Compagne e compagni comunisti, ragioniamo insieme

Tra due giorni si terrà a Roma una importante assemblea nazionale delle sinistre di alternativa e di opposizione a questo governo e, naturalmente, a tutte le altre forze di...

Tra due giorni si terrà a Roma una importante assemblea nazionale delle sinistre di alternativa e di opposizione a questo governo e, naturalmente, a tutte le altre forze di destra, liberiste e reazionarie (fasciste, xenofobe, razziste e quant’altro).

Si tratta di un appuntamento promosso da Sinistra anticapitalista, Partito Comunista Italiano e Partito Comunista dei Lavoratori, con l’adesione di Potere al Popolo!, Rifondazione Comunista e tante altre sigle di formazioni associative e collettivi – politici, culturali, sociali, ambientali – che per la prima volta dopo tanto tempo vede molte differenti sigle della galassia comunista riunirsi per discutere e per trovare un punto comune su cui convergere e promuovere lotte collettive.

Partendo ovviamente da punti di vista differenti ma convergenti sulla necessità di ricomporre quanto meno una visione omogenea della critica di fondo che deve poter trovare un suo rilancio nella dispersione di valori e di concretizzazione dei medesimi in azioni pratiche, che ha caratterizzato la sinistra in Italia per troppo tempo.

E’ tornato il momento di recuperare prima di tutto noi stessi, che ancora ci consideriamo e siamo comuniste e comunisti, attraverso un programma condiviso nell’attualità, nell’oggi, quindi una proposta politica e sociale che venga fatta partendo da una semplice osservazione delle condizioni di classe tanto dell’Italia quanto dell’Europa cosiddetta “moderna” e “sviluppata“.

Dal piano di chiusura di Unicredit, che prevede il licenziamento di 8.000 lavoratori, alla richiesta di esuberi di Arcelor Mittal per ILVA, dalla crisi di aziende anche più piccole ma importanti assi strategici di economie territoriali (e nazionali) come quelle dolciarie, manifatturiere, passando per l’elettronica e gli elettrodomestici (Whirlpool), lo scenario che ne viene fuori è una desolante crisi dovuta alla incapacità del mercato di assorbire tutta una produzione che, per l’appunto, eccede in quanto la domanda non può essere messa in campo a causa della crisi economica globale che si ripercuote sullo stato di frustrazione tra i poli capitalistici che si fronteggiano in questa lotta.

A farne le spese anche la cosiddetta “locomotiva” tedesca che rallenta e inizia a decrescere.

Lo sfruttamento della forza-lavoro aumenta, si delocalizza per ricercare sempre maggiori profitti, i bambini in tante parti del pianeta vengono utilizzati nelle miniere di cobalto, ancora cuciono palloni o tappeti come Iqbal Masih, ancora fanno mattoni pressapoco come gli schiavi ebrei nell’Egitto dei faraoni…150.000.000 sono i minori costretti al lavoro in tutto il mondo (le stime sono dell’Unicef, non dell’ufficio esteri di Rifondazione Comunista).

I giovani, per garantirsi gli studi o il minimo decente di vita, montano in sella ad una bicicletta, dopo aver rincorso freneticamente su una app del telefonino l’offerta momentanea di lavoro a chiamata, arrivano ad un ristorante e consegnano a rotta di collo per le vie delle città ogni tipo di cibo da asporto.

Ma, in tutto questo contesto di rimodellamento dello sfruttamento capitalistico sulla pelle di grandi masse di moderni proletari, una certa presunta sinistra afferma di poter intervenire non per rovesciare il sistema! Non sia mai! L’intervento è limitato al “meno peggio“, al fermare le destre facendo parte di un governo che mantiene gli stessi assi portanti del precedente in quanto a proposta economica: lasciamo pure perdere la vicenda del MES. Lì siamo innanzi ad una questione strutturale, di composizione davvero della struttura gestionale di una economia continentale mediante un architrave politico che è funzionale al sistema propriamente detto.

Il punto essenziale è, ritornando all’assemblea romana del 7 dicembre, non se è possibile unificare le nostre organizzazioni partitiche e sociali, ma come possa essere fatto senza ricorrere a sommatorie inefficaci legate solamente all’obiettivo del raggiungimento di una percentuale elettorale o, peggio ancora, dedicandosi ad escludere che rappresentanza sociale della lotta politica e lotta politica istituzionale possano viaggiare di pari passo sapendo che nessuna delle due è autosufficiente senza una ridefinizione dei confini ideologici, culturali, politici e sociali dell’anticapitalismo militante e diffuso.

Non possiamo commettere l’errore di chi ritiene che solo nell’opposizione esistano le risorse veramente umane (quindi classiste, di voglia di liberazione dell’umanità dal giogo del profitto) per esprimere tutto il potenziale della necessità dell’emancipazione sociale.

Ma altresì non possiamo ricadere nell’errore di scorgere nelle sole destre sovraniste, quelle più pericolose perché assemblaggio di interessi economici padronali e armamentario ideologico repressivo e nazionalista, l’elemento dirimente di una lotta anticapitalista e comunista.

Rifondazione Comunista, dal 1991, si è posta questa ambivalenza come tratto distintivo vero e proprio del ripensamento del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia: i condizionamenti della politica istituzionale hanno giocato a favore di logiche cui non era possibile sfuggire se non tentando di mantenere ferma la barra sul piano delle rivendicazioni ma constatando anche la distanza che esisteva tra queste e le percentuali di consenso (avercele oggi…) che, anche in alleanza con le forze del centrosinistra, si ottenevano.

