Assedio all’acqua pubblica

Multiutilty a Nord, multinazionali a Sud, shopping in borsa e attacco alle fonti: l’assedio all’acqua pubblica si fa più aspro nonostante con buona pace del referendum del 2011. «La...

Multiutilty a Nord, multinazionali a Sud, shopping in borsa e attacco alle fonti: l’assedio all’acqua pubblica si fa più aspro nonostante con buona pace del referendum del 2011. «La mappa delle privatizzazioni va letta dentro i processi di finanziarizzazione – avverte Corrado Oddi, del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua – negli ultimi cinque anni sono stati distribuiti più dividendi che utili: è l’economia del debito, che finisce in tariffa in nome degli investimenti ma, soprattutto, della rendita. E il comando alle multiutility comporta la deterritorializzazione, i comuni non contano più nulla». La questione dell’acqua è sempre più una questione di democrazia.

I processi in corso vedono Hera, multiutility emiliana, espandersi in Triveneto, la milanese A2A arrivare fino a Cremona, i genovesi di Iren che tentano di mettere le mani anche sull’acqua di Torino. Grandi manovre, quelle di Acea, tra Toscana, Umbria, Lazio e Campania mentre a vario titolo i francesi di Suez e Veolia (che già è dentro la calabrese Sorical e per il 59,6% in Idrosicilia) agiscono con la multiutility capitolina nel Mezzogiorno insidiando Aqp, l’acquedotto pugliese, con il progetto di una megamultiutility del Sud. Strategie che puntano a costruire un meccanismo per cui, attraverso processi di acquisizione, aggregazione e fusione, i quattro colossi quotati in borsa – A2A, Iren, Hera e Acea – puntano a inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici. Gestioni distrettuali ultraregionali, le ha chiamate, un anno fa il presidente dell’autorità nazionale Energia Elettrica-Gas-Servizi Idrici.

Tutto ciò per espandere il margine operativo dilatando la platea dei clienti e controllare le sorgenti più ricche. Spiega l’attivista romana Simona Savini che la parola d’ordine è “Macro è bello”, «E’ il programma renziano: non si parla più esplicitamente di privatizzazione ma di fusioni e aggregazioni. In questo momento il Campidoglio è immobile e chi fa politica sono i vertici di Acea». «La strategia dei governi, in questi anni, è stata di intervenire a posteriori per coprire i piani delle corporation», spiega anche Maurizio Montalto, avvocato napoletano, storico attivista del movimento per l’acqua e primo presidente di Abc, l’azienda speciale che gestisce il servizio idrico a Napoli. I veicoli di questi processi sono, infatti, lo Sblocca Italia (che pretende il gestore unico per ciascun Ato), il Patto di stabilità (che assicura, a comuni finanziariamente con l’acqua alla gola, che i proventi delle vendite di quote restino fuori dalla tagliola della stabilità) e il decreto Madia a cui la Corte costituzionale ha però impresso un clamoroso stop. «I casi sono due – spiega Oddi – o è stato scritto in preda all’imbecillità o è stato scritto su misura della vittoria del Sì al refererendum costituzionale». La seconda che ha detto. Il decreto Madia, contro cui sono state raccolte 230mila firme, è stato bocciato sul nodo dei rapporti tra governo e conferenza Stato-Regioni: la legislazione stabilisce che serva un’intesa su determinate materie, il decreto sanciva che le Regioni avrebbero solo potuto fornire un parere, ricalcando la ripartizione delle competenze immaginate dalla famigerata Renzi-Boschi, respinta dalle urne il 4 dicembre.

«Il combinato disposto dei due quesiti del 2011 avrebbe dovuto portare al varo della legge di iniziativa popolare presentata da 400mila firme raccolte nel 2007 ma ai governi la volontà popolare non interessa», riprende Oddi richiamando un celebre verso di Brecht: “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”. Infatti, un emendamento del Pd a quel testo ha cancellato l’obbligo di trasformare ogni spa del servizio idrico in azienda speciale, fuori mercato. La legge, ormai snaturata, è ancora in discussione.

Le grandi manovre intorno all’acqua non si sono mai fermate e i movimenti sono ancora attivi sui territori, magari a macchia di leopardo, sul fronte tariffario, per la ripubblicizzazione, contro le nocività nell’acqua e le grandi opere o contro potenze commerciali come Rocchetta che vuole quote sempre maggiori dell’acqua del Rio Fergia. «Ma questo non deve portare alla conclusione che il referendum non sia servito a nulla perché, almeno fino ad ora, ha bloccato i processi trasformazione delle aziende in spa come pretendeva il decreto Ronchi», conclude Oddi. La partita non è ancora chiusa ma bisogna guardarsi anche dai processi che «puntano all’implosione del pubblico – riprende Montalto – per rimettere la gestione privata all’ordine del giorno».

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CHECCHINO ANTONINI

da Popoffquotidiano

foto tratta da Pixabay

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