Ci aspetta l'”uomo forte”?

“Gli italiani non ne possono più della politica. O meglio, non vogliono più vedere i politici: il 90% dei telespettatori, per intendersi, non li vorrebbe ‘tra i piedi’ mentre...

“Gli italiani non ne possono più della politica. O meglio, non vogliono più vedere i politici: il 90% dei telespettatori, per intendersi, non li vorrebbe ‘tra i piedi’ mentre fa zapping. Se a questa stanchezza si uniscono tutte le incertezze sul fronte economico e sociale che caratterizzano questi tempi, ecco farsi strada nella mente dei concittadini una soluzione: l’uomo forte, al di sopra del Parlamento, che rassicuri.”.
[Dal rapporto CENSIS, uscito il 6 dicembre 2019]

Fa paura, pensando alla nostra storia, quel che emerge dall’ultimo rapporto del CENSIS sulla situazione sociale del Paese. Lo stato d’animo dominante tra il 65% degli italiani è l’incertezza. Dalla crisi economica, l’ansia per il futuro e la sfiducia verso il prossimo hanno portato anno dopo anno a un logoramento sfociato da una parte in “stratagemmi individuali” di autodifesa e dall’altra in “crescenti pulsioni antidemocratiche“, facendo crescere l’attesa “messianica dell’uomo forte che tutto risolve“. Per quasi la metà degli italiani, il 48% per la precisione, ci vorrebbe “un uomo forte al potere che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni.“.

Si conferma così un’analisi che pure si era stati tentati di portare avanti qualche tempo fa e che così può essere sintetizzata.

La scena politica italiana appare percorsa, ormai da molti anni, da fenomeni ricorrenti: all’interno di un quadro generale di “sfrangiamento” sociale e di cessione di sovranità da parte dello Stato verso poteri lobbistici e corporativi sia nazionali sia sovranazionali.

Nella società l’egemonia del “consumismo individualistico” ha generato una sorta di “individualismo competitivo” che adesso si sta trasformando per certi versi in un pericoloso “individualismo della paura” e di conseguenza in forme massicce di agire collettivo all’interno del quale agiscono fenomeni di vera e propria “cattiveria” di massa che arrivano a determinare pulsioni di tipo razzista e comunque di estremo conservatorismo.

Naturalmente la risposta non può venire dal semplicistico richiamo in piazza che si verifica sulla base di quello che è stato definito “buonismo populista”.

Emerge, nella situazione italiana, una “questione morale” che ormai attraversa anche i settori che tradizionalmente hanno interpretato un ruolo di “supplenza” nella difficoltà del sistema democratico com’è stato nel caso della Magistratura.

Nasce da questi elementi uno spostamento massiccio della pubblica opinione verso tensioni di vero e proprio qualunquismo.

Si è trasformato radicalmente il ruolo dei partiti e accentuata la reciprocità tra il corporativismo sociale e l’autoreferenzialità di quello che era stato definito come “ceto politico”.

Si è cercato di andare incontro a questo profondo cambiamento attraverso la ricerca di forme di governo che stabilissero l’autonomia del “comando politico” anche e soprattutto rispetto al Parlamento, esaltando la “governabilità” e riducendo lo spazio per la rappresentanza attraverso leggi elettorali poi clamorosamente giudicate fuori dal perimetro costituzionale da parte dell’Alta Corte.

Meccanismo che oggi si cerca colpevolmente di reiterare ancora una volta in forma del tutto ingannevole.

All’interno di questo quadro si è consolidata quella che è stata definita come “Costituzione materiale”: “Costituzione materiale” che si è cercato varie volte di suffragare attraverso proposte di modifica della Costituzione formale; tutte proposte respinte; in due occasioni anche dal voto popolare seguito all’approvazione da parte del Parlamento.

All’esito di quei voti (2006 e 2016) non ha però corrisposto un’adeguata capacità di riproposizione da parte delle forze politiche della centralità parlamentare così come espressa negli articoli della Costituzione del ’48.

 Di conseguenza è mancata una “visione” della democrazia e si è fornito ulteriore spazio a questo processo di vera e propria disgregazione i cui fattori, già ricordati all’inizio di questo intervento, non sono stati arrestati e stanno provocando l’emergenza di una costante disaffezione dell’agire nel senso dell’interesse collettivo.

