California, stop alla pena capitale

Stati uniti. Sfida a Trump dallo Stato che «ospita» nel braccio della morte un quarto dei condannati di tutti gli Usa. «Il sistema ha storicamente discriminato imputati con handicap mentali, la pelle scura o senza le risorse economiche per permettersi adeguata rappresentanza legale», dice il governatore Newsom

«L’uccisione intenzionale di un essere umano è sbagliata e fin quando sarò governatore non vi saranno esecuzioni». Con queste parole Gavin Newsom ha annunciato la sospensione della pena di morte in California, lo Stato più popoloso dell’unione che è anche quello il cui braccio della morte ospita un quarto dei condannati a morte negli Stati uniti.

Si ferma così il macabro conto alla rovescia per i 737 detenuti in attesa di venire giustiziati nel carcere di San Quentin, sulla baia di San Francisco. Da ieri la California è diventato il ventunesimo Stato ad abolire o sospendere la pena capitale in un paese dove l’opinione pubblica favorisce ancora in maggioranza la massima pena. È l’ultimo capitolo di una questione travagliata, da decenni al centro del dibattito politico e culturale americano.

Nel darne l’annuncio, Newsom ha menzionato la discriminazione di classe e soprattutto razziale implicita nell’ipertrofico sistema giudiziario e penale americano. Un sistema, lo ha definito il governatore, che storicamente «ha discriminato nei confronti di imputati con handicap mentali, la pelle scura o senza le risorse economiche per permettersi adeguata rappresentanza legale».

La pena di morte, ha proseguito Newsom, «è un fallimento in ogni senso» che a volte ha mandato a morte persone innocenti. Complessivamente nei bracci della morte americani sei detenuti su dieci appartengono a minoranze e la massima pena viene tuttora applicata con maggiore entusiasmo ed efficienza negli Stati ex schiavisti del sud.

La discriminazione rappresenta soltanto uno dei parametri di una irrisolta questione etica e sociale dalla tortuosa storia legale. Oltre all’obbrobrio morale, nella sua decisione Newsom ha citato il costo di mantenere in piedi l’apparato necessario (stimato ad oggi in quattro miliardi di dollari).

In America la pena di morte, pur profondamente insita in una cultura giustizialista e punitiva, è stata sospesa da una rara sentenza della Corte suprema nel 1972. Pochi anni dopo, nel 1978, è stata nuovamente istituita e le esecuzioni hanno ripreso, anche se nella pratica molto rallentate da continui appelli in tribunale.

Le ultime esecuzioni in California risalgono al 2006 durante l’amministrazione di Arnold Schwarzenegger. Prima che potessero proseguire sono state bloccate da una serie di ricorsi basati sulla crudeltà delle iniezioni letali, succedute a sedia elettrica e camera a gas, che prevede la somministrazione di tre farmaci (anestetico, paralizzante e letale).

Di fatto dal 1977 in California sono state giustiziate «solo» tredici persone mentre sono deceduti 119 detenuti nel braccio della morte (26 dei quali suicidi). Altri Stati avevano precedentemente istituito moratorie simili (l’ultimo è stato l’Illinois nel 2006) ma la California è di gran lunga il più importante, malgrado l’ultimo referendum che ha tentato di abolire la pena di morte nello Stato, tenuto nel 2012, è stato respinto per 52-48%.

La decisione del governatore Newsom apre ora anche l’ultimo capitolo dello scontro sempre più aperto tra la California e la Washington nazional populista. Non si è fatto attendere il tweet del presidente Donald Trump: «Le famiglie e gli amici delle vittime dimenticate non sono d’accordo con questa decisione – ha scritto Trump –E neanche io lo sono!».

LUCA CELADA

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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