Errori ne sono stati commessi molti, ma sarebbe riduttivo attribuire alla sola “politica delle alleanze” il lento logorio della vita moderna della sinistra e del progressismo in Italia.

Ormai sappiamo che l’onda d’urto che ha travolto le sinistre è globale: il sovranismo è l’espressione odierna di un capitalismo aggressivo, che tollera i nazionalismi a patto che continuino ad alimentare gli scambi commerciali di armi, di alimenti che vengono prodotti a scapito di enormi devastazioni forestali, consumi di beni primari come l’acqua; a patto che la sorveglianza del FMI e della Banca mondiale sia sempre accettata come regolatrice della stabilità del complesso sistema mondiale che si regge su una concorrenza e su una velocità di scambi finanziari inaudita. Persino inimmaginabile per un visionario lucido come Marx.

Giustamente il manifesto dell’assemblea romana recite: “Unire le lotte, contro un governo padronale, contro le destre reazionarie“. Dobbiamo conservare la consapevolezza del pericolo rappresentato dai sovranisti, ma dobbiamo ripetere all’infinito, senza mai stancarci, che sostenere le politiche liberiste del governo è spianare la strada ad un consenso sociale per Salvini e Meloni come questo Paese mai lo ha visto sino ad oggi.

Solo una alternativa a questi due blocchi che si contendono la rappresentanza del potere economico in Italia (nei confronti dell’Europa)  potrà essere l’unica via di uscita dal crudelismo xenofobo, razzista, omofobo e patriarcalista quanto dal liberismo che vorrebbe essere temperato dalla presenza al governo di forze “socialiste“, di “sinistra moderata”.

Non è più questione di moderazione ed estremismo, ma di prendere una decisione netta: con i signori che siedono al tavolo della NATO o con i lavoratori dell’ILVA di Taranto?

Questo il primo “dilemma“. In secondo luogo, e non certo meno importante del primo quesito, si tratta di declinare questa scelta in atti concreti, di tornare a farci comprendere proprio dai lavoratori: qui è imprescindibile ripensare anche la nostra metodologia nel diffondere i nostri messaggi, nel comunicare ciò che proponiamo.

Si tratta soprattutto di rendere evidente, chiara, necessaria una alternativa di società, quindi di rompere il muro di rabbia sociale canalizzata dalle destre (e non solo) verso la lotta tra i poveri autoctoni e quelli migranti. Si tratta di capire che una intera generazione è stata rialfabetizzata e abituata a considerare orizzontalmente il disagio e non verticalmente.

Il tema dei rapporti sociali, delle diseguaglianze non è percepito come contraddizione tra capitale e lavoro ma come contraddizione tra differenze di provenienza, di colore, di religione, di cultura.

L’erosione dei diritti sociali, il progressivo annichilimento dell’unità di classe, lo scemare della coscienza critica dei lavoratori è frutto di una politica tanto economica quanto politicanteggiata e di palazzo volta a sostituire la sovrastruttura alla struttura: i problemi non originano, quindi, dal sistema economico ma dai rapporti quotidiani tra individui. Non c’è coscienza sociale ma percezione individuale di spazi sempre più angusti di vita creati da una crisi che avanza e che, nonostante le belle parole di ministri e capi di governo, non diminuisce in nessun indicatore.

Ecco, dunque, il compito che ci attende e che ci deve anche un poco spaventare: si tratta prima di tutto di un compito culturale che dobbiamo caricare sulle nostre spalle e dentro le nostre coscienze. Prima di tutto la certezza della giustezza delle proposte di una nuova sinistra di classe deve essere la nostra: senza dogmatismi di sorta, ma sapendo che, nonostante tutto e tutti ci dicano che siamo dei residuati della storia, dei ferrivecchi del passato (ce lo dicevano e ce l’hanno sempre detto, prima ma soprattutto dopo la fine del PCI e del pentapartito), noi sappiamo che nessuna politica governista e nessuna politica di opposizione solitaria possono far rinascere la voglia di rivoltare il mondo (facciamo… l’Italia) nelle grandi masse degli sfruttati.

La lotta deve essere transnazionale e non può fermarsi nell’angusto ambito di un socialismo o comunismo “nazionale“, guardando alla “patria” come ad un elemento positivo nella costruzione di un nuovo internazionalismo.

Per questo anche la Sinistra Europea può essere un coagulante di grande importanza, vitale nel coordinamento delle forze anticapitaliste del Vecchio Continente: ma deve fare chiarezza e decidere se essere una sinistra completamente anticapitalista o se riunire anche forze che nei loro paesi di riferimento sono forze che accettano, in un certo qual modo, il punto di vista del mercato e che ritengono solo di doverlo un poco modificare per creare le condizioni per una vita fatta di felicità, di amore, di fratellanza universale.

Parole vuote se non sono accompagnate dalla prima rivendicazione: la giustizia sociale.

Che l’assemblea di Roma sia un punto di partenza per una unità spontanea delle comuniste e dei comunisti, per tutti coloro che si differenziano per tattica e che hanno comunque una strategia equivalente nel lungo periodo. Dunque, partiamo da quello che ci unisce, come si suol dire: ciò che ci divide lo affronteremo cammin facendo.

MARCO SFERINI

5 dicembre 2019

Foto di Niek Verlaan da Pixabay

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