Una vera propria “disaffezione democratica” dimostrata anche dall’emergere di una assolutamente eccessiva volatilità elettorale ormai portata al limite dello sbandamento collettivo e da una crescita del fenomeno della personalizzazione della politica fino al punto da rendere, come stiamo costatando, l’idea del cosiddetto “uomo solo al comando” quasi come una sorta di “vox populi”.

In sostanza: una società sfibrata e disorientata in cerca di un “Lord Protettore”; così si giustificano anche i repentini mutamenti di scena verificatisi nel corso degli anni con il passaggio del testimone da Berlusconi a Renzi, da Grillo a Salvini (il tutto condito da mirabolanti promesse elettorali elargite al limite del “voto di scambio”).

Attenti: alla disgregazione subentra sempre la reazione.

La crisi del governo giallo verde verificatasi nella scorsa estate è derivata proprio dall’incapacità dei suoi protagonisti di non essere riuscire a proporre una diarchia efficiente, un nuovo bipolarismo da sistemare al posto appunto del “rettore pro – tempore”.

Si è molto discusso in questi mesi di similitudine tra lo stato attuale e il fascismo: da questo punto di vista si può tentare un parallelo con l’analisi gramsciana.

Nella sua analisi del fascismo Gramsci era partito dall’esempio del bonapartismo, pur sottolineando le differenze tra tale forma di Stato d’eccezione e il fascismo.

La comparazione con l’oggi, stando dentro al quadro della riflessione proposta da Gramsci, può partire dalla constatazione delle difficoltà che, per varie ragioni di carattere interno e internazionale, stanno attraversando le classi economiche tradizionalmente dominanti e ormai incapaci di esercitare egemonia.

A questo punto, pur di conservare il potere socio – economico, è avvenuta un’operazione trasformista.

L’idea è quella di una cessione provvisoria e parziale di potere verso – appunto – l’ipotesi (non ancora concretizzata) di un “Lord Protettore” che, nel caso di Renzi, Grillo, Salvini (fatta salva ovviamente la diversità dettata dai modi d’interpretazione della politica spettacolo e della “democrazia recitativa”).

Un “Capo politico” (che brutta questa espressione riesumata dal M5S) proveniente (com’era accaduto del resto anche per Mussolini) dalla piccola borghesia.

 In sostanza un tentativo di saldatura tra grande capitale e piccola borghesia corporativa e/o assistenzialista nell’intento di salvaguardare una continuità di comando per interessi storicamente prevalenti nella pancia della conservazione eversiva caratteristica costante della borghesia italiana: quella borghesia italiana tenuta buona a suo tempo dall’impasto terribile formato attorno al regime democristiano (nei tempi però della guerra fredda e della “conventio ad excludendum”).

Insomma: la formazione di un nuovo blocco sociale reazionario, come del resto ben evidenziano i dati del CENSIS e non mi si replichi che ormai queste categorie d’interpretazione sociale non esistono più: proprio nella modernità che molti evocano queste categorie “classiche”, si riaffermano e consolidano.

Si realizzerà questo disegno che potremmo definire di “corporativismo populista” a cui il PD sembra prontamente essersi adeguato seguendo la propria vocazione “governativista” ad oltranza, senza concedere mai nulla ad un’idea di alternativa, anzi rifuggendola di continuo?

Si determineranno in questo modo nuovi equilibri di potere sufficientemente stabili fondati su un nuovo equilibrio spostato pesantemente verso destra, tanto per continuare a usare terminologie soltanto apparentemente desuete?

E’ questo l’interrogativo più importante che si pone in questa fase di fronte ai democratici.

Il quadro è molto incerto, sicuramente lo scivolamento progressivo in una sorta di regime autoritario è in atto: ed è questo il punto di riflessione fondamentale per chi ritiene necessaria un’opposizione radicale e intende pur nelle difficoltà del momento pensare ad un’alternativa altrettanto netta sul piano delle opzioni politiche, della concezione della società, della stessa prospettiva di sistema e di conformazione dell’impianto politico complessivo.

A sinistra, preso atto della radicalità delle condizioni complessive anche sul piano internazionale (di cui, in quest’occasione si è omessa l’analisi) si può stare soltanto in questa dimensione di alternativa.

FRANCO ASTENGO

7 dicembre 2019

 Foto di Michi-Nordlicht da Pixabay

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