atti giudiziari prima e la brutale repressione della polizia durante la giornata di voto non hanno invalidato la legittimità della mobilitazione, però hanno limitato qualsiasi possibilità che il risultato fosse riconosciuto come valido dalla comunità internazionale.

Così la strategia unilaterale si è scontrata con un muro che risulta insuperabile con gli attuali rapporti di forza. Oltre a questo, la riuscita della mobilitazione massiccia di questi ultimi giorni ha risvegliato una reazione molto ampia che potrebbe arrivare a minacciare le istituzioni catalane.

Certamente esiste dentro l’indipendentismo un settore importante che considera che il peggior scenario di repressione sia la migliore opportunità per l’effettiva indipendenza, però questi piani ignorano in modo irresponsabile l’esperienza di lotta del popolo basco.

In questo contesto si impone l’unità in difesa dei valori democratici e delle istituzioni catalane, istituzioni che uniscono e rappresentano una amplia maggioranza popolare e che godono di un consenso maggioritario attorno ai principi repubblicani e antifascisti, il riconoscimento della Catalogna come soggetto nazionale e la difesa dell’esercizio al diritto di autodeterminazione.

Si impone l’approfondimento nelle alleanze del movimento popolare catalano con il resto dei movimenti popolari che lottano per la rottura democratica e il superamento del regime del ‘78. In definitiva si impone l’approfondimento dei processi costituenti che possono rendere possibile questa rottura.

La viabilità della Repubblica Catalana che difendiamo è strettamente vincolata allo sviluppo di un processo di rottura nell’insieme dello Stato.

L’emancipazione nazionale della Catalogna è inseparabile dall’emancipazione sociale della classe lavoratrice e delle classi popolari che formano la maggioranza della cittadinanza. Una cittadinanza in maggioranza resa precaria e destinata alla povertà salariata, come conseguenza delle politiche attive di de-industrializzazione, de-localizzazione e privatizzazione delle risorse pubbliche.

Questa emancipazione è un obiettivo che ha bisogno di una strategia di approfondimento democratico a lungo termine e nonostante che per qualcuno sia difficile accettarlo anche di una strategia di conflitto di classe.

RED.

Editoriale di Realitat, organo di informazione dei Comunisti di Catalogna

Traduzione di Pierpaolo Paruzzo – brigata traduttori


I Comunisti di Catalogna aderiscono a Esquerra unida i alternativa e al Partito della Sinistra Europea. Sono stati tra i promotori della lista di Ada Colau Barcelona En Comu e nello scorso aprile del nuovo soggetto unitario Catalunya En Comu.
Il segretario Joan Josep Nuet è stato ospite di Rifondazione Comunista in primavera in un seminario a Roma per raccontare le modalità di costruzione della “confluenza” catalana di militanti dei partiti della sinistra radicale e attiviste/i dei movimenti. Trovate la traduzione della sua relazione sul sito di Rifondazione Comunista: come costruire un nuovo soggetto politico, l’esempio di Barcellona e della Catalogna.

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EsteriSpagna e Portogallo